Dall'ambiente al turismo, il (non) governo del territorio delegato ai giudici

Dall'ambiente al turismo, il (non) governo del territorio delegato ai giudici
di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 24 Giugno 2018, 19:04 - Ultimo aggiornamento: 16 Luglio, 11:41
Il (non) governo del territorio in Puglia, e ancora di più nel Salento, è delegato ormai quasi esclusivamente alla magistratura, attraverso inchieste e sentenze giudiziarie. Non si tratta di un caso eccezionale o fuori contesto. Da quando in Italia la politica è stata svuotata della sua funzione principale, quella cioè di indicare la direzione di marcia e di costruire il senso, ed è stata egemonizzata da chi meglio sa cavalcare le onde emozionali nella comunicazione digitale, abbiamo assistito ad una ulteriore e, forse, irreversibile alterazione nei rapporti tra poteri dello Stato, spesso in conflitto anche con quanto scritto nella Costituzione. Questioni, percorsi e soluzioni che dovrebbero essere di competenza dei governi e delle assemblee elettive (dagli esecutivi nazionali alle giunte regionali e comunali, dal Parlamento ai Consigli comunali) sono ormai “delegati” e “sottoposti” alle decisioni della magistratura, in tutte le sue articolazioni.

Basti pensare a quanto abbiano inciso sul corso della recente storia italiana le sentenze di Corte Costituzionale o Tribunali civili e amministrativi in materie come leggi elettorali, pensioni, scuola, sanità, diritti civili (a cominciare da quello di famiglia), realizzazioni di infrastrutture. Il paradosso è che le inchieste o sentenze giudiziarie risultano spesso molto più decisive e determinanti delle leggi fatte dal Parlamento o dei provvedimenti presi dagli esecutivi. 

Senza nemmeno accorgercene, è quasi come se di fronte alla debolezza, inconsistenza e inconcludenza della politica avessimo affidato ai giudici il potere di salvaguardarci da chi eleggiamo e di rendere migliore il nostro Paese. E avessimo assecondato, sempre senza accorgercene o fingendo di non accorgercene, una sorta di supervisione dei magistrati sulla vita politica, amministrativa e anche sociale. Si tratta di un’anomalia sicuramente italiana, che viene da lontano e che ha avuto un punto di svolta con la stagione di Mani pulite, la decapitazione di un’intera classe dirigente (tranne esclusioni da bisturi chirurgico), la fine delle ideologie, il contemporaneo inizio del crollo dei soggetti collettivi e dei corpi intermedi, il coincidente ed enorme vuoto venutosi a creare con il divorzio tra la politica e il potere in seguito alla tensione sempre più esplosiva tra poteri nazionali e organismi (o forze occulte) sovranazionali. Processi complessi e interdipendenti. Meglio lasciare agli storici il compito di approfondire le cause di questa anomalia. Ciò che interessa, qui, è fotografare e capire la realtà che abbiamo di fronte. In Italia, ma ancora di più in Puglia e nel Salento.

Se nel nostro Paese ci fosse una classe dirigente politica cosciente della propria funzione, dovrebbe interrogarsi innanzitutto su questa deriva e su come ristabilire ruoli e funzioni, riprendersi poteri e compiti che ha perduto (o si è vista sottratta) negli ultimi decenni, anziché mettere in scena lo stucchevole spettacolo di chi la spara più grossa su rom, censimenti di raccomandati nella Pubblica amministrazione, vaccini, scorte a Saviano e altre armi di distrazioni di massa. Non solo. Se i cosiddetti populisti, se i sedicenti “avvocati del popolo” e “ascoltatori della voce del popolo” volessero essere coerenti fino in fondo, dovrebbero porsi come priorità assoluta quella di riportare la sovranità, attraverso le forme in cui va esercitata, laddove dovrebbe risiedere. E se la Puglia - a cominciare da chi governa la Regione - avesse una classe dirigente davvero riformista e non solo “ricorsista”, un governo che affronti le questioni per risolverle e non per rinviarle in altre sedi, amministratori pronti a mettere la faccia su problemi veri e non solo nella promozione di se stessi, forse non sarebbe la regione che più di ogni altra in Italia soffre di questa grave patologia democratica.

Pensateci: a parte la selezione giudiziaria del ceto amministrativo - regionale e comunale - che ha lasciato sul campo non di rado “vittime innocenti”, non esiste una questione strategicamente rilevante per il futuro di questa terra, in particolare del Salento, che non sia stata o sia condizionata da inchieste e sentenze giudiziarie: Ilva, Enel, rigassificatore di Brindisi, Tap, infrastrutture progettate da oltre vent’anni, e finanziate, ma bloccate da ricorsi e controricorsi. Persino il piano di contrasto al flagello della xylella è stato condizionato da un’inchiesta ancora in corso della magistratura. Mai la politica a dettare l’agenda e ad assumersi le responsabilità che le competono. Mai a dire dei “no” netti o dei “sì” altrettanto netti e senza condizioni. Non basta. Il punto più alto del conflitto e dell’alterazione dei poteri nel governo del territorio sta avvenendo nel mondo del turismo, il settore di frontiera della riconversione del modello di sviluppo della Puglia e del Salento, l’avamposto della sfida per fermare la fuga dei giovani da questa terra, i cui dati drammatici sono stati proprio in questa settimana riportati da Bankitalia e da Svimez.

Ci riferiamo all’intricata e sconcertante vicenda dei tanti lidi, o pezzi di lidi, sequestrati lungo le coste del Salento (siamo arrivati a quindici). Alla battaglia giudiziaria sulla permanenza o smontaggio stagionale degli stabilimenti balneari. Alla chiusura e all’inattività forzata di strutture e di brand che hanno fatto tendenza in tutta Italia nell’organizzazione di eventi e spettacoli estivi. Ai (pochissimi) porti turistici esistenti e alla sconcertante telenovela sulla rimozione stagionale dei pontili. E alla spada di Damocle dell’80 per cento di gestori di pub, locali e trattorie nel centro storico di Lecce, fuori norma per il nodo mai risolto della destinazione d’uso delle strutture dove sono ubicati, e che ormai hanno inserito nel proprio bilancio alla voce diseconomia esterna la puntuale multa salata (dai cinque ai quindicimila euro) che arriva durante l’estate.

In questo caotico magma in cui l’alterazione dei poteri raggiunge forme parossistiche è racchiusa la cifra di quello che noi oggi siamo, di quello che non dovremmo essere e di quello che, al contrario, non riusciamo a essere. In questo caotico magma c’è, innanzitutto, il totale naufragio della politica e della classe dirigente, una politica che non interviene, non programma, aspetta anzi che altri tolgano le castagne dal fuoco, gioca di rimessa, si nasconde dietro l’alibi delle inchieste: è la stessa politica che ha consentito nei decenni passati scempi e abusi, con il permissivismo in cambio di consensi, con il voto di scambio sulla non tutela del territorio. C’è, poi, una Regione che preferisce occuparsi di turismo pensando più a improbabili e inutili festival del cinema, rassegne di spettacoli, sagre e mostre di dubbia qualità, che a risolvere definitivamente queste vicende strutturali, magari chiudendo in una stanza tutti gli attori coinvolti (e gettando le chiavi) fino quando non si raggiunge un accordo di sistema. C’è lo spaventoso deficit di governo politico del territorio, la “coazione a rinviare” le scelte e a prorogare le scadenze attraverso la ripetitività dei riti e delle modalità con cui la politica finge di affrontare le questioni. C’è la lentezza e la farraginosità dei processi decisionali che spezzano le gambe a qualsiasi ipotesi di crescita e di sviluppo, e alimentano quella sospensione e quella precarietà, al posto delle certezze e del diritto, principali nemiche dell’attrattività di un territorio per chi vuole investire. C’è il protagonismo settoriale, la tendenza a far prevalere il proprio punto di vista a scapito del protagonismo di sistema e dell’interesse generale, con il paradosso che alla fine tutti possono accampare una ragione, e a tutti si può dare anche torto. Ci sono imprenditori onesti e lungimiranti, ma anche speculatori e falchi, oltre che clan criminali, pronti a depredare ciò che resta delle risorse paesaggistiche. E c’è la presunzione di quanti, assumendo posti di rilievo sul territorio, dagli assessorati alle Soprintendenze, dai pm ai vertici della associazioni di categoria, pensano che la “storia” e il “cambiamento” comincino con il loro arrivo, e che tutto ciò che è stato fatto (o non fatto prima) è sbagliato, dunque da azzerare e da rifare. Con il pendolo che oscilla tra “permissivismo” e “rigorismo”. Senza certezze, senza una strategia, senza una visione. E con l’eterno ritorno al punto di partenza.

Passano gli anni, passano le stagioni, ma il segno più tangibile è proprio l’immobilismo, lo stallo, l’insopportabile spreco di opportunità di una terra ricchissima di risorse e poverissima di organizzazione sistemica. E mentre il pendolo continua a oscillare tra “permissivismo” e “rigorismo”, mentre assistiamo al contrappasso tra le stagioni del “laissez faire” e quelle dell’applicazione anche delle norme più remote, siamo costretti a contare solo danni su entrambi i fronti: non si sanano gli abusi e le ferite inferte al territorio in un passato, nemmeno tanto lontano, in cui tutti - ma proprio tutti - chiudevano gli occhi; non aiutiamo a crescere, anzi incentiviamo a sottrarre Pil, ricchezza e posti di lavoro. Poi, però, da campioni dell’ipocrisia siamo pronti a versare lacrime di coccodrillo quando le statistiche ci dicono che i nostri giovani, i nostri diplomati e i nostri laureati scappano, si allontanano, emigrano. Magari dopo che il sistema-Puglia ha speso per ognuno di loro 130mila euro. Lacrime di coccodrillo. Perché dovrebbero restare se la propria terra continua a sprecare risorse e opportunità? Come è possibile meravigliarsi e cadere dalle nuvole quando, da tempo, dossier e rapporti qualificati ci dicono che tra meno di vent’anni le città del Sud, comprese quelle della Puglia, diventeranno insostenibili per il rapporto squilibrato tra anziani e popolazione attiva? Di cosa dovrebbe occuparsi la Regione se non di queste sfide? E dove sono i sindaci e i Comuni? I partiti e i parlamentari? Latitanti, silenti, confusi, rassegnati. Ecco perché non è colpa (solo) della magistratura se il governo del territorio, in Italia come in Puglia, e ancora di più nel Salento, è affidato ormai quasi esclusivamente a inchieste e sentenze giudiziarie. Certo, in nome della legge. O, meglio, di leggi spesso tra loro in contrasto. Ma proprio per questo senza una visione e senza strategia.

 
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