Il teatro in prima linea nell’Iran che vuole cambiare

Eugenio Barba
Eugenio Barba
di Franco UNGARO
3 Minuti di Lettura
Martedì 14 Marzo 2017, 16:30 - Ultimo aggiornamento: 16:39
In Iran le ferite di guerre vecchie e nuove non riescono a cicatrizzarsi. Eppure non ho mai visto code così lunghe per ritirare il visto all’aeroporto Imam Khomeini di Tehran. Tantissimi turisti, ricercatori e lavoratori, tantissimi italiani. Quelle code sono la prima palpabile percezione che qualcosa si stia muovendo e che cambiamenti più o meno importanti siano all’orizzonte di questo Paese che a maggio andrà a votare per le elezioni presidenziali con la candidatura di Hassan Rohani sicuramente riconfermata dal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione Islamica.

Ne sono prova di questi cambiamenti il coraggio e l’investimento profuso dai vertici del Centro delle Arti Drammatiche, il dipartimento teatrale del Ministro della Cultura e della Guida Islamica che nei giorni scorsi ha organizzato a Tehran il seminario internazionale sul ‘Potenziale del settore indipendente nel teatro’.
E ne sono prova soprattutto l’apertura e lo spazio che si è dato ai protagonisti non governativi, privati e indipendenti del teatro, molto attivi dentro e fuori Tehran, finora esclusi da qualsiasi possibilità di dialogo e di sostegno da parte delle istituzioni.

Nel libro giallo sul teatro iraniano che ci è stato consegnato c’era la rappresentazione anche volumetrica di questo settore con sessanta centri culturali e teatrali sparsi nel Paese, venticinque università e facoltà teatrali non statali, circa cinquanta scuole di teatro e cinema privati e un centinaio di sale private per teatro e cinema e case della cultura. Un potenziale straordinario di risorse, luoghi e progetti in un Paese di forti tradizioni culturali, dove arte, cultura e patrimonio potrebbero rappresentare, dopo il petrolio, la principale fonte di reddito.
Un evento inatteso anche per la mole di interventi e personalità non del tutto allineate con le direttive della Guida Islamica che continua a imporre quella che chiamano la supervisione, usando il lapis rosso censorio di antica memoria sull’informazione e sulla produzione culturale e teatrale. In nome di Dio, appunto, come usano dire prima di pronunciare qualunque pensiero.

A fronte di interventi governativi che ribadivano il limite invalicabile della supervisione e dei principi islamici, sono rimbalzate con grande interesse le riflessioni di Bezhad Ghaderi e di Farzad Moafi Ghaffari su una possibile ‘terza via’ che affida alla società civile e al teatro un ruolo di intermediazione fra il mercato e il governo, fra i bisogni degli spettatori e dei cittadini e le regole dei Governi nazionali come pure i riferimenti alla democrazie e al teatro greco contrapposti spesso al culto del botteghino, dell’intrattenimento fine a se stesso o di una iper-ideologizzazione che non ammette il pensiero critico.

I modelli di organizzazione e di gestione del teatro privato raccontati dagli ospiti internazionali provenienti da Italia, Spagna, Messico, Georgia, Azerbaijan , Russia, Kazakistan, Nigeria, Ungheria individuavano tutti la necessità di politiche e di strategie centrate sulla funzione sempre più sociale e pubblica del teatro, di un’arte cioè che racconti il nostro tempo, che rafforzi la coesione sociale, che si misuri con i bisogni di partecipazione delle persone. Temi e problemi con cui si confrontano quotidianamente gli artisti occidentali, nella ricerca di un equilibrio difficile tra la vita, l’estetica, l’economia e la politica. Tra il pubblico e il privato.

Gli echi dello spettacolo e dei laboratori presentati a inizi di febbraio a Tehran dall’Odin Teatret di Eugenio Barba hanno lasciato un segno profondo, scardinando luoghi comuni e convenzioni nel segno di una autonomia di pensiero e di nuovi codici espressivi, dove la parola indipendenza risuona come una qualità, un obiettivo e un valore.

Fuori dal seminario, Tehran respira smog a go-go col traffico impazzito, con i canti del muezzin, con le migliaia di fast food aperti a tutte le ore, con i tanti pub per giovani dove le diversità culturali, di genere e di pensiero trovano un modo timido di affacciarsi e di esprimersi nel segno di un cambiamento che attraversa profondamente nel privato le persone, con una modernità che non trova pace e conciliazione con la tradizione e la religione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA