Pd, gli scissionisti sono già divisi. Mossa di Orlando

Pd, gli scissionisti sono già divisi. Mossa di Orlando
di Nino Bertoloni Meli
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Martedì 21 Febbraio 2017, 07:45 - Ultimo aggiornamento: 11:35

Nella scissione a rate come ormai viene chiamata, forse si è arrivati all'ultima cedola: alla direzione del Pd convocata per oggi pomeriggio, la minoranza dem non ci sarà. Mancava l'atto simbolico, il punto di rottura, il teatro Goldoni e il San Marco di Livorno (scissione del Psi che portò al Pdci di Bordiga, Gramsci e Togliatti), adesso c'è.

IL MESSAGGIO
Disertare una direzione non è ancora di per sé una mancanza grave, nei partiti di ora si usa e si abusa, ma quella di oggi deve decidere le regole del prossimo congresso, come selezionare i candidati, in particolare il comitato che reggerà il partito fino all'investitura del prossimo leader, in pratica oggi al Nazareno si decide come prosegue la vita del Pd. E chi non c'è è assente ingiustificato, vuol far sapere che non gli interessa il futuro del partito dal quale proviene. Punto.

«No, non andiamo alla direzione, che ci andiamo a fare?», hanno annunciato con le stesse parole sia Roberto Speranza che Enrico Rossi, che ha pure restituito la tessera. E il terzo, Emiliano Michele da Bari? «Non ho ancora deciso se andare o meno», dichiarava alla 18,18 e 21 secondi uscendo da una riunione al Mise sull'Ilva. Michele uno e trino, più fa l'Emiliano più sta facendo imbestialire tutti. Dopo il suo intervento in assemblea concluso con il five a Renzi, gli altri due, Rossi e Speranza, lo hanno convocato e gli hanno detto a brutto muso «no, così non va», e gli hanno imposto il comunicato congiunto della «scissione provocata da Renzi».

LE POSIZIONI
Gli emilianei da dentro lo spingono a rimanere, i Boccia, i Ginefra, fanno sapere di «attendere da Renzi una parola chiara sui tempi del congresso e sulla proposta di assemblea programmatica di Orlando», forti anche di quanto Emiliano ha detto riservatamente a più d'uno, «il modo migliore di fare più male a Renzi è rimanere dentro».
Anche dalle parti di Matteo leader sospeso hanno perso la pazienza, non considerano il governatore pugliese uno in grado di scaldare più di tanto il popolo dem in vista delle primarie, piuttosto di far perdere autorevolezza e presentabilità. Non lo sopporta neanche Andrea Orlando, possibile anti-Renzi alle primarie, «è complicato tenere insieme socialismo europeo e grillismo pugliese», la rasoiata attribuita al Guardasigilli. Se, alla fine, Emiliano dovesse rimanere nel Pd e candidarsi alle primarie, non farebbe comunque venir meno la candidatura che ormai si prospetta della nuova corrente di sinistra interna, quella che fa capo a Orlando, Cuperlo e Damiano. Il più gettonato a scendere in campo è il Guardasigilli, anche se la sua proverbiale cautela potrebbe alla fine dissuaderlo da una scesa in campo che potrebbe non riscuotere il successo sperato.

LA CARTA DAMIANO
Cuperlo ha già dato la volta scorsa, resta Damiano che già si muove da candidato in pectore: parla con i giornalisti, rilascia interviste, dichiara che «Emiliano o non Emiliano, noi siamo un'altra cosa, siamo la sinistra del Pd, ci candidiamo comunque», e per ultimo, che non guasta, fa ascoltare quanto è intonato cantando in Transatlantico motivi quale «Il pullover che mi hai dato tu» di Gianni Meccia oppure «Mettete dei fiori nei vostri cannoni» dei Giganti.

LA CONTA
Scissione consumata, è tempo di conta nei gruppi parlamentari, gli unici al momento investiti dal vento separatista: i gruppi autonomi si faranno solo dopo le votazioni sul Milleproroghe, altrimenti i neo gruppi nascerebbero già divisi, visto che la quindicina di deputati che porta Arturo Scotto non potrebbe votare la fiducia promessa dai ribelli dem. Chi capogruppo? «Impensabile che siano entrambi di Bersani, visto che Scotto porta una buona fetta di componenti». Quanti saranno? Al gruppo dem hanno fatto i conti e chiamato l'appello. Risultato: dal Pd non se ne andranno più di una ventina alla Camera e una dozzina al Senato.