Tap, guerra sui costi dello stop. Di Maio: «penali sconosciute». Ma condizioni e vincoli erano noti da tempo E si apre il capitolo dei ristori

Luigi Di Maio e Barbara Lezzi
Luigi Di Maio e Barbara Lezzi
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 28 Ottobre 2018, 10:29 - Ultimo aggiornamento: 21:35

«Quindici giorni» e «Venti miliardi»: il governo gialloverde, e soprattutto il Movimento cinque stelle, rischiano di precipitare nel burrone scavato da questi due numeri. «Quindici giorni» è il margine di tempo necessario per cestinare il progetto Tap, fissato dai pentastellati in campagna elettorale nonostante il cantiere del gasdotto fosse avviato da un anno e mezzo, nonostante le autorizzazioni già nel cassetto e nonostante gli accordi internazionali. «Venti miliardi» è invece il frutto di tutti quei "nonostante" e la ragione ultima del via libera al gasdotto: a tanto ammontano i costi che lo Stato avrebbe dovuto sopportare in caso di un colpo di spugna esclusivamente politico (dunque non determinato da vizi autorizzativi) sull'opera. Insomma: il disco verde del governo pentaleghista - all'esito dell'ormai famosa analisi costi-benefici, che non ha rilevato difformità nelle carte - lascia ferite vistose sul M5s. E Luigi Di Maio - vicepremier, ministro dello Sviluppo economico e leader pentastellato - è costretto così a trincerarsi sulla difensiva: «Da ministro dello Sviluppo economico ho studiato le carte del Tap per tre mesi. Vi posso assicurare che non è semplice dover dire che ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro. Ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente. Le carte un ministro le legge solo quando diventa ministro e a noi del M5s non hanno mai fatto leggere alcunché».

Le "lacune" di Di Maio. La ricostruzione di Di Maio è però quantomeno lacunosa e arbitraria. Primo punto: non era necessario leggere documenti inaccessibili. Secondo: non ci sono «penali da pagare», semplicemente perché lo Stato italiano non è un contraente alla pari del Consorzio Tap. Terzo: i costi a carico dello Stato maturerebbero perché gli investitori e gli acquirenti del gas di un'opera già autorizzata (e largamente completata nei tratti greco e albanese) attiverebbero delle azioni risarcitorie nei confronti dello Stato qualora l'Italia optasse per un addio solo politico al progetto. Condizioni e vincoli ben noti, anche prima di accedere ai palazzi del ministero.

La lettera del Mise. Si tratta del resto di verità che lo stesso Mise ha cristallizzato nero su bianco, in queste settimane. Sottoponendole a Di Maio e al premier Giuseppe Conte. Ed è anche quanto scrive Gilberto Dialuce, direttore generale del ministero, nella risposta alla richiesta di accesso generalizzato agli atti formulata dal fronte NoTap. Dialuce in quella lettera spiegava che «la quantificazione dei costi di abbandono ha come fonte la società di Stato azera Socar», che «le cifre sono emerse durante gli incontri avvenuti col ministro degli Esteri azero», ma soprattutto ricordava che «un'eventuale revoca dell'autorizzazione rilasciata e riconosciuta legittima da tutti i contenziosi amministrativi, col conseguente annullamento del progetto, causerebbe una serie di danni a soggetti privati (la società costruttrice, le società che hanno avuto appalti di lavori, gli esportatori del gas, gli acquirenti che hanno già firmato contratti di acquisto venticinquennali del gas con consegne a partire dal 2020) e pubblici, configurando richieste di rimborso degli investimenti effettuati nonché dei danni economici connessi alle mancate forniture, anche al di fuori del territorio italiano, nei confronti dello Stato italiano, attivando cause o arbitrati internazionali in base alle convenzioni internazionali firmate dall'Italia che proteggono gli investimenti esteri effettuati da privati, motivati anche dalla violazione dell'Accordo intergovernativo sottoscritto e ratificato dal Parlamento italiano» nel 2013.

Lavori e ristori. E ora? Tap ripartirà nelle prossime ore dai lavori a mare. E il governo proverà a ricucire lo strappo col territorio salentino, magari giocando la carta dei ristori e degli investimenti territoriali. Dal giro stretto pentastellato filtrano rassicurazioni circa «condizioni più favorevoli» già concordate e che «vedrebbero lo stanziamento di decine di milioni per il Salento». In effetti, l'interlocuzione tra settori del governo e Consorzio Tap è cominciata a luglio, prima col ministero dell'Ambiente e poi con il Mise. In quelle occasioni ci sarebbero state domande, di ministri e sottosegretari, sugli «impegni per l'ambiente» e sui «costi agevolati del gas», sfociate poi nella richiesta di un piano di investimenti territoriali più approfondito e circostanziato.

Conte ha avuto invece un recente faccia-a-faccia con Snam, azionista al 20% di Tap (oltre che società della galassia Cassa depositi e prestiti), anche lui chiedendo lumi sui ristori per il territorio. La cartellina con il piano di Tap e Snam (tra proposte e somme) è ora sul tavolo del premier. E sarà il difficile jolly che il governo gialloverde proverà a giocare.

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