Lea Cosentino, tutta la verità: «Ho pagato un prezzo enorme per errori veniali. La malattia? Più forte del dolore, la sete di giustizia»

Lea Cosentino, tutta la verità: «Ho pagato un prezzo enorme per errori veniali. La malattia? Più forte del dolore, la sete di giustizia»
di Vincenzo DAMIANI
6 Minuti di Lettura
Venerdì 19 Maggio 2023, 12:06 - Ultimo aggiornamento: 24 Maggio, 18:00

Dalla piccola Asl murgiana alla guida della terza azienda sanitaria più grande in Italia; la politica, i rapporti con Nichi Vendola; il potere toccato con mano e poi la caduta. Le inchieste, i processi, il sentirsi intrappolata e stritolata da meccanismi non governabili. E poi la malattia, le assoluzioni e il ritorno a "casa". Tredici anni raccolti nel libro "Lea Cosentino: tutta la verità", il volume pubblicato da Pensa MultiMedia Editore, in vendita da ieri, che ripercorre un pezzo cruciale di vita dell'avvocata salentina, alla guida del consorzio Asi di Lecce dal 2010, ex direttore generale dell'Asl Bari. La prima donna a diventare manager di una Asl pugliese, l'ascesa e il declino dopo le vicende giudiziarie legate all'imprenditore Gianpaolo Tarantini che l'hanno coinvolta a partire dal 2009: c'è tutto nel volume, dagli aspetti umani alla cronaca di quei giorni infernali. «I miei errori veniali li ho commessi, ma ho pagato un prezzo abnorme».

Tutta la verità, nient'altro che la verità: come arriva la sua nomina nell'appena nata Asl Bari, la terza azienda sanitaria pubblica in Italia?
«Si arriva attraverso un percorso politico e di merito.

Avevo fatto tante cose buone e innovative ad Altamura, il primo hospice, i primi audit con le associazioni e c'era l'esigenza, nel 2005, di dare le stesse risposte su tutto il territorio della istituenda Asl Bari. Inizialmente, si era pensato di nominare Nicola Pansini, persona vicina a Tedesco, all'epoca assessore alla Sanità. Poi attraverso l'intervento del Pd, di Gero Grassi, Vendola mi nominò con beneplacito anche di Tedesco. Con Vendola i rapporti erano ottimi, di grande stima e affetto».

Nel libro dice: «Se mi fossi dimessa e fossi rimasta in silenzio non sarebbe accaduto nulla». Chi le chiese di dimettersi e cosa non avrebbe dovuto dire?
«Ho poche convinzioni ma di una cosa sono certa: quando, il 30 giugno del 2009, dopo le prime perquisizioni da parte della finanza, andai a trovare Vendola lui mi disse dimettiti dall'Asl che poi ne riparliamo. E mi raccomandò solo una cosa, non parlare con nessuno. Invece, appena uscita dalla Presidenza, trovai i giornalisti che erano in attesa e mi feci prendere dalla pancia, fu un grosso errore. Quello fu il confine del rapporto tra me e Vendola, fu un errore di strategia e di valutazione. Anche perché ho indispettito gli interlocutori che potevano diventare avversari, dalla politica alla stessa magistratura».

Ammette di aver commesso degli errori, quali non si perdona?
«Due, il primo appunto aver parlato con i giornalisti; la seconda non essermi dimessa. Fui mal consigliata».

Prima ha parlato di interlocutori che avrebbe indispettito, a chi fa riferimento?
«In generale alla magistratura, alla politica e al sistema mediatico. L'essere donna è stato anche un po' una iattura per certi versi, non dimentico i commenti dei giornalisti quando si parlava di me: da Lady Asl a quando si scriveva la bella, l'affascinante, Lea Cosentino. Di un uomo non si sarebbero mai scritte quelle cose».

E arriviamo al giorno forse più complicato, quello dell'arresto: pioveva a dirotto era il 14 gennaio del 2010 con l'accusa di falso e peculato, poi arrivarono altre accuse.
«Un giorno di dolore acuto, intenso, devastante perché in pochi minuti capisci che la vita sta cambiando in maniera irrimediabile e non hai nemmeno la percezione di quello che è accaduto e che ti viene contestato. E poi lo tsunami degli articoli di stampa. Un giorno indimenticabile, un dolore inenarrabile che cerchi di metabolizzare ma, poi, ci sono procedure odiose che ti restano impresse come la ceralacca. Una sensazione che ti accompagna a vita».

Ad un certo punto, qualche anno prima che arrivassero le inchieste, per il dopo Tedesco, a sua volta dimessosi per una indagine penale, si parla di lei come assessora alla Sanità. C'era del vero in quelle indiscrezioni?
«Sì ed è stato questo l'inizio della fine per me. Quando Vendola, senza dirmi nulla, ebbe l'ida di nominare me al posto di Tedesco questo provocò molti malumori e mal di pancia che si trasformarono in avversione. Lo stesso Vendola poi si rese conto che politicamente la mia nomina sarebbe stata difficile da reggere e fece un passo indietro, ma non spiegò che non fu una mia idea quella di fare l'assessore e questo mi provocò problemi».

Avrebbe accettato?
«Razionalmente, in quel contesto, avrei declinato. Però avevo una stima grande per Vendola e forse non sarei riuscita a dirgli di no».

Crede di aver pagato in quel momento, quando scoppiava lo scandalo delle escort a Palazzo Grazioli, anche uno scontro politica-magistratura?
«Certo che sì. Ricorderete le indagini che si sono susseguite sui pm baresi a Lecce. Io fui arrestata per una frase che non ho mai detto e mai pensato, ho pagato un prezzo più grande».

Lei era intercettata e la frase riportata nell'ordinanza di custodia cautelare era: "Li prendiamo per fessi a tutti e due a quelli".
«Mai detta, una cosa scandalosa. Fu persino confermata dal perito in tribunale sotto giuramento, salvo poi, dietro una imbeccata, accorgermi che quella frase riportata non esisteva. Andai ad ascoltarmi le registrazioni, non c'era. Le mie parole furono: "La firmiamo perché evitiamo tutti i problemi».

Il suo rammarico?
«Non aver avuto con Vendola, all'epoca, un confronto sincero dopo gli arresti. Adesso c'è un buon rapporto, ci sentiamo. Ho imparato ad andare oltre, è una persona alla quale ho voluto bene e alla quale voglio bene».

Come ha vissuto la fase dei processi?
«Sono andata a tutte le udienze e mi sono difesa in Aula, ma è stato avvilente e faticoso. Osservare le facce prevenute di chi mi doveva giudicare e soprattutto le lungaggini dei processi. Non ho mai chiesto sospensioni per andare alla ricerca delle prescrizioni e ho avuto quattro assoluzioni. Il sistema giudiziario italiano va modificato».

Pentita dell'amicizia con Tarantini?
«L'ho frequentato in maniera serena, non sapendo quello che ci fosse dietro. Certo, oggi posso dire che è stato un errore ma non sono una che si rimangia quello che ha fatto».

Durante i domiciliari arriva l'altra mazzata: scopre di avere la sclerosi multipla. Come ha affrontato tutto?

«In quel momento era talmente forte la voglia di giustizia e di verità che ho vissuto in maniera residuale la malattia rispetto al dolore che provavo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA