La politica scopre la povertà e il sostegno ai senza reddito

La politica scopre la povertà e il sostegno ai senza reddito
di Adelmo GAETANI
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Mercoledì 1 Marzo 2017, 18:45
La prossima campagna elettorale, in realtà già in atto, che si voti in autunno o nella prossima primavera, avrà al centro il tema del reddito universale nei suoi diversi aspetti. Una previsione facile alla luce di recenti prese di posizione dei maggiori leader della politica italiana. Tema controverso e polemicamente dibattuto sino a qualche tempo fa, diventato negli ultimi tempi una sorta di cavallo di battaglia delle forze politiche, questa volta non solo per ragioni di bassa demagogia o per lisciare il pelo al populismo montante.

In realtà, oggi la politica - in Italia e altrove - è obbligata a interrogarsi su come risanare le ferite inferte alla società dai tumultuosi processi di innovazione tecnologica che, mentre distruggono in modo inesorabile posti di lavoro, disarticolano, assieme ai tradizionali sistemi produttivi, la vita professionale e l’insediamento sociale di milioni di lavoratori. Se è antistorico, oltre che impossibile e controproducente, fermare l’innovazione, è però necessario individuare meccanismi di tutela per quanti restano ai margini del progresso o non sono messi nelle condizioni di cogliere i frutti di una ricchezza che cresce in modo esponenziale, ma solo a beneficio di pochi.

Il confronto su queste tematiche è aperto, nessuno si tira indietro, nessuno può far finta che il problema non esista, come dimostra la “visionaria” proposta avanzata da Bill Gates di tassare i robot per recuperare risorse da impegnare negli interventi di riequilibrio e solidarietà sociale. In altre parole, si prospetta un reddito di cittadinanza legato all’automazione del lavoro.

Naturalmente, non basterà azionare il torchio fiscale sulle inconsapevoli macchine “intelligenti” per risolvere i problemi di equità, ma il fatto che quest’idea circoli, dopo essere stata avanzata, e sia al centro di autorevoli commenti e di un ampio dibattito, è la dimostrazione che si è alle prese con la principale emergenza dei nostri tempi. Il terremoto sociale è sotto gli occhi di tutti, gli effetti sul piano politico si stanno manifestando ad una velocità imprevista.

Le risposte non possono mancare, né arrivare in ritardo. Al di là delle differenze nominalistiche e delle impostazioni diverse, le ipotesi di lavoro sono tante e autorevoli, dal momento che di reddito universale si iniziò a parlare già alla fine del Settecento. Negli ultimi anni proposte operative sono arrivate da numerosi premi Nobel per l’Economia. Il britannico James E. Meade ha parlato di un reddito per tutti i lavoratori e di un sostegno per la sopravvivenza a tutti i cittadini. Il reddito di base è stato suggerito da Angus Deaton, mentre Milton Friedman vuole raggiungere lo stesso obiettivo puntando sull’imposta negativa. Proposte - variamente declinate - sono state avanzate, tra gli altri, da studiosi del calibro di Christopher Pissarides, Joseph Stigliz, James Mirrlees e Jeremy Rifkin.

Il fronte è caldo a livello globale, come in Italia dove i crescenti livelli di povertà, soprattutto nel Mezzogiorno, e l’endemica esclusione dal mondo del lavoro di milioni di disoccupati e, in particolare, del 40% dei giovani (oltre il 50% nelle regioni meridionali) rendono particolarmente urgenti risposte che accompagnino le fasce deboli della popolazione nel percorso di inserimento/reinserimento nel mondo del lavoro e attuino una forma di reddito antipovertà.

La Caritas e altre 30 organizzazioni hanno avviato un’azione comune sull’obiettivo di un reddito di inclusione sociale. Anche la politica si muove su questo terreno. Dopo l’originaria proposta di reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle, è arrivato Berlusconi con la sua idea di reddito di cittadinanza/lavoro e, infine, Renzi che punta le sue carte sul reddito di lavoro. Si tratta di proposte non coincidenti, ma che, con modalità diverse e vari distinguo, hanno lo stesso obiettivo di fondo: quello di garantire una protezione dei cittadini in difficoltà o perché senza lavoro o perché in condizioni di povertà.

Naturalmente, ogni proposta deve fare i conti con le risorse disponibili, soprattutto per un Paese, come l’Italia, oberato da un gigantesco debito pubblico, per giunta in continuo aumento, almeno sino a quando il tasso di crescita del Pil non si avvicinerà al 2 per cento. Obiettivo fuori portata, stando alle previsioni sino al 2018, salvo che l’Europa non adotti finalmente politiche economiche realmente espansive che contribuirebbero all’accelerazione della crescita economica italiana con effetti positivi sia sul debito che sul mercato del lavoro.
Ma l’Italia non può attendere le decisioni degli altri, non può abbandonare quattro milioni di poveri e nove milioni di cittadini che vivono una condizione di totale esclusione dal circuito del lavoro regolare. Per non parlare dell’amaro destino riservato alle nuove generazioni.

Bisogna fare bene i conti, iniziando a tagliare le spese inutili e improduttive in profondità, e trovare così le risorse per avviare un intervento a largo raggio di sostegno, sostenibile ma coraggioso, alla parte della società in sofferenza. Chi pensa che si possa lasciar tutto come sta, senza che niente possa accadere, non tiene conto di quanto sia pericoloso, per la stessa tenuta democratica, l’incubazione nel tempo di tensioni dovute ad un diffuso e sempre più radicato malessere sociale.


 
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