Il caso Bari, il trasformismo e la scoperta (tardiva) del centrosinistra

Lo sfogo di Decaro («Dobbiamo combattere il trasformismo»), le strategie in vent’anni del centrosinistra e le parole di Emiliano («È un atto di libertà»): i tanti esempi di cambi di casacca e accordi

Il caso Bari, il trasformismo e la scoperta (tardiva) del centrosinistra
di Francesco G. GIOFFREDI
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Sabato 23 Marzo 2024, 14:11 - Ultimo aggiornamento: 14:17

Il centrosinistra in Puglia ha un problema – da molto tempo – grande come la proverbiale e variegata arca di Noè, che tutti imbarcò. Ma l'ultimo ad accorgersene, in questi giorni di tuono e rabbia e orgoglio, è stato proprio il centrosinistra stesso. Il problema, in una parola sdoganata mercoledì a ugola vibrante da Antonio Decaro, si chiama “trasformismo”, cioè il virus che infetta e corrode la politica. Pratica antica, ma in Puglia elevata a dottrina, a metodo, a leva elettorale. L’inchiesta che ha scosso Bari, il faro accecante puntato sullo scambio politico-mafioso, l'arresto della consigliera comunale di maggioranza Maria Carmen Lorusso e del marito Giacomo Olivieri (ex consigliere regionale che da centrodestra a centrosinistra e viceversa ha trasmigrato più volte), l'arrivo della commissione ministeriale, sono stati una miccia che ha fatto deflagrare tutto, al punto da innescare una fulminante, improvvisa e vagamente impaurita presa di coscienza. Breve riassunto: la consigliera Lorusso nel 2019 fu eletta col centrodestra di Pasquale Di Rella, che era già stato presidente del Consiglio col centrosinistra; poi, tanto il candidato sindaco quanto la consigliera hanno traslocato nel centrosinistra di Decaro. Stessa trafila per Francesca Ferri, anche lei consigliera arrestata in una precedente inchiesta per voto di scambio. Non gli unici casi, in Puglia, di transumanza dal centrodestra al centrosinistra, in una sorta di abbuffata di voti, figurine, classe dirigente di varia estrazione accolta senza troppe remore perlopiù sotto il mantello protettivo di Michele Emiliano, che del trasformismo nobilitato a regola è il principale architetto e teorico. Gli esempi sono tanti, ma ci arriviamo: assessori e consiglieri regionali, vertici di partecipate e controllate, piccoli e grandi protagonisti in un carosello da far girare la testa. 

Le due letture di Decaro ed Emiliano

Il punto, al momento, è uno: il tardivo atto di resipiscenza che, ora, ha colto Decaro e buona parte del centrosinistra. Il sindaco di Bari, quasi in un moto liberatorio, nella conferenza stampa del contrattacco e delle lacrime è sbottato così: «Dobbiamo combattere il trasformismo, che è il problema vero. Quelle due persone che sono state arrestate (Lorusso e Ferri, ndr) poi gira e gira sono tornate nell'alveo della maggioranza, anche se avevo detto che non le volevo», «cercano di andare sempre dove si vincono le elezioni».

Ecco la chiave di tutto: l’attrazione del potere, la capacità adesiva della vittoria, l'ampliarsi – quinquennio dopo quinquennio – di spazi di manovra su nomine, poltrone, strapuntini per accontentare un po' tutti e che tutti ingolosiscono. In questi giorni in tanti si chiedono come risvegliare gli anticorpi per contenere i guasti del trasformismo. E però, per quasi vent'anni, ha fatto comodo a tutti nel centrosinistra intruppare portatori di voti senza andare per il sottile e senza preoccuparsi del curriculum, perché la posta in palio - “bloccare l'avanzata delle destre”, salvo alcuni pezzi di destra poi trovarseli accanto – era troppo alta e rilevante. È il teorema di Emiliano, più volte enunciato: il centrosinistra da solo non vincerà mai, ha bisogno di robusti innesti di “società civile”, etichetta dietro la quale il governatore ha propinato ai suoi interi blocchi di ceto dirigente pescato altrove. È il civismo extralarge e onnivoro, che tutto accoglie. D'altronde, ospite in tv, Emiliano in questi giorni se l'è cavata così commentando le parole di Decaro: «Il trasformismo? È l'esercizio della libertà visto da un altro punto di vista». Fine, con un po’ di imbarazzo.

I casi principali

Il secondo punto è il senso della misura. Che s'è evidentemente perso, tanto che Emiliano da tempo non parla più di “centrosinistra” bensì di “coalizione che governa la Puglia”, denominazione volutamente magmatica, sfuggente, multicolor. E quando salta la misura, il disinvolto “tutti dentro” diventa incontrollabile e perciò pericoloso. Non è questione di qualità dei nomi, ma banalmente di dimensioni del fenomeno. Il “driver” del civismo di Emiliano è il movimento Con: il coordinatore è Michele Boccardi, ex parlamentare di Forza Italia. Stessa provenienza per Stefano Lacatena, consigliere regionale con delega all'Urbanistica. Risale ormai a sette anni fa il cambio di direzione di un altro uomo forte di Con, l'assessore Alessandro Delli Noci: marginalizzato dalla giunta leccese di centrodestra, Emiliano ne colse subito il potenziale, da formidabile talent scout di delusi (purché muniti di pacchetti-voti, e possibilmente di capacità amministrative come nel caso del salentino). Rocco Palese, già deputato e sfidante alle regionali di Nichi Vendola, è stato arruolato invece come assessore tecnico. Altri esponenti di giunta sono stati strappati al centrodestra: Gianni Stea e Anita Maurodinoia, la lady preferenze eletta persino col Pd (in altra inchiesta per voto di scambio è indagato il marito). In Consiglio c'è Saverio Tammacco, eletto con una civica di Fitto e ora nella maggioranza “che governa la Puglia”. Nella precedente giunta c'era Leo Di Gioia, ma il foggiano era stato “convertito” alla Primavera pugliese già da Vendola e ora è tornato a destra. Sembrerebbe invece incrinato l'asse tra il governatore e Massimo Cassano, anch'egli in Parlamento con Pdl e FI e influente movimentatore di preferenze e dirigenti sui territori: era arrivato fino ai vertici dell'Arpal, ora è rientrato nel centrodestra. E non vanno trascurati quelli che gravitano nell'orbita di sottogoverno e hanno un passato nel centrodestra: Fabrizio D'Addario alla Sanitaservice di Bari (e prima ancora a InnovaPuglia), Ninni Borzillo commissario dei Consorzi di bonifica. Qui e lì, anche figure finite indagate. Ci sono poi le operazioni di puro romanticismo (Simeone Di Cagno Abbrescia, sindaco prima di Emiliano e storico duellante: è stato presidente Aqp), o quelle più spericolate (le intese, ormai messe da parte, col sindaco di “destra-destra” di Nardò Pippi Mellone), o ancora la linea “consiglieri del presidente” (Rosario Cusmai, e anche Francesco Schittulli che sfidò Emiliano alle regionali 2015). Ma il trasformismo è ovunque, al Comune di Bari (qui e lì i casi minori di consiglieri folgorati dal centrosinistra negli anni non sono mancati: Livio Sisto, Romeo Ranieri, Michele Paloscia, Giuseppe Di Giorgio, o in passato l’ex An Tommy Attanasio diventato emilianiano) o nelle realtà di provincia, anche solo con fantasiosi accordi trasversali e a geometria variabile. 
Un’arca grande così e così vincente, che ora rappresenta un problema, un imbarazzo per qualcuno. Dopo che tutti, chi più e chi meno e da Bari al Salento, hanno beneficiato del metodo e dei voti di Emiliano, che ha scommesso su un fattore di debolezza (la frammentazione politica) per trarne forza e opportunità, contaminando e “andando oltre”, tanto bastano programma, credibilità e carisma del leader ad amalgamare. Con tutti i rischi del caso. Che accadrà, adesso? Verrà, come dice Decaro, «combattuto il trasformismo»? O il trasformismo resterà, come sostiene Emiliano, «un esercizio di libertà»?

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