La solita resa dei conti. Anche la partita giocata per i sottosegretari nel Pd si è trasformata in una spartizione tra le diverse correnti del partito, confermando il lento logorio a cui sta andando incontro la squadra dem. Un dissenso che, a governo formato, ormai non si tiene neppure più nascosto. Al punto che anche il segretario Nicola Zingaretti, sempre favorevole ma che fino a qualche tempo fa ne parlava come una cosa da «marziani», ha aperto ad un congresso che abbia come obiettivo quello di «rafforzare il Partito Democratico».
Sottosegretari, nuovo equilibrio e correnti: chi ha vinto e chi ha perso con le nomine
È ormai impossibile ignorare la costante frizione interna che, ad esempio, si è tradotta nel sottogoverno nel ridimensiomento della corrente di Orlando (già premiato con la poltrona del ministero Lavoro) che non vede confermati Misiani e Martella o nella necessità di Zingaretti di marcare il suo territorio per pretendere che al Mef finisse Alessandra Sartore, già assessore al Bilancio nel Lazio, e che ci fossero 5 sottosegretarie donne su 6 dopo le polemiche seguite ala formazione dell'esecutivo.
Governo Draghi, squadra al completo: chiusa partita sottosegretari
Non solo, come se non bastasse, da giorni è anche partita l'offensiva di sindaci e amministratori locali con Decaro, Nardella, Gori e Bonaccini. Quest'ultimo in particolare, dopo aver aperto a Salvini «su cose che hanno senso» come i ristoranti aperti a cena, studia le mosse perché considerato in questo momento l'alternativa più solida a Zingaretti, anche in virtù dell'appoggio della corposa minoranza di Base Riformista.
Un congresso appare quindi inevitabile.