Ombre sulla moda pugliese Capasa: attacco vergognoso

Ombre sulla moda pugliese Capasa: attacco vergognoso
di Nicola QUARANTA
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Venerdì 21 Settembre 2018, 20:14 - Ultimo aggiornamento: 20:16

L'Attacco lanciato d'oltre oceano è una freccia al veleno puntata al cuore del Made in Italy. Nel mirino, infatti, il settore dell'alta moda, con particolare riferimento alla gestione poco trasparente dei costi del personale, vale al dire al lavoro nero, con la Puglia additata, con i suoi laboratori, quale centro nevralgico di un sistema malato. Tema sul quale gli stessi sindacati hanno spesso puntato il dito, sopratutto in passato.
Non è certo la prima volta che il New York Times attacca la moda italiana. Ma stavolta l'inchiesta fa rumore. Lo scorso anno il quotidiano americano definiva Milano periferica nel mondo della moda internazionale, nel 2007 bollava la sua moda come volgare, nel 2009 la definiva roba da veline. Ma l'inchiesta uscita oggi e realizzata in Puglia è quella che fa arrabbiare di più i vertici del settore, perché parla del lavoro in nero che - secondo l'inchiesta - starebbe dietro i capi di grandi marchi. Nell'articolo, intitolato Inside Italy's Shadow Economy si racconta, con testimonianze anche anonime, il lavoro di migliaia di donne che ricevono dal laboratorio locale un euro per ogni metro di stoffa cucita o ricamano paillettes per 1.50-2 euro l'ora. Di questa manodopera si servirebbero grandi marchi. In particolare, si fanno i nomi di brand come Max Mara (che oggi ha aperto la seconda giornata di Milano Moda Donna) e di Fendi (altro marchio in passerella oggi).
Dalle maison nessun commento, mentre è durissima la reazione del presidente di Camera Moda Carlo Capasa, che giudica l'inchiesta di Elizabeth Paton «un attacco vergognoso e strumentale». «Hanno attaccato questi marchi in maniera indegna - dice lo stilista leccese - per questo prepareremo una nota congiunta insieme agli avvocati».
Rabbia e interrogativi nelle sue parole: «Se hanno trovato un reato c'è obbligo di denuncia, perché non l'hanno fatto?» si chiede Capasa, per il quale «i nostri contratti sono tutti a tutela dei lavoratori». «Quello del New York Times è un attacco strumentale che nasce - dice il presidente di Camera Moda - senza aver fatto una vera indagine. Io sono pugliese e la Puglia non è il Bangladesh. Citano fonti sconosciute e dicono anche che in Italia non abbiamo una legge sul salario minimo e questo è grave».
E chiarisce: «Le nostre sono aziende serie, se i subcontratti hanno fatto delle stupidaggini questo va perseguito, ma condividiamo tutti lo stesso contratto per la tutela dei lavoratori. Se poi volevano demonizzare il lavoro domestico trovo che sia sbagliato, ha un senso purché sia ben pagato».
La polemica, di certo, non finisce qui: «Replicheremo al New York Times in modo pesante» annuncia Capasa, spiegando: «Siamo il Paese che ha fatto di più per questi diritti, il primo a perseguire gli abusi, non c'è nessuna connivenza delle aziende italiane perché non ne hanno bisogno, non abbiamo bisogno di sfruttare nessuno». Secondo Capasa, c'è un motivo per cui questo articolo è uscito ieri: «A Milano inizia la fashion Week con il green carpet, siamo bravi e questo dà fastidio».
Anche Miuccia Prada non ci sta: «Nessuno è sano ma ognuno fa del suo meglio, accanirsi solo con la moda è sbagliato. «Tutte le aziende hanno codici e ispettori ma il mondo reale - sottolinea - è più complicato, c'è sempre qualcuno che si fa corrompere». Certo, anche «la moda ha le sue colpe, ma sono sicura che aziende di altri settori faranno anche peggio. Questo non è un mondo perfetto e siamo tutti colpevoli, i problemi sono ovunque». La moda è comunque impegnata in «un processo graduale di cambiamento»: a Prada in particolare la Lav ha chiesto di non produrre più pellicce: «Io le pellicce non voglio più farle - dice Miuccia - già oggi rappresentano solo lo 0,1% del prodotto, ma non amo gli annunci, dirò che non le faccio più quando sarà cosa fatta e finita».
 

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