Il ritorno del Cavaliere tra un Renzi e un Grillo in difficoltà

Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi
di Alessandro CAMPI
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Lunedì 6 Marzo 2017, 17:51
E se (ri)vincesse Berlusconi? Messa in questi termini, la questione sembrerebbe poco più di una boutade, di una provocazione simpatica e fuori dal tempo. Ma il tema, con quello che sta accadendo nella politica italiana, è in realtà tutt’altro che peregrino. La crisi lacerante del PD, le contraddizioni e i dubbi che accompagnano i grillini in tutte le loro scelte, così come il fatto di essere tornati ad un sistema di voto sostanzialmente proporzionale, sono tutti fattori che hanno oggettivamente contribuito a rimettere il Cavaliere al centro della scena; ovvero a ridargli gli spazi di manovra che aveva perduto dopo la sua defenestrazione dal Parlamento. E per un tattico abile qual è sempre stato, basta davvero poco per tornare a essere un protagonista decisivo nel gioco politico, specie ora che i suoi avversari più diretti - da Renzi a Grillo - sembrano in difficoltà o avere le idee poco chiare sul da farsi in vista delle prossime consultazioni politiche.

D’altro canto, la scarsa attenzione prestata negli ultimi tempi alle mosse del Cavaliere una giustificazione seria l’ha avuta. Opinionisti ed organi d’informazione sono stati legittimamente presi dalle vicende del Sindaco di Roma Virginia Raggi e dallo psicodramma della scissione in casa democratica (cui si è aggiunto il polverone delle inchieste giudiziarie che hanno coinvolto il padre di Renzi). Ma se il nostro è un sistema tripolare, come ormai scolasticamente si ripete, peraltro con tre blocchi grossomodo equivalenti, non ci si può limitare nell’analisi a due soli attori trascurando il terzo come ininfluente o poco interessante. Non solo, ma quando si parla di centrodestra non si può pensare che la partita che da mesi oppone il leader della Lega Matteo Salvini a quello di Forza Italia sia già stata decisa a favore del primo. Il Cavaliere, per cominciare, ha dimostrato di avere una capacità inventiva e una forza di mobilitazione (oltre ad una scaltrezza) nemmeno lontanamente paragonabili a quelle dei suoi alleati o competitori. Non solo, ma i voti di Berlusconi, pochi o tanti che siano e possa essere, hanno il non piccolo vantaggio di essere altamente spendibili sul mercato; sono cioè determinanti per costruire formule di alleanza le più diverse. Potenzialmente servono a Renzi, se vuole provare la strada della Grande coalizione, come a Salvini, se si vuole provare a rendere la coalizione di centrodestra nuovamente competitiva e vincente (chiunque ne sarà il leader).
Va infine ricordato come Berlusconi sia colui che, nella corsa finalizzata a catturare il voto degli italiani che si sono rifugiati nell’astensionismo (un 40% abbondante degli elettori), abbia più da guadagnare e da recuperare in termini percentuali. E ciò in considerazione del fatto che il grosso degli astensionisti ė composto da suoi ex-sostenitori delusi che piuttosto che buttarsi per protesta nelle braccia di Grillo o magari del PD renziano hanno preferito riporre simbolicamente la scheda di voto in attesa di tempi migliori.

Di questo lo stesso Berlusconi è talmente convinto da giustificare il suo attivismo di questi giorni, di cui ci si comincia ad accorgere. Il ritorno alle urne è comunque questione di mesi, anche se non si dovesse arrivare allo scioglimento anticipato della legislatura. Il Cavaliere spera di arrivarci in una condizione legale che gli consenta di ricandidarsi e di tornare in Parlamento. Ma nel frattempo sono altri tre gli obiettivi per i quali sta alacremente lavorando: neutralizzare Salvini con l’idea (realistica) che una piattaforma politica di stampo populista può forse servire a raccattare qualche voto in più ma rende impossibile il ritorno al governo (oltre a isolare l’Italia in Europa in una fase delicatissima della sua economia); ricucire la diaspora che ha portato nel corso degli anni alla frammentazione della componente moderata e anti-sinistra della politica italiana; ringiovanire e rinnovare la classe politica di Forza Italia e in generale del (futuro) centrodestra, tenuto conto anche dei limiti e delle difficoltà che su questo versante ha incontrato la strategia renziana tesa a ‘rottamare’ i gruppi dirigenti della sinistra nazionale.
Sul primo punto, quello che Berlusconi sta tentando è di mettere i leghisti in contrasto tra di loro, sostenendo la componente pragmatica, dialogante e governativa della Lega contro l’ala più ideologicamente radicale incarnata in questo momento proprio da Salvini. La sua idea che Zaia, attuale governatore del Veneto, possa essere un buon candidato premier proprio in virtù delle capacità amministrative che ha sin qui dimostrato, va esattamente in questa direzione.

Sul secondo punto, l’idea di Berlusconi - peraltro ben fondata sul piano dei numeri - è che l’assalto renziano al voto moderato e centrista (che in prospettiva avrebbe dovuto portare alla nascita di un Partito della Nazione di sinistra moderata e d’ispirazione liberal-riformista) è sostanzialmente fallito. La sconfitta al referendum costituzionale ha anzi definitivamente affossato questo ambizioso disegno. Gli elettori già berlusconiani che si sono lasciati convincere dalla retorica modernizzatrice di Renzi, sono stati in effetti pochi. E quei pezzi di gruppi dirigenti che con Renzi hanno accettato il dialogo e la collaborazione a livello parlamentare (dai verdianani ai centristi di Alfano) stanno già mandando vistosi segnali in direzione di quella che anche essi definiscono, nella prospettiva delle future elezioni politiche, la necessaria (e persino potenzialmente vincente) ricomposizione dell’area moderata. D’altro canto, gli italiani che non vogliono Grillo al governo e che stanno assistendo, tra il divertito e lo sgomento, al frantumarsi del PD cos’altro debbono sperare se non la creazione di un polo di centrodestra nuovamente coeso?
Veniamo così all’ultimo punto. La forza competitiva del fronte moderato dipenderà dalla sua capacità a rinnovare radicalmente i proprio ranghi. L’unica lezione accettabile dai grillini, secondo Berlusconi, è appunto quella che lega la rinascita dell’interesse per la politica all’eliminazione dalla scena di tutti coloro che i cittadini associano ad un passato fatto di corruzione, inefficienza e difesa dei privilegi di pochi. E proprio su questo versante - energie nuove per un nuovo centrodestra - Berlusconi pare che sia in questi frangenti attivissimo. Lo scouting è in effetti una sua vecchia fissazione e, già in passato, è stato una delle ragioni del suo successo. Ma in tempi di anti-politica dilagante ciò che sembra aver capito è che i volti nuovi del centrodestra (coloro che andranno ad infoltirne le truppe parlamentari) non dovranno essere solo telegenici e di parlantina sciolta, ma anche politicamente capaci e convincenti, e nemmeno degli avventizi che danno l’impressione di voler fare della politica la propria professione esclusiva. Dovranno invece aver dimostrato una qualche seria attitudine ad esempio come amministratori a livello locale, oppure dovranno essere giovani già in carriera, dotati di inventiva e di buone capacità organizzative. Pare che siano proprio questi i criteri con cui il Cavaliere ha cominciato a individuare i futuri capolista blindati di Forza Italia, con la speranza che questa spinta ad un radicale rinnovamento dei ranghi - che certo gli elettori apprezzerebbero - venga condiviso anche dai suoi vecchi e nuovi alleati.

Certo, in questo schema non è minimamente previsto che lui possa farsi da parte o essere considerato qualcosa meno che il deus ex machina di questo processo di riaggregazione dei moderati. Ma chi potrebbe mai rimproverarlo per questo se anche stavolta dovesse farcela a stravolgere previsioni e pronostici?
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