Tra difesa e vendetta c'è grande differenza

Tra difesa e vendetta c'è grande differenza
di Raffaele CANTONE
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Domenica 3 Marzo 2019, 20:10
Nei giorni scorsi ha suscitato molto clamore il caso dell’imprenditore Angelo Peveri, condannato per aver gravemente ferito un ladro sorpreso a rubare carburante nel suo cantiere. Secondo quanto si è letto, Peveri avrebbe ferito il ladro (già immobilizzato) esplodendo due colpi da distanza ravvicinata con un fucile a pompa che aveva portato con sé.

Nel processo l'avvocato dell'imprenditore non ha mai provato a giustificare l'accaduto con la legittima difesa, sostenendo piuttosto che i colpi erano partiti accidentalmente. Il giudizio si è chiuso con una condanna non pesante in relazione alla gravità del reato (quattro anni e mezzo per tentato omicidio) e l'imprenditore si è spontaneamente presentato in carcere per scontare la pena. Nei suoi confronti tantissimi cittadini hanno espresso solidarietà e addirittura approvazione, compresi importanti esponenti delle istituzioni, alcuni dei quali hanno persino fatto balenare che, con la riforma in corso della legittima difesa, Peveri non sarebbe stato condannato.

È una vicenda che dice molto del clima attuale del Paese, perché conferma la regressione culturale in atto nella nostra società: molti ritengono evidentemente legittimo farsi giustizia da sé, fino (quasi) a giustificare l'omicidio di chi attenta ai propri beni.

Queste reazioni vengono spiegate con l'insicurezza diffusa, che fra l'altro - a guardare le statistiche dei reati - si direbbe più percepita che reale.

Premetto che ho sempre pensato che percezioni di questo tipo, anche quando sono infondate, non debbano mai essere sottovalutate né possano essere liquidate con una scrollata di spalle, e che sia preciso compito delle istituzioni preposte fare in modo che simili sensazioni scompaiano o quanto meno si attenuino. Gli equivoci ingenerati da questa vicenda dimostrano tuttavia che, con l'intenzione di ampliare la scriminante della legittima difesa, si rischia di accreditare presso l'opinione pubblica l'idea che anche condotte penalmente assai gravi possano diventare lecite se commesse contro chi delinque. Incluso, come nel caso in questione, il tentato omicidio di un uomo già neutralizzato e reso inoffensivo.

Proprio per questo è indispensabile che i rappresentanti delle istituzioni siano i primi a sgombrare il campo da interpretazioni fuorvianti, così da evitare implicazioni ben più profonde e gravi.
Bisogna in primo luogo evitare di veicolare un vero paradosso: quello secondo cui lo Stato, cioè, quasi a riconoscere la propria impotenza, piuttosto che mettere in campo una efficace strategia di ordine pubblico, pensi di delegare al singolo la difesa della propria incolumità e dei propri beni. Sarebbe infatti una prova di debolezza più che di forza!

Nemmeno durante il Ventennio, che pure faceva dell'ordine un punto cardine, è mai stata ventilata questa posizione; nel codice Rocco del 1930, per invocare la legittima difesa, era necessario che essa fosse proporzionata all'offesa. In base a quanto prevede la riforma all'esame del Parlamento, invece, chi respinge una intrusione nei luoghi di proprietà privata agisce sempre in stato di legittima difesa, a prescindere dall'entità e dall'effettività del pericolo.

È una formulazione che (lo dico con chiarezza) non mi sembra né convincente né in linea con i principi di uno Stato liberaldemocratico, ma che comunque non sembra affatto autorizzare forme di vendetta privata.
Chi propugna la riforma, perciò, deve fare chiarezza sul suo contenuto, così da evitare di mettere in discussione caposaldi della nostra cultura giuridica, poiché sono millenni che la giustizia fai-da-te è stata sostituita dal monopolio statale della coercizione. L'idea di irrogare una sanzione a chi commette reati, evitando in tal modo il ricorso alla vendetta privata e al principio del dente per dente, risale infatti alle Dodici Tavole (il primo corpus legislativo messo per iscritto dai Romani nel 450 a.C.!) con una ineccepibile motivazione: ne cives ad arma veniant, ovvero per evitare che i cittadini ricorrano alle armi.

Tanto più che, anche a giudicare dalle esperienze invalse all'estero, non è affatto detto che una delega all'autodifesa scoraggi i reati predatori. Anzi vi è persino un rischio opposto. Negli Usa, notoriamente assai indulgenti in tema di armi, negli anni '90 fu introdotta la three-strikes law, che prevedeva la condanna all'ergastolo dopo tre reati di media gravità (ad esempio i furti). Lungi dal risolvere i problemi, le statistiche hanno dimostrato che non solo la criminalità non si ridusse ma addirittura aumentarono gli omicidi perché i malviventi, pur di farla franca e non essere arrestati per la terza volta, erano disposti a uccidere.

Anche estendendo le fattispecie che giustificano la legittima difesa, sarebbe bene ricordare che, quando c'è un furto o una rapina, di rado il primo a riuscire a tirare fuori la pistola è il derubato!

 
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