L'Infinito dei libri. Così la carta sfugge al rogo

L'Infinito dei libri. Così la carta sfugge al rogo
di Rosario COLUCCIA
6 Minuti di Lettura
Domenica 22 Aprile 2018, 19:40
Di mestiere faccio il linguista. Si intitolava Fahrenheit 451 un romanzo di Ray Bradbury del 1953 (da cui, con la regia di François Truffaut, nel 1966 fu tratto un film famosissimo dal medesimo titolo). Il titolo allude alla temperatura di accensione della carta e si spiega così. Libro e film descrivono un’allucinante società solo orale, in cui è bandita qualsiasi informazione scritta. In particolare è vietato possedere e leggere libri, la forma più alta di testo scritto. Per evitare o reprimere il terribile reato, esiste un corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume, materiale illegale e pericoloso a prescindere dal contenuto. La collettività deve proteggersi dalle persone che, istigate dai libri, potrebbero perfino mettersi a pensare. La televisione, onnipresente riempitivo della vita quotidiana, è ridotta a intrattenimento, senza nessun contenuto.  

Per fortuna la fosca fantascienza di Bradbury e di Truffaut non è realtà. Anche se ogni tanto mi tornano alla mente le immagini reali (che vediamo in documentari novecenteschi) di intere cataste di libri dati al rogo: appartengono ad un’epoca passata (e questo è rassicurante), ma non così remota perché l’incendio di libri sia un’eventualità definitivamente cancellata dall’orizzonte delle possibili azioni umane (e questo mette di nuovo in ansia).

In Italia abbiamo bisogno di libri, la percentuale dei lettori offre dati allarmanti. Secondo una statistica Istat, diffusa alla fine del 2017, che considera la popolazione italiana di età superiore a 6 anni, appena il 40,5% degli intervistati dichiara di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti (si escludono i libri scolastici, letti dagli studenti che si preparano a un’interrogazione scolastica o a un esame universitario, e quelli professionali, letti da avvocati, commercialisti, professori ecc. per ragioni strettamente inerenti l’attività lavorativa svolta). Colpisce che il numero dei lettori sia in diminuzione rispetto all’anno precedente (42%) e ancor più basso rispetto al picco elevato di questa statistica, raggiunto nel 2010 (46.8%). La popolazione femminile mostra una maggiore propensione alla lettura: nell’ultimo anno complessivamente il 47,1% delle donne, contro il 33,5% dei uomini, ha letto almeno un libro nel corso dell’anno. E, fatto estremamente positivo che smentisce alcuni luoghi comuni, i giovani tra gli 11 e i 14 anni leggono mediamente di più (51,1%) rispetto a tutte le altre fasce di età. Nel complesso, le cifre sono inequivocabili: più della metà della popolazione italiana non legge nemmeno un libro all’anno. Non libri che trattano discipline iperspecialistiche o materie considerate difficili e astruse. Nella statistica rientrano anche letture facili e non impegnative, libri di cucina o la collezione rosa di Harmony (che vanta titoli come «Stregata dal milionario», «Le regole dell’attrazione», «Una peccaminosa assistente», «La resa del play boy»).

Nell’intero territorio nazionale un po’ più del 10% di famiglie dichiara di non possedere in casa alcun libro. Il poco invidiabile primato in questo campo spetta alla Sicilia, seguita dalle altre regioni meridionali. Correlativa è la rilevazione sulla distribuzione geografica dei lettori. Le regioni in cui si legge di più sono Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta. Agli ultimi posti, purtroppo, le regioni del sud. La Puglia è quart’ultima, e poi (nell’ordine) Campania, Sicilia e Calabria. Sorge spontanea una domanda. Sottosviluppo economico e criminalità generano la scarsa propensione alla lettura o il rapporto di causa-effetto va invertito ed piuttosto è il basso livello di istruzione che favorisce fenomeni criminali e genera scarso benessere? I sociologi e gli economisti, che in materia ne sanno più di me, mi aiutino a capire.

L’accostamento alla lettura è un processo complesso, condizionato da fattori psicologici, relazionali, sociali e culturali. Sul versante familiare gli stimoli offerti dai genitori possono influenzare in modo determinante l’interessamento alla lettura di bambini e ragazzi. Il progetto «Nati per leggere» (www.natiperleggere.it) raccoglie 132 libri destinati specificamente ai bambini di età inferiore ai sei anni: rime e filastrocche, elenchi di parole che servono a individuare e nominare il mondo circostante, storie quotidiane e straordinarie. Non bisogna aspettare che i bambini siano in condizione di leggere per conto proprio. In attesa che questa fase di autonomia sia raggiunta, i genitori sono invitati a leggere comunque libri ai loro figli: questo benefico esercizio contribuisce allo sviluppo cognitivo, linguistico ed emozionale, dei piccoli destinatari e inoltre rafforza il rapporto affettivo degli stessi con i genitori.

La scarsa lettura è sintomo del deficit culturale generale del nostro paese. Pare che due italiani su tre non siano mai entrati in un museo, che tre italiani su quattro non abbiano mai messo piede in un teatro, se non per assistere a spettacoli di cabaret (ridere è più semplice che riflettere). Per le generazioni precedenti la cultura ha costituito una leva insostituibile per affrancarsi dalla subalternità e per cambiare il mondo, oggi ha perso attrazione sociale e centralità politica. L’istruzione non funziona più come ascensore sociale, diplomarsi o laurearsi non serve a dare il lavoro, diventare colti non aiuta a diventare ricchi. In segmenti non piccoli della società l’ignoranza può addirittura diventare un vanto da sbandierare, specie se accompagnata dal successo economico.

Partita persa? Non credo. Per quanto assediato e minacciato da più parti, sottoposto all’assalto dell’ignoranza crescente e alla concorrenza di audiolibri, di cyber-libri, di e-book, il libro stampato resiste ed è impossibile che scompaia. I volumi stampati, le collezioni, le biblioteche non sono la stessa cosa delle informazioni reperibili in rete, il digitale deve affiancare la stampa tradizionale, non può sostituirsi ad essa. Non sperate di liberarvi dei libri si intitolava un’appassionata storia plurisecolare del libro, erudita e ironica uscita qualche anno addietro da Bompiani: i libri sono come la ruota, invenzione perfetta che durerà in eterno (magari modificata nella veste esterna, ma identica a sé stessa nei principi ispiratori). Ed è positivo che, per iniziativa di giornali come «Corriere della Sera», «Repubblica», «Stampa», «Nuovo Quotidiano di Puglia», libri di vario argomento e non di lusso (quindi accessibili a chi non ha molti soldi) possano vendersi anche nelle edicole: i lettori dei giornali sono invogliati per tale via a diventare anche lettori di libri.

Ai primi di aprile leggo di una contesa per acquisire la biblioteca di 35 mila volumi, di cui 1200 antichi, collezionata in vita da Umberto Eco. Disputano per il possesso di quella straordinaria raccolta la città di Milano, dove Eco ha risieduto nella casa di piazza Castello fino alla morte nel 2016, e la città di Bologna, dove ha insegnato a lungo all’università e ha sede il Centro studi umanistici a lui intitolato. Non ho titolo per intromettermi, anche se mi dispiace notare che non vedo dispute simili da noi, dove spesso importanti biblioteche raccolte in vita da nostri studiosi deperiscono o si disperdono. Tornando alla biblioteca di Eco, è prioritario che essa conservi l’unitarietà di chi l’ha costruita nei decenni e sia resa fruibile al pubblico. Affinché chi vuole possa leggere. Perché, come scrisse una volta lo stesso Eco, «Chi non legge alla fine avrà vissuto una sola vita. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava L’infinito. La lettura è un’immortalità all’indietro». 


 
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