Tra fame, difficoltà e migrazioni, la nuova selezione naturale della specie

Tra fame, difficoltà e migrazioni, la nuova selezione naturale della specie
di Tomaso PATARNELLO
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Domenica 5 Agosto 2018, 20:36
Siamo più di sette miliardi e mezzo di persone su questo pianeta e arriveremo a nove miliardi nel 2050. Troppi. Se fossimo dei lemming probabilmente saremmo già in marcia verso il più vicino dirupo per un tragico suicidio collettivo. In effetti la storia dei suicidi di massa di questi piccoli roditori è una forzatura ma non è poi così lontana dalla realtà. Negli anni favorevoli, quando la disponibilità di cibo è molto elevata, il numero dei lemming può aumentare vertiginosamente. L’esplosione demografica porta ad un rapido consumo delle risorse costringendo i lemming a migrazioni di massa attraverso terreni accidentati durante le quali moltissimi trovano la morte. Questa non è solo la storia dei lemming ma, per certi versi, è anche la storia della nostra specie. Storia tragica e attuale con il Mediterraneo come ultimo dei molti ostacoli e barriere (naturali e non) da affrontare anche a costo di andare incontro alla morte.

La vita sulla Terra ha sperimentato almeno cinque estinzioni di massa che hanno causato la scomparsa della gran parte delle specie esistenti (fino al 95%). In tutti i casi le estinzioni sono state determinate da sconvolgimenti ambientali causati da fattori esterni come l’impatto di un meteorite, avvenuto 65-70 milioni di anni fa, che ha portato alla scomparsa dei dinosauri. Quell’evento ha permesso ai mammiferi di evolversi e prendere il sopravvento sul resto delle specie animali fino a quanto, circa duecentomila anni fa è arrivato il dominatore assoluto e incontrastato del pianeta: Homo sapiens. In effetti per la gran parte della sua storia l’uomo è stato tutt’altro che un dominatore. Ha “subito” le regole della natura come qualsiasi altra specie. Era esposto alle aggressioni dei grandi predatori, alle malattie, alla fame, alle rigidità del clima e alle guerre tra clan. Probabilmente proprio le guerre tra clan hanno portato il maschio della nostra specie sull’orlo dell’estinzione. Secondo dati basati sulla diversità genetica del cromosoma Y, tra 7mila e 5mila anni fa i maschi della nostra specie hanno subito un “collo di bottiglia”, cioè una drastica riduzione di numero. Si stima che l’indole bellicosa e aggressiva tipicamente maschile, il “ce-l’ho-durismo” ancestrale, abbia portato a dimezzare il numero di rappresentanti del così detto “sesso forte” a conferma di una certa sua tendenza all’auto-distruzione.

Con l’emergere delle grandi civiltà (egizia, romana) l’uomo ha avuto un maggiore controllo su alcuni elementi della natura che hanno consentito di aumentare in modo significativo la produzione di risorse alimentari. Più cibo più crescita demografica. Ma, nei secoli, ci hanno sempre pensato le grandi epidemie a ridurre in modo drastico la popolazione umana con decine di milioni di morti ad ogni nuova pandemia. L’ultima in ordine di tempo è stata la “spagnola” che tra il 1918 e il 1920 ha causato la morte di più di 20 milioni di persone ma la peste nera del 1300 è stata forse la più devastante con 100 milioni di morti e la riduzione di un terzo della popolazione mondiale.

Poi, nell’ultimo secolo, la scienza e la tecnologia hanno cambiato il corso della storia dell’uomo e probabilmente dell’intero Pianeta. Con l’agricoltura intensiva siamo in grado di produrre abbastanza cibo per sfamare buona parte della popolazione mondiale. Grazie ai progressi della medicina abbiamo trovato le cure per le principali malattie.  In questo modo il paradigma darwiniano della “sopravvivenza del più adatto” a noi non si applica più. O meglio, non si applica più a chi vive nel mondo occidentale.  Per tutti gli altri che non hanno abbastanza cibo e medicine (prevalentemente il Sud del mondo) la lotta quotidiana per la sopravvivenza è una drammatica realtà che - come nei millenni passati - vede pochi sopravvivere e molti soccombere. Secondo l’OMS più del 90% di morti per malaria – una della principali causa di morte nel mondo - sono in Africa. La peste moderna, l’AIDS, ha colpito soprattutto in “continente nero” (la popolazione africana è il 12% di quella mondiale ma il 60% dei malati di AIDS è in Africa). Fame e carestie spingono milioni di persone dell’area sub-sahariana ad affrontare migrazioni che causano morti il cui numero probabilmente non sapremo mai. L’attesa di vita nella maggior parte dei Paesi Africani è tra i 50 e i 60 anni contro gli oltre 80 di Europa, USA e Giappone. L’età media in Africa è la metà di quella dei paesi Occidentali (circa 20 anni contro i 45 o 46 di Italia e Germania). Si fanno molti figli ma si muore presto. Questa è stata sostanzialmente la dinamica demografica della nostra specie nei millenni passati, non diversa da quella di altri mammiferi su cui la selezione naturale ha potuto fare il suo corso conferendo a chi sopravviveva una maggiore capacità di resilienza.

La crescita demografica infinita è impossibile per la semplice ragione che le risorse naturali non sono infinite. In tutte le specie animali il controllo e l’accesso alle risorse – soprattutto se limitate - scatena conflitti. Temo che Homo sapiens non si sottrarrà a questa regola e probabilmente faremo noi quello che le pandemie non hanno più fatto: ridurre drasticamente il numero degli esemplari della nostra specie sulla faccia di questa Terra. In uno scenario apocalittico di crisi planetaria chi pensate che sarà più in grado di sopravvivere: chi è sempre vissuto senza sapere cosa significano fame e difficoltà o chi si è confrontato con fame e difficoltà tutti i giorni? Darwin avrebbe la risposta.
 
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