Nella chiusura al populismo la chiave del successo di Macron

Emmanuel Macron
Emmanuel Macron
di Alessandro CAMPI
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Martedì 25 Aprile 2017, 16:27 - Ultimo aggiornamento: 16:28
Ad ogni appuntamento elettorale, che sia minimamente importante, in Italia ormai ci si fa sempre le stesse domande. Quali conseguenze il voto (si tratti degli Stati Uniti, della Spagna o dell’Olanda) produrrà nel nostro Paese? Quali lezioni ne possono trarre i politici di casa nostra? Un po’ è un gioco politico-mediatico innocente, un po’ un segno di provincialismo. Ma se è vero che siamo in età di globalizzazione (il che significa che tutto influenza tutto), è vero anche che qualche influsso più o meno diretto può in effetti determinarsi tra un’elezione e l’altra di nazioni differenti. A maggior ragione quando parliamo degli Stati europei, visto l’alto livello di integrazione che essi hanno raggiunto. Come sempre, basta non esagerare nelle estrapolazioni, nei paragoni e nelle similitudini.

Chiediamoci dunque come il voto per le presidenziali francesi, che ha determinato l’accesso al ballottaggio del moderato-riformista Emmanuel Macron e della nazional-populista Marine Le Pen, possa condizionare la battaglia politica italiana, visto che anche noi – al massimo entro la primavera del 2018 – saremo chiamati alle urne. E considerato che molti si sono già sbizzarriti nel paragone tra Macron e Renzi, tra il blocco sociale di centrosinistra che il primo ha aggregato intorno al suo movimento “En Marche” e quello per certi versi analogo che esprime invece il Partito democratico, proviamo a guardare ai possibili riflessi di questo voto sul campo del centrodestra.

Facendo però una premessa generale. Qualunque confronto tra leader e progetti rischia di essere inficiato e reso banale dalla differenza abissale che esiste, oggi più che mai, tra i sistemi istituzionali (ed elettorali) dei due Paesi. La Francia è un regime presidenziale con quasi sessant’anni alle sue spalle. E se quello accaduto ieri è stato considerato da tutti gli osservatori un terremoto, con la messa ai margini dei due partiti che hanno fatto la storia della Quinta Repubbblica (quello gollista e quello socialista), è anche vero che un simile cataclisma si è potuto verificare proprio considerando la particolare natura del sistema costituzionale francese. In altre parole, l’ascesa repentina di Macron, che quasi sicuramente si concluderà con il suo insediamento all’Eliseo, non sarebbe stata possibile fuori da una cornice presidenzialistica.

In Italia, dove probabilmente andremo a votare con una legge elettorale di stampo proporzionalistico che nessuno, a quanto sembra, vuole cambiare e che avrà come effetto inevitabile quello di consolidare i rapporti di forza esistenti, difficilmente si può immaginare l’irruzione di un outsider estraneo agli attuali partiti capace nel giro di pochi mesi di catalizzare un vasto consenso popolare sulla base di un programma radicalmente innovativo.

Ciò detto, da quello che è successo in Francia qualche suggerimento per il fronte delle destre italiane lo si può trarre. Ma non quello che, a caldo, ne ha ricavato ad esempio Berlusconi: e cioè che per vincere il centrodestra italiano deve unire la sua anima moderata e quella radicale, per evitare di disperdere i voti come hanno invece fatto Fillon e Le Pen. Si dimentica, ciò dicendo, un piccolo particolare: in Francia gollisti e lepenisti non si sono divisi per la semplice ragione che nella loro storia non sono mai stati alleati. Anzi, si sono sempre combattuti. La prima cosa che ha fatto Fillon, una volta riconosciuta la sconfitta, è stato di dare indicazioni di voto ai suoi elettori per Macron, non certo per la leader della destra radicale.

Berlusconi insiste invece sulla sua idea meramente algebrica e sommatoria di un’alleanza organica di centrodestra che, sondaggi alla mano, sarebbe vincente come in effetti lo è stata più volte nel passato. Se non fosse che la trasformazione della Lega di Salvini, proprio sul modello del radicalismo lepenista, si è spinta ad un punto tale che riesce difficile immagine un suo repentino ritorno a posizioni più morbide e concilianti, che possano dunque permettere la creazione di un’alleanza minimamente coesa e magari anche capace di governare insieme.

Semmai l’esperienza di Macron insegna quanto possa essere pagante un atteggiamento di netta chiusura (altro che alleanze o compromessi) nei confronti del populismo e delle sue posizioni duramente contrarie alla globalizzazione, all’Europa, all’immigrazione, ecc. Macron non ha inseguito il linguaggio e le proposte dei populisti, come Berlusconi (ma lo stesso potrebbe dirsi di Renzi) tendono a fare, ma li ha contrastati in modo netto. Più che far rientrare Salvini all’ovile forse il problema di Berlusconi è piuttosto quello di far tornare al voto il suo storico elettorato moderato, da anni rifugiatosi nell’astensionismo o più semplicemente allontanatosi da ogni forma di impegno politico. Ma per fare ciò deve parlare una lingua che sia quella che i moderati comprendono e apprezzano. Parliamo di alcuni milioni di voti che, se riconquistati, potrebbero consentire a Berlusconi, nell’Italia proporzionalistica verso cui stiamo andando, di diventare decisivo per qualunque soluzione parlamentare e di governo si voglia provare a realizzare. Insomma, più che provare ad ammansire i populisti-estremisti di casa nostra dovrebbe rimotivare gli italiani d’area moderata, conservatrice e riformista-liberale.

L’altra lezione di Macron riguarda la capacità che quest’ultimo ha avuto, anche grazie alla sua giovane età, di proporsi come innovatore di un’intera classe politica. Lo ha fatto non annunciando repulisti e liste di proscrizione, alla maniera rude che ha invece contraddistinto la retorica renziana sulla rottamazione, ma in una forma tanto morbida quando decisa, che ha convinto gli elettori senza impaurirli. Al tempo stesso, ha potuto mettere in campo, riuscendo anche in questo convincente e rassicurante, non la sua ‘straordinaria inesperienza’, o il suo essere un esponente della mitica società civile, ma un pedigree politico e professionale di tutto rispetto. Macron è nuovo, come si dice, ma non è un signor Nessuno emerso da qualche casting televisivo, o scelto solo perché ‘carino’ e dalla buona parlantina. Se Berlusconi, come pare stia facendo, è alla ricerca del nuovo leader dei moderati forse dovrebbe tenere conto di queste caratteristiche: giovinezza, telegenia, certo, ma anche capacità tecnico-professionale, competenza politico-amministrativa, studi rigorosi alle spalle, anche una certa autonomia e indipendenza di carattere.

Come indicazioni di metodo o esempi forse appariranno modesti. E invece se seguiti potrebbero davvero contribuire a far nascere anche in Italia quella nuova destra liberale, riformista, moderata, estranea ad ogni demagogia o pulsione ideologica estremista che se in Francia non è andata al ballottaggio – ricordiamolo a quelli che da ieri non fanno altro che cantare le lodi di Macron – è solo perché una micidiale tenaglia mediatico-giudiziaria l’ha messa letteralmente fuori gioco. Col gollista Fillon regolarmente in partita oggi staremmo raccontando un’altra storia. E anche la lezione per il centrodestra italiano, la necessità cioè per quest’ultimo di smetterla di civettare col radicalismo, sarebbe stata ancora più chiara.
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