Stabilizzazioni della sanità, come un'odissea: le Asl non hanno ancora gli elenchi

Stabilizzazioni della sanità, come un'odissea: le Asl non hanno ancora gli elenchi
di Vincenzo DAMIANI
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Giovedì 19 Aprile 2018, 08:55
Le Asl pugliesi non sono ancora pronte e l’avvio delle stabilizzazioni dei precari slitta ancora. Ieri c’è stato un incontro tra i direttori generali e i funzionari del Dipartimento Salute della Regione Puglia: i manager aziendali avrebbero dovuto consegnare gli elenchi nominativi di infermieri, medici e amministrativi da mettere sotto contratto, ma c’è stata la fumata nera. Negli uffici sono ancora in alto mare ed è stato necessario, ieri, fissare e precisare alcuni paletti e criteri per compilare le liste. Alla fine i funzionari regionali sono stati costretti a concedere ulteriore tempo alle sei Asl pugliesi e hanno fissato al 2 maggio un prossimo incontro. È stato deciso di creare un tavolo tecnico del quale faranno parte i direttori amministrativi delle aziende sanitarie e i responsabili del personale, toccherà a loro elaborare un regolamento unico per la compilazione degli elenchi al quale si dovranno attenere tutte le Asl.

I tempi, quindi, si allungano: occorrerà almeno un mese per mettersi d’accordo sui criteri da adottare, poi seguiranno gli incontri con i sindacati. Solo successivamente, le aziende sanitarie potranno iniziare a pubblicare le liste. Per l’avvio delle stabilizzazioni, quindi, è probabile che se ne parli addirittura dopo l’estate, anche se l’intenzione della Regione è accorciare il più possibile i tempi dell’operazione. I sindacati premono, in ballo ci sono circa 1.700 contratti anche se i precari della sanità in tutta la regione sono molti di più, circa il triplo. La stabilizzazione avverrà in base a quanto stabilito dalla legge Madia, oltre a medici e infermieri anche il personale amministrativo con contratto a tempo determinato, a differenza di quanto era emerso nel primo incontro del 3 aprile scorso tra Giancarlo Ruscitti, direttore del dipartimento, e i sindacati, rientra nel processo di stabilizzazione.
È stato proprio Ruscitti a sottolinearlo in una circolare trasmessa nei giorni scorsi ai direttori generali delle Asl: «Preciso – si legge – per fugare ogni qualsivoglia fraintendimento, che nella stessa platea degli stabilizzandi rientra il personale del comparto di tutti i ruoli. Incluso, quindi, quello amministrativo, mentre per l’area dirigenziale rientrano solo i medici ed il personale tecnico professionale che sia direttamente adibito allo svolgimento di attività che rispondano all’effettiva esigenza di assicurare la continuità nell’erogazione dei servizi sanitari (con esclusione quindi dei dirigenti amministrativi».

I numeri. Complessivamente dovrebbero essere 1.680 i dipendenti precari della sanità da stabilizzare: la base di calcolo è stata fatta sulla scorta della dotazione organica ospedaliera del 2015 che fu presentata al tavolo ministeriale. Però, i lavoratori precari sono molti di più di 1.680, dovrebbero essere circa il triplo rispetto a questa cifra, senza contare il personale amministrativo che si va ad aggiungere.
La stabilizzazione, che riguarderà anche i dirigenti medici e sanitari, non è però sufficiente e da molti viene considerato solamente un “palliativo”: negli ospedali mancano all’appello almeno 5mila lavoratori, occorrono quindi anche nuove assunzioni. Per ora il ministero dell’Economia e delle finanze ha autorizzato la Regione Puglia a mettere sotto contratto solamente nuovo personale per rimpiazzare quello andato in pensione tra il 2017 e il 2018. Ma se il sistema sanitario pugliese sarà in grado di ridurre la spesa per mobilità passiva potrebbe essere concesso un altro sblocco: i risparmi ottenuti, infatti, potranno essere investiti per sostituire i dipendenti andati in pensione tra il 2008 e il 2016. Se l’obiettivo non sarà centrato la situazione resterà invariata. La mobilità passiva costa alle casse regionali dai 180 ai 200 milioni di euro all’anno, ma per evitare che gli ammalati pugliesi vadano a curarsi in ospedali di altre regioni è necessario migliorare la qualità dell’assistenza: abbattere le liste di attesa, ad esempio, potenziare alcune branche (in particolare nei settori delle pediatria e dell’oncologia), investire in macchinari. Un processo non breve.
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