Esodo di cervelli verso Nord
ma il digitale salva la Puglia

Esodo di cervelli verso Nord ma il digitale salva la Puglia
di Nicola QUARANTA
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Lunedì 11 Dicembre 2017, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 11:34
La Puglia? Promossa in innovazione. E così la via 4.0 si rivela il miglior antidoto alla fuga di cervelli. Che pure non si arresta, come spiegano tra le righe dell’ultimo rapporto gli analisti della Svimez: all’indomani di una delle crisi economiche e sociali più profonde e gravi dell’era contemporanea, il Mezzogiorno si appresta ad affrontare il riavvio di un processo di sviluppo in condizioni più svantaggiate di quelle dell’immediato Dopoguerra, per l’emersione di un nuovo dualismo, quello demografico: una popolazione in rapido invecchiamento in un’area ancora caratterizzata da un forte deficit di capitale fisso sociale potrebbe innescare un pericoloso circolo vizioso di maggiori oneri sociali, minore competitività del sistema economico, minori redditi e capacità di accumulazione e crescente dipendenza dall’esterno.
Risultato: in base alle tendenze in atto, mentre la dinamica demografica negativa del Centro-Nord è compensata dalle immigrazioni dall’estero, da quelle dal Sud e da una ripresa della natalità, il Mezzogiorno resterà terra d’emigrazione “selettiva” (specialmente di qualità), con scarse capacità di attrarre immigrati dall’estero, e sarà interessato da un progressivo ulteriore calo delle nascite. Nel Rapporto di quest’anno, la Svimez riporta una stima del depauperamento di capitale umano meridionale. Considerato il saldo migratorio negativo dell’ultimo quindicennio, una perdita di circa 200 mila laureati meridionali, e moltiplicata questa cifra per il costo medio a sostenere un percorso di istruzione terziaria, la perdita netta in termini finanziari del Sud ammonterebbe a circa 30 miliardi di euro. Si tratta di quasi 2 punti di PIL nazionale, una stima “minima” che non considera molte altre conseguenze economiche negative ma che dà la dimensione di un fenomeno che pesa sul Mezzogiorno anche in termini di trasferimento di risorse finanziare verso le aree più sviluppate, e che andrebbe considerato nella letteratura sui trasferimenti finanziari interregionali, senza contare gli effetti indiretti di guadagno per il Centro-Nord in termini di competitività e di produttività del trasferimento di forza lavoro qualificata. Effetti e riflessi in sintesi, della fuga dei cervelli.
I dati. Negli ultimi quindici anni, la popolazione meridionale è cresciuta di soli 264 mila abitanti a fronte dei 3 milioni e 329 mila nel Centro-Nord; nello stesso periodo la popolazione autoctona del Sud è diminuita di 393 mila unità mentre è cresciuta di 274 mila nel Nord. Nel Sud il saldo migratorio totale continua ad essere negativo e a ampliarsi ulteriormente, passando da -20 mila del 2015 a -27,8 mila del 2016 e tra le regioni meridionali, vi è un saldo migratorio totale fortemente negativo in Sicilia, che perde 9.300 residenti (-1,8 per mille), in Campania (-9,1 mila residenti, per un tasso migratorio netto di - 1,6 per mille) e in Puglia (-6.900 residenti, per un tasso migratorio netto pari a -1,7). Secondo Svimez, è stato il risveglio delle attività produttive nel Centro-Nord a stimolare la ripresa del pendolarismo nel Mezzogiorno.
Il Sud non è più un’area giovane né tanto meno il serbatoio della demografia del resto del Paese: le famiglie fanno sempre meno figli e i giovani se ne vanno; la popolazione invecchia e si riduce. Ma la via d’uscita c’è, per chi resta. Partendo da una premessa: la laurea comunque paga. Vale a dire: maggiore è il titolo di studio più basso è il tasso di disoccupazione.
 
E guardando al futuro proprio dal Sud e dal Tacco d’Italia nello specifico vengono segnali di incoraggiamento. In testa al treno dell’innovazione, infatti, a sorpresa c’è proprio la locomotiva del Mezzogiorno. Campania, Sicilia e Puglia sono tra le prime quattro regioni italiane in cui negli ultimi 6 anni c’è stata la maggiore crescita di imprese digitali.
A smentire il luogo comune che vede il Sud indietro rispetto alle regioni del Nord anche nello sviluppo delle tecnologie digitali stavolta è il focus curato dal Censis insieme a Confcooperative. «La ricerca ci dice che alcune regioni del Mezzogiorno hanno tassi di crescita delle imprese digitali enormemente superiori alle classiche aziende che sono state sempre locomotive del sistema tradizionale», conferma il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini aggiungendo «vedere che in Campania, Sicilia e Puglia il numero di imprese digitali cresce più che in Lombardia, Veneto e Piemonte è qualcosa a cui non siamo preparati, ma si tratta evidentemente di un’opportunità positiva che aiuta a ricomporre anche un’equità e una coesione all’interno del paese».
Lo studio spiega che le imprese digitali sono, ad esempio, quelle dedite alla produzione di software, consulenza informatica, elaborazione dati, hosting, portali web, erogazione di servizi di accesso a Internet e altre attività connesse a telecomunicazioni e commercio al dettaglio attraverso la Rete. Tra il 2011 e il 2017, la crescita maggiore di queste imprese si è riscontrata appunto in Campania con un incremento del 26,3%, subito dopo in Sicilia con il 25,3%, poi nel Lazio con il 25,1% e in Puglia con il 24,2%. Tutti dati che confermano come i processi di sviluppo basati sul digitale trovano terreno fertile anche in aree spesso ai margini della dinamica economica e produttiva intesa in senso tradizionale. Anche spostando il confronto dalle regioni alle macro aree il risultato non cambia, negli ultimi sei anni infatti, il Mezzogiorno resta quello con il più alto tasso di crescita di imprese digitali: +21,9%, seguito dal Centro con un incremento del 20,7%, mentre al Nord si osserva un’estensione della base produttiva del 14%, conclude lo studio Censis Confcooperative. Spiragli di luce
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