Il bisogno di poesia che migliora la nostra vita

Il bisogno di poesia che migliora la nostra vita
di Luca BANDIRALI
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Domenica 4 Giugno 2017, 19:38 - Ultimo aggiornamento: 19:39
Chi ricorda ancora le poesie imparate a memoria negli anni della scuola? C’è qualcosa di misterioso nella permanenza di versi straordinari e senza tempo nelle nostre vite ordinarie e tarate sul presente. Basta un momento di pausa e di complicità, e il nostro insospettabile commensale ci sorprende con la rimembranza di una rima del Foscolo. C’è sempre lo schermo dell’autoironia e della celia, in queste declamazioni; ma si coglie anche un amore per quella costruzione preziosa che ci siamo portati dentro per decenni, dopo che la scuola è finita, e poi l’università e il lavoro, l’età adulta, “le torme delle cure” insomma.

La vita trascorsa può aver cancellato il teorema di Lagrange o tutte le norme della consecutio temporum. Ma spesso quella stessa vita è stata più benevola con la poesia, che ci accompagna anche se non l’abbiamo più frequentata e coltivata, ed è questo il segno più evidente della sua potenza sovrumana. Ben altra cosa è la canzone, oggetto quotidiano che ci insegue con pervicacia nei supermercati, sulla metropolitana, nell’abitacolo dell’automobile, e che si insinua nella memoria più con il martello del tormentone che con il tocco leggero del verso. Le poesie che ancora ci fanno visita nella mente funzionano perché sono uniche e irripetibili come un fenomeno di natura su cui non abbiamo nessun controllo; le canzoni sono un prodotto seriale, talvolta di grande fattura, e arredano la nostra vita come i divani dell’Ikea.

Si potrebbe pensare che questo non sia più il tempo della poesia, sopravvissuta a sé stessa dopo i campi di concentramento, come sentenziò il severo Adorno; sopravvissuta male, nella versione edulcorata della canzonetta, o forzata a comparire su una t-shirt o sul biglietto di un cioccolatino. Eppure questa forza del passato continua a manifestarsi e a trasmettersi di generazione in generazione, abitando le pieghe del sistema culturale, pronta al riscatto. Nel supplemento culturale del “Corriere”, per esempio, ogni settimana ci sono due pagine sulla poesia contemporanea, e anche un lettore non aggiornato scopre nuovi nomi e nuove forme, che forse non visiteranno la sua memoria tra vent’anni, ma è bello conoscerne l’esistenza.

Di questo movimento di necessaria attualità della poesia, il Centro di Ricerca PENS (Poesia Contemporanea e Nuove Scritture) di Unisalento, diretto da Lucio Giannone e coordinato da Fabio Moliterni e Simone Giorgino, è una punta avanzata, sia in termini di studio che di strategie comunicative. Alle iniziative istituzionali e specialistiche, tipiche di un centro di ricerca, PENS associa tecniche di disseminazione del verso rivolte a un lettore giovane e magari anche profano. Seguendo i tweet di PENS, per esempio, ci si rende conto dell’iperbolica modernità di Ungaretti, un poeta talmente attuale che non ha problemi a stare nei 140 caratteri: “E subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare”. Oppure ci si accorge di quanto è “social” la veemenza di Giorgio Caproni: “Fermi! Tanto / non farete mai centro. / La Bestia che cercate voi, / voi ci siete dentro”.

Questa pillola quotidiana fa bene alla mente, magari mentre cerchiamo una notizia o compulsiamo uno dei tanti archivi digitali del web. Ovviamente la cura di PENS non si limita a questo basso dosaggio. Sul sito del Centro troviamo spazi più estesi di approfondimento, palestra per giovani studiosi che, sotto la guida attenta dei docenti, affrontano temi e autori nuovi o dimenticati, coinvolgendo scrittori e intellettuali di fama.
In questo modo la poesia diventa un segnale di lavori in corso, la luce accesa in un laboratorio permanente, che unisce le generazioni non soltanto nel nostalgico ricordo di un verso, ma nel suo rilancio nella direzione del futuro.
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