Xylella e Tap, i danni prodotti dal deficit di classe dirigente

di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 30 Aprile 2017, 17:29
Di giorno in giorno e di problema in problema stiamo scorgendo, anche intorno a noi e sul nostro territorio, i gravi pericoli che derivano dal profondo deficit di classe dirigente, la non governabilità dei problemi provocata dalla smarrita capacità di direzione politica, intellettuale e morale della società. Da tempo, storici e politologi indagano sulle origini di questa crisi in Occidente, che affonda le radici nel processo di eclissi della borghesia e nel superamento per “vecchiaia” delle forme di organizzazione degli Stati moderni, così come le abbiamo conosciute finora. Ma il punto, qui, non è tanto l’origine quanto gli effetti che sta producendo questa crisi sul nostro vissuto quotidiano. Effetti che aprono scenari inesplorati e pongono interrogativi fondamentali per capire dove stiamo andando.

Il primo: può una società democratica fare a meno di una classe dirigente - attenzione: dirigente non dominante - nel nome di una “orizzontalità” che annulla e non riconosce la “verticalità” delle competenze, delle conoscenze, dei saperi e delle professionalità (anche in politica)? Può, inoltre, una società democratica sopravvivere a se stessa se vede infrangere e demolire quel patto di convivenza civile, fondato anche su leggi, procedure e norme, che è alla base di una comunità che si fa Stato, anzi Stato di diritto?

In altre parole: fino a che punto l’esaltazione del nuovo e imperante principio “uno vale uno” può essere compatibile con quel contratto che ha consentito nelle società occidentali il superamento dell’hobbesiano stato di natura “bellum omnia contra omnes” (“la guerra di tutti contro tutti”) e garantito la convivenza pacifica e democratica? E infine: può una società democratica continuare ad essere tale se la politica abdica alla sua funzione fondamentale, cioè di direzione di marcia e di costruzione di senso, di ricerca delle sintesi tra interessi contrapposti e visioni divergenti, per inseguire e assecondare il ribellismo e lo spontaneismo che ribollono nella pancia della società?
Questioni complesse, certo. Eppure di vitale importanza per il nostro futuro prossimo. Se fermiamo lo sguardo intorno a noi, al nostro territorio, ci accorgiamo quanti guasti e quanti danni provoca il quotidiano deficit di classe dirigente e, in particolare, la subalternità culturale della politica rispetto ai problemi che ci stanno di fronte. A cominciare dall’emergenza xylella e dal caso Tap.

Da molti anni il Salento e, di recente, anche altre aree della Puglia sono state investite da un flagello che sta mutando il paesaggio e minacciando la stessa identità del territorio, con l’essiccamento e la morte - finora - di centinaia di migliaia di ulivi (circa due milioni secondo il dato emerso venerdì scorso nell’audizione degli scienziati in Regione). Le istituzioni e la politica hanno dapprima sottovalutato il problema, poi hanno tentato affrettate risposte emergenziali, infine, di fronte a una immotivata ondata di proteste alimentate dai professionisti delle fake-news (nel Salento li abbiamo sperimentati prima che altrove), si sono completamente arrese al fronte “negazionista” e ai teorici del “complottismo”, assecondando di fatto quanti sostenevano, in contrapposizione alla comunità scientifica e sulla base di qualche fugace lettura su Wikipedia, che la causa dell’essiccamento non fosse la xylella e che, anzi, la xylella fosse una bufala mediatica, un’invenzione dei giornali al servizio di multinazionali e grandi speculatori.

Così, negli ultimi due anni, anche in seguito ad una inchiesta aperta dalla Procura di Lecce e tuttora in corso, è prevalsa l’idea di bloccare tutto, mettere sul banco degli imputati gli scienziati, azzerare i piani d’emergenza - evento salutato con entusiasmo dai governanti locali perché finalmente sollevati dal compito di intervenire - e lasciare che il batterio avanzasse indisturbato. La cosiddetta “orizzontalità” ha vinto, le competenze stracciate, la politica - a destra e a sinistra - ha abdicato alla sua funzione di direzione e di proporre soluzioni per il problema, assecondando l’urlante vociare della rete. Domanda: chi ha ucciso finora più ulivi? Forse gli scienziati che denunciavano con forza, sfidando i professionisti della piazza e del falso ambientalismo, la gravità della situazione? O chi ha negato l’esistenza della xylella e si è opposto a qualsiasi intervento, vagheggiando il complotto delle multinazionali? Le risposte sono senza appello. Così come senza appello è la subalternità dimostrata dalla politica, incapace di elevarsi a classe dirigente e affrontare di petto il problema anche al costo di sfidare una “momentanea” impopolarità.

E veniamo alla contrastata vicenda del gasdotto Tap. Quando il rispetto di sentenze e ordinanze di Tribunali deve essere imposto con la forza e quando poteri dello Stato si fronteggiano “fisicamente” su un campo di battaglia, vuol dire che si è in presenza innanzitutto di un gravissimo deficit di classe dirigente. Sia chiaro: bisogna avere rispetto e ascolto verso chi manifesta per un’idea o una causa, chi protesta democraticamente, chi decide di impegnarsi in prima persona perché vuole difendere l’ambiente e il territorio. E bisogna avere rispetto e ascolto verso uomini e donne che esprimono dubbi, perplessità, dissenso di fronte a scelte che investono la propria terra, soprattutto se questa stessa terra in passato è stata devastata e sottoposta a insediamenti fortemente impattanti e inquinanti. Non possiamo lamentarci di una democrazia ormai senza popolo e di una partitocrazia senza più partiti, per poi liquidare e addirittura condannare le manifestazioni di dissenso. La partecipazione e l’impegno civile sono da esaltare e condividere anche quando producono conflitto e diversità di vedute, non solo se coincidono con il proprio punto di vista. Il tutto, però, entro un quadro di regole, procedure e leggi. Un quadro da tutti condiviso in nome di quel patto di convivenza che è alla base dello Stato di diritto. Altrimenti siamo a un passo da una riedizione aggiornata dell’hobbesiano “bellum omnia contra omnes”, nel senso che ognuno potrà sentirsi in diritto e finanche in dovere di rifiutare l’applicazione di regole, procedure e leggi.

È proprio su questo versante che la politica ha smesso di essere classe dirigente, non solo abdicando alla sua funzione ma smentendo anche se stessa per scimmiottare usi e costumi dei movimenti di moda.
Di fatto, è poco credibile chi oggi, di fronte alle proteste di piazza, grida allo scandalo per l’approdo del gasdotto nel Salento, quando in passato ha ricoperto importanti ruoli di governo in Regione e ha abbozzato il piano energetico regionale prevedendo la presenza non di uno ma di più gasdotti in Puglia. Parimenti, appare poco credibile la posizione di chi, pur ricoprendo importanti ruoli istituzionali ed ergendosi da sempre a paladino dell’intoccabile Costituzione repubblicana, in questi mesi ha continuato a far credere che la partita per l’approdo di Tap a Melendugno fosse ancora aperta, illudendo la popolazione di poter cambiare l’esito delle lunghe procedure, previste dalle leggi e fin qui seguite, a colpi di ricorsi e cavilli giuridici, magari per lucrare qualche consenso. Così come è poco credibile, soprattutto se ha ruoli istituzionali, chi continua a rivolgersi legittimamente ai Tribunali della Repubblica per veder riconosciute le proprie tesi, ma poi non rispetta l’esito delle sentenze se queste non rispondono alle proprie aspettative. Vogliamo poi parlare dei partiti di centrodestra che, a livello nazionale, sono stati convinti sostenitori del piano per le centrali nucleari, volevano e vogliono il ponte sullo stretto di Messina, difendevano e difendono le ricerche petrolifere in mare e a terra, e qui nel Salento impugnano la bandiera dell’ambientalismo duro e puro? E che cosa dire dei dirigenti di nuovi partitini e nuovi movimenti della sinistra che per anni, in nome di politiche riformiste e di governo, non solo sono stati d’accordo con l’arrivo del gas nel Salento, ma hanno sostenuto progetti faraonici per porti turistici, superstrade e infrastrutture, e oggi si mischiano ai manifestanti, partecipano alle barricate e presentano interrogazioni in Regione, in Parlamento e finanche a Bruxelles? Infine: che cosa pensare dei sindaci salentini, tutti (tranne uno) schierati contro il gasdotto per l’impatto ambientale devastante, spesso alla guida di Comuni dove continuano a consumarsi e ad essere impuniti scempi e abusi? Meglio tacere, per carità di patria, su parlamentari, ex e nuovi assessori e consiglieri regionali che - tranne rarissime eccezioni - oggi in pubblico si travestono da ambientalisti barricaderi dopo aver in passato sottolineato e sostenuto la strategicità dell’opera. Appunto, subalternità culturale e tatticismi di piccolo cabotaggio.

Ecco, al di là dell’impatto ambientale del gasdotto su cui ognuno può e deve farsi un’idea leggendo le carte e i progetti, al di là della correttezza dei piani di contrasto al flagello della xylella, il problema dei problemi è prima di tutto questo grave deficit di classe dirigente che produce una crescente ingovernabilità nella cosiddetta “società orizzontale”. Prima ce ne rendiamo conto, meglio è. Non solo nel Salento e in Puglia, ma anche in Italia e in Occidente.
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