Tubo a San Foca? L'acqua non è il gas

In foto Biagio Marzo e Damiano Potì
In foto Biagio Marzo e Damiano Potì
di Damiano POTI'
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Lunedì 4 Dicembre 2017, 05:55 - Ultimo aggiornamento: 12:27
Dopo 25 anni è stata richiamata, in un recente articolo apparso sul Quotidiano di Puglia, la proposta di legge 1159 del 30.06.1992 intitolata “Norme per la realizzazione e la gestione di un acquedotto sottomarino tra l’Albania e l’Italia” da me presentata assieme a numerosi colleghi parlamentari.
L’argomento è tornato nuovamente d’attualità. In quel contesto (1992) l’opera appariva fattibile, utile, non inquinante, sicura. Nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge si faceva riferimento, in linea generica e senza un approfondito studio tecnico, ad un approdo a San Foca–Torre Specchia, in una zona allora di scarsa fruizione balneare, approdo preso in esame data la vicinanza al serbatoio dell’Acquedotto pugliese, nei pressi di Galugnano. Ovviamente in caso di approvazione della proposta di legge si sarebbero dovute successivamente porre in essere più dettagliate analisi tecniche al fine di individuare il migliore punto di approdo.
Nella relazione poi, oltre alle esigenze di approvvigionamento idrico della Puglia, si faceva brevemente cenno anche ad una funzione impropria dell’acquedotto e cioè che l’adduttrice marina potesse essere utilizzata come supporto ad altre condotte energetiche. Questa “funzione impropria” era all’evidenza un’ipotesi astratta (che a distanza di 25 anni nemmeno ricordavo!) e del tutto marginale rispetto all’oggetto della proposta di legge, riguardante esclusivamente la costruzione di un acquedotto da costruire tra Italia ed Albania.
In ogni caso l’art. 3 della proposta di legge prevedeva che “il concessionario predispone…le soluzioni operative nel rispetto delle disposizioni relative ai vincoli archeologici, ambientali, storici, artistici e territoriali”. Pertanto sia l’individuazione del punto di approdo dell’acquedotto, sia ogni altra proposta progettuale doveva assicurare il rispetto delle su indicate disposizioni.
Alla luce delle conoscenze ad oggi acquisite ritengo che qualsiasi altra “funzione impropria” dell’adduttrice marina (tra l’altro non prevista nell’articolato della proposta di legge) non doveva e non poteva essere realizzata né allora, né ora.
 
Per quanto concerne la proposta di costruire un acquedotto e - più in generale - il problema dei rifornimenti idrici della Puglia rilevo che lo sviluppo e la diffusione di nuove tecnologie (oggi esistenti, ma nel 1992 non ancora affermate) potrebbero oggi consentire di ridurre il consumo di acqua e pertanto fare fronte in parte all’emergenza idrica. Mi riferisco in particolare al sistema di riutilizzo delle acque reflue in agricoltura rispetto al quale mi sono in passato fatto promotore di iniziative e progetti. Importante è anche la manutenzione e riparazione dell’acquedotto pugliese al fine di evitare ingenti perdite di acqua e la realizzazione di azioni volte a favorire la diffusione di una cultura del risparmio di acqua.
Accanto a questi interventi potrebbe probabilmente, ancora oggi, rilevarsi utile un acquedotto che colleghi l’Italia all’Albania. In questo caso tuttavia sarebbero da studiare con severità ed attenzione tutte le possibile alternative per l’individuazione del punto di approdo, al fine di ridurre al minimo qualsivoglia impatto ambientale.
Ciò chiarito, ogni tentativo di collegamento tra la mia proposta di legge avanzata 25 anni fa e il progetto di gasdotto Tap è del tutto fuori luogo. L’articolato del progetto di legge riguardava esclusivamente un acquedotto e di altro tipo di infrastrutture si fa cenno - in via del tutto ipotetica e teorica - solo in pochi righi della relazione iniziale. Paragonare l’acqua al gas è improprio. L’acqua è un bene primario, il gas è una fonte fossile inquinante per il cui trasporto e trattamento è necessaria la costruzione di infrastrutture fortemente impattanti e pericolose come la centrale di depressurizzazione.
Inoltre oggi, a differenza che nel 1992, assistiamo alla forte affermazione delle energie rinnovabili e al costante sviluppo di interventi di efficientamento energetico. L’importazione del gas oltre che comportare la realizzazioni di opere dannose e pericolose appare quindi inutile, come dimostra il rilevante calo dei consumi di gas in Italia avvenuto negli ultimi anni.
In ogni caso attualmente è da escludere tassativamente qualunque approdo di un gasdotto nel Salento. In particolare totalmente inidoneo è l’approdo a San Foca sulla base di un progetto che prevede l’allocazione di una pericolosa centrale di depressurizzazione a meno di 1 km dai centri abitati, molto al di sotto della distanza di 5 km prevista dalla Legge Seveso, distanza che dovrebbe comunque essere rispettata per tutelare i valori della sicurezza e della salute. Secondo insigni professori universitari una tale collocazione della centrale determinerebbe addirittura il pericolo di esplosioni ed incendi che potrebbero coinvolgere gli abitanti che risiedono nei pressi della centrale.
Allo stato attuale vengono quindi calpestati da Tap tutti gli aspetti di tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza. Questa infrastruttura infatti, ove realizzata secondo l’attuale progetto, devasterebbe le bellezze naturali, danneggerebbe l’economia turistica ormai crescente nell’intero Salento ed in particolare l’economia di Melendugno, paese che negli ultimi anni ha avuto importanti riconoscimenti come la Bandiera Blu e le 5 vele di Legambiente. Anche qualunque altro approdo in provincia di Lecce sarebbe sbagliato in quanto per la presenza di circa cento comuni ed altrettante frazioni sarebbe impossibile individuare una localizzazione della predetta centrale che consentisse di scongiurare il pericolo per la salute e l’incolumità delle persone. Di quanto detto sopra sono tanto convinto che, a mio avviso, la condizione di totale sicurezza, giammai contrattabile, dovrebbe essere inserita nel documento dei sindaci, al fine di tutelare l’incolumità e la serenità delle popolazioni.
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