UniSalento: manca una visione strategica

di Carmelo PASIMENI
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Venerdì 20 Gennaio 2017, 17:51
Tra le tante innovazioni introdotte nel sistema universitario italiano dalla riforma Gelmini, il mandato unico di sei anni non rinnovabili alla carica di rettore è senz’altro quella che non ha apportato alcun beneficio agli atenei. Il mandato unico si conferma come un ostacolo normativo alla piena funzione delle comunità accademiche. Non concede a queste la possibilità di esprimere una “valutazione” (termine usato e abusato per tutte le attività accademiche, dalla didattica alla ricerca all’amministrazione) sull’operato dei rettori. Neanche di metà mandato.
In questo senso la legge 240/2010 (Gelmini) è peggiorativa rispetto alla precedente normativa, che almeno prevedeva due mandati (due quadrienni) con possibilità di rinnovo per una sola volta della carica di rettore. I rettori uscenti, infatti, erano tenuti a sottoporre agli elettori il loro operato, essere giudicati per essere riconfermati su ciò che avevano saputo fare e sugli obiettivi programmati e raggiunti. Il mandato unico, invece, lascia alla sensibilità dei rettori, alla loro discrezionalità la possibilità di sottoporsi a giudizio del corpo accademico durante e dopo i sei anni. Possono anche non farlo. Non sono tenuti.
Il rettore Vincenzo Zara non ha ritenuto opportuno, neanche a metà mandato, tracciare un primo bilancio della propria gestione. Quel poco che si sa, l’ha fatto a singhiozzo, attraverso striminzite dichiarazioni. Neanche le relazioni alle inaugurazioni degli anni accademici passati, di solito momenti qualificanti di un ateneo, hanno fornito un quadro chiaro e verificabile dell’attività amministrativa trascorsa. Anche per dar conto all’esterno dell’università di cosa si è fatto, per “rifondare” quel “patto col territorio” su cui tanto ha insistito nel primo triennio e oltre di mandato.
Aveva preannunciato la convocazione di Conferenze d’Ateneo monotematiche sui punti più delicati dell’attività amministrativa, ma di queste neanche l’ombra. Sarebbe interessante conoscere la situazione del bilancio, quella economico-finanziaria dell’ateneo che, a quanto è dato sapere, è fortemente in sofferenza. E non solo per i tagli al Ffo, che datano dal 2008. Si parla, secondo quanto è stato riportato dalle cronache di stampa (piuttosto scarne per la verità e accompagnate da un assordante silenzio del mondo accademico) di un deficit di bilancio di oltre tre milioni di euro, che nei prossimi anni raddoppierà. Una cifra enorme! Specialmente se è stata accumulata nell’arco del primo triennio di mandato. A tal proposito, per non generare ombra di dubbio, c’è da dire che Zara ha ereditato sul piano finanziario una situazione ottimale dalla precedente amministrazione, come peraltro è stato dimostrato dalla conclusione dell’indagine ispettiva del Ministero dell’Economia e Finanza sull’attività amministrativa-contabile dei bilanci 2008-2013. Tra l’altro, il deficit di bilancio non è addebitabile del tutto al calo degli iscritti. Il rettore, meglio di chiunque altro avendo ricoperto la delega alla didattica con i precedenti due rettori, avrebbe potuto fornirci un’analisi del fenomeno di lungo periodo sulle mancate iscrizioni, in particolare nei corsi di laurea specialistiche o magistrali.
Sull’edilizia, altro punto dolente. E non solo per la costruzione della “torre” ridotta da quattordici a tre piani, quanto per la paventata perdita del finanziamento erogato; una perdita di circa 50 milioni di euro! E anche su questo si sa poco. Non una parola. Né da parte delle organizzazioni professionali, né da parte delle forze politiche, né da parte dei sindacati sempre pronti a lamentare la mancanza di lavoro e sempre attivi a questuare una boccata d’ossigeno, magari attraverso qualche commessa pubblica, per fronteggiare la disoccupazione dilagante. Le recenti notizie di stampa su tale questione, tra l’altro, hanno presentato all’opinione pubblica salentina la messa in funzione delle strutture didattiche e di ricerca dello “Studium 2000”.
Per dimenticanza o, forse, per reticenza il nuovo plesso è stato presentato come intervento qualificante di questa amministrazione. Nessuno ha avuto il buon senso di dire che l’ampliamento dello “Studium 2000” è ascrivibile agli sforzi notevoli della passata amministrazione e alla progettualità complessiva del polo umanistico. Per quanto riguarda poi la dismissione del palazzo Parlangeli, la ristrutturazione del “Principe Umberto”, l’area urbana compresa tra i plessi dell’ex Sperimentale Tabacchi, Olivetani, Studium 2000, attualmente destinata dal comune a parcheggio di auto e per la quale era stata chiesta una nuova destinazione d’uso per creare spazi funzionali e fruibili dagli studenti dell’area umanistica, sarebbe sufficiente rifarsi alle conclusioni della Conferenza d’Ateneo del 31 marzo 2012, prima di propagandare altre soluzioni come se nulla ci fosse stato. Gli immobili, del resto, non sorgono spontaneamente da un giorno all’altro. Forse il rettore, o chi per lui, dovrebbe chiarire come mai un immobile (“Studium 2000”), pronto dal 2013 è stato messo in funzione alla fine del 2016. Un ritardo ingiustificabile!
La pubblicazione della classifica del Times Higher Education World University Ranchings, inoltre, posiziona al penultimo posto l’Università del Salento nella fascia da 401 a 500 fra le 800 Università del mondo. E’ una brutta retrocessione del nostro ateneo rispetto alla posizione occupata nella classifica del 2014, su dati del 2013, in cui su 400 Università quella salentina occupava la 263sima posizione e, rispetto agli atenei italiani, si collocava al quinto posto, nella stessa fascia di Trento e prima della Normale di Pisa. Non si tratta di uno “scivolamento fisiologico per l’allargamento del campione”, come ha dichiarato lo stesso Zara. Evidentemente altri fattori negativi stanno incidendo sul declassamento di Unisalento, che “se avesse mantenuto i valori di qualche anno fa -ha scritto un quotidiano locale- oggi si collocherebbe in una fascia superiore, insieme alle blasonate Bologna, Trento e Politecnico di Milano”.
L’analisi dei 13 indicatori di performance conferma il calo e questo rende ancora più preoccupante il futuro dell’Università salentina, che non eroga più servizi agli studenti, ha annullato quei pochi ma utili finanziamenti di dotazione ordinaria attivi fino a pochi anni fa, sono stati rastrellati i fondi residui dei progetti di ricerca nazionali e internazionali, non si acquistano più libri né si rinnovano gli abbonamenti alle riviste per l’aggiornamento bibliografico e lo sviluppo della ricerca scientifica; per non parlare poi della riorganizzazione dell’amministrazione centrale e periferica (dei dipartimenti). Si apportano tagli ma si mantengono le indennità di carica.
Tutto sembra essere in caduta verticale, più che in una fase di stallo! La gravità della situazione richiede urgentemente un bilancio del governo dell’ateneo, per frenare questa curva discendente e per ri/programmare il futuro di Unisalento. È necessario sapere qual è il modello di università che il rettore Zara ha in mente, prima ancora di “capire qual è la visione regionale: se si vuole creare e sostenere effettivamente un polo territoriale oppure no”, come egli stesso ha dichiarato. La vera scommessa è proprio questa: si vuole rafforzare l’identità dell’Università del Salento, libera, autonoma, responsabile, propositiva, oppure trasformarla in una molteplicità di “sezioni” di un polo regionale più accreditato sul piano della ricerca scientifica, dell’alta formazione e dell’innovazione? E questo non dipende dalla “visione regionale” ma dalla capacità di chi ha responsabilità di governo, quella di dare all’Università del Salento obbiettivi di sviluppi strategici e di lungo periodo.
In mancanza di una visione strategica e di obbiettivi di crescita e di sviluppo, sarebbe opportuno che chi è alla guida di Unisalento ne traesse le dovute conclusioni: passare il testimone ad altri. Prima che sia troppo tardi!
 
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