Vendola: Puglia allo sbando
governatore ostaggio di se stesso
ma nessuno lo incalza davvero

Vendola: Puglia allo sbando governatore ostaggio di se stesso ma nessuno lo incalza davvero
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 25 Marzo 2018, 14:40 - Ultimo aggiornamento: 14:45

La nomina di Simeone Di Cagno Abbrescia ai vertici di Aqp, le turbolenze in maggioranza, le periodiche dimissioni degli assessori, i troppi dossier aperti e irrisolti: Nichi Vendola, cosa sta succedendo alla Regione di Emiliano?
«Succede che vengono al pettine tutti i nodi della mala-politica e del malgoverno che purtroppo stanno affondando le speranze e le conquiste della cosiddetta “primavera pugliese”. La Puglia è allo sbando nei suoi settori chiave, non sembra più avere né un racconto né una missione, svanito il suo ruolo nel Mediterraneo, orfana di un chiaro progetto di sviluppo, una regione litigiosa e inconcludente su tutto. Tutta piegata ad assecondare le tarantelle e le acrobazie politiche di Michele Emiliano. Il quale appare ostaggio di se stesso, della sua bulimia di potere, della sua ritrosia a svolgere con serietà i compiti che gli elettori pugliesi gli hanno affidato, della sua passione per le manovre di Palazzo e per gli effetti speciali della politica degli annunci. Con la nomina di un simbolo forte della destra pugliese, come Di Cagno Abbrescia, alla presidenza di Acquedotto Pugliese, Emiliano porta a compimento l’opera di devastazione del centrosinistra, svela l’inganno di una politica sempre al servizio dei poteri forti, apre le porte al processo di privatizzazione di quell’azienda che rappresenta un bene comune di tutti i pugliesi e non un giocattolo da usare in giochi che nulla hanno a che fare con le reti dell’acqua».
Stupisce, poi, il doppio registro applicato dal governatore a Bari e Roma: secondo molti consiglieri e dirigenti del centrosinistra, Emiliano perpetra in Regione gli errori che puntualmente imputa ai vertici nazionali Pd e a palazzo Chigi. E dunque: trasformismo, inciuci, decisionismo.
«Emiliano gioca tutte le parti in commedia, nella vita pubblica assomiglia allo Zelig di Woody Allen, è il più a sinistra di tutti, anzi è il più a destra di tutti, aderisce come una panciera al proprio interlocutore, fino a produrre eventi comunicativi surreali: come quando celebra l’antifascismo commemorando Almirante. Si presenta come l’alternativa a quel Pd bocciato dal Paese, come se in Puglia non ci fosse stato il peggiore risultato registrato a livello nazionale dal Pd. Come se non fosse, proprio lui, il governatore meno apprezzato d’Italia...».
Vendola, a lei però si potrebbe rimproverare: nel 2015 ha sostenuto Emiliano e non ha fatto granché per correggerne la rotta. E, prima ancora, non ha creato le condizioni per la nascita e crescita di una classe dirigente “erede”, che fosse cioè in continuità col suo decennio di governo e all’altezza delle sfide. Insomma: ha lasciato campo libero a Emiliano.
«In verità nella mia giunta e tra i manager che ho nominato c'era un nucleo forte di classe dirigente, competenti, stimati, animati da spirito di collegialità. Ne cito solo due: Nicola Costantino, rettore del Politecnico, amministratore di Aqp, e Giuseppe Acierno agli Aeroporti di Puglia; ma potrei citarne tanti altri. Emiliano ha inteso il suo mandato come un’opera di “de-vendolizzazione”, ha distrutto molto e ha costruito assai poco. Il dolore che provo mi spinge a uscire allo scoperto e a dire in libertà ciò che penso».
Emiliano finora ha scelto l’approccio conflittuale con il governo. Lei invece s’è seduto, ha dialogato, trattato e persino incassato qualche risultato, anche con i ministri dei governi Berlusconi, a cominciare da Fitto. Altra fase storica o questione di metodo?
«Altro modo di intendere il ruolo di chi governa. Non si può vivere in una eterna campagna elettorale dove valgono accuse e parole incandescenti, bisogna dare risposte ai cittadini. E dinanzi alle cose che vanno male non puoi scaricare le responsabilità sempre su qualcun altro: un giorno la colpa è di Renzi, il giorno dopo di Vendola, poi dei burocrati, poi dei sindaci, poi dei sindacati che ti mobbizzano anche se non li incontri mai. Governare non è come stare in un film western, sempre a sparare sui presunti cattivi».
 
Durante il suo decennio, gli assessori erano personalità forti, spesso di alto profilo, al punto che le sedute di giunta erano anche aspre, caratterizzate da contrasti spigolosi. Oggi, al contrario, gli assessori sembrano vivere appiattiti all’ombra di Emiliano e delle sue scelte. Qual è il punto, la maggiore o minore tendenza all’accentramento o il diverso calibro degli assessori di ieri e di oggi?
«L’equivoco nasce dallo slogan del “sindaco di Puglia”. La Regione non è un municipio: è un piccolo Stato. Occorrono competenze e senso del lavoro di squadra. Noi invece abbiamo assessori che sono ologrammi, la giunta è un castello di fantasmi, si cumulano deleghe su deleghe in mani incerte e inesperte e non c’è nei settori fondamentali né spartito, né orchestra, né direttore d’orchestra».
Tra i consiglieri di centrosinistra si levano voci critiche. O sono ancora insufficienti?
«Io sento chiara e forte solo la voce di Mino Borracino, consigliere di Sinistra Italiana (ndr: uscito dalla maggioranza). Per il resto, persino dall’opposizione, qualche eco di sussurri e grida ma non un discorso incalzante e di merito».
Emiliano ha rivisitato, se non smantellato, la macchina amministrativa e dirigenziale della “sua” Regione, riorganizzandola nella struttura, nelle persone e a volte anche nelle scelte. Qual è, in tal senso, la cosa che le crea maggior rimpianto?
«Non ho rimpianti, se non quello di aver capito troppo tardi quale fosse la vera indole umana e politica di Emiliano. Mi dispero quando vedo umiliate le migliori energie presenti in Regione e quando vedo trasformare i nostri gioielli (faccio solo l’esempio di InnovaPuglia) usati come strumenti del sotto-potere e vettori di trasformismo».
Molti dossier roventi e senza soluzione sono un’eredità della sua amministrazione: Tap, xylella, Ilva - per quel che compete alla Regione. Non ha qualcosa da rimproverarsi? Magari in taluni casi un eccesso di attendismo?
«Noi non abbiamo ignorato nessuno di quei dossier, anche quando era scomodo maneggiarli. Chi è venuto dopo di noi lo ha fatto annunciando soluzioni miracolose e rapide, ma dopo tre anni ciò che resta è solo l’imbarazzo dell’inconcludenza e della paralisi amministrativa».
C’è oggi in Regione una marcata tendenza al “ricorsismo” e alla via giudiziaria per risolvere problemi e conflitti? Lei ha anche rimproverato a Emiliano la tendenza a “surfare” sui problemi, seguendo l’onda episodica e gli umori dei social e del web.
«Forse è più divertente governare tuffandosi nelle acque mosse dei social network, assecondando gli umori della rete, inseguendo le spinte del localismo, invece che lavorando pancia a terra sulle questioni aperte, cercando soluzioni che non sono mai magiche e facili, dicendo la verità anche quando è impopolare: Emiliano ha praticato il surf comunicativo piuttosto che frequentare le profondità dei problemi».
Le elezioni regionali non sono così lontane. Da dove ripartire? Da primarie per la scelta del candidato governatore? La sinistra presenterà un nome alternativo a Emiliano? E il confine della coalizione quale deve essere?
«Oggi la cosa più importante è ripartire da un discorso di verità sulle ambizioni e le miserie di questa Puglia e della sua classe dirigente».
E cosa pensa delle continue aperture ai cinque stelle? Molti elettori del centrosinistra sono ormai in quel campo.
«I cinque stelle hanno saputo intercettare la dirompente domanda di giustizia sociale e di futuro che scuote tutto il Sud, la destra ha raccolto i frutti della semina delle paure e del rancore sociale».
Dunque?
«I due vincitori delle elezioni politiche non sono la stessa cosa, bisogna saper distinguere, non si possono omologare la spinta sovranista e xenofoba della destra e la rivolta del basso verso l’alto che c’è nel voto grillino».
La tendenza ad accordi perlomeno ampi e trasversali si manifesta a più livelli, e anche tra chi s’è sempre orgogliosamente opposto a questa logica: a Lecce Carlo Salvemini, che lei ben conosce, da ieri ha una maggioranza grazie a tre consiglieri eletti col centrodestra.
«Il caso dell’anatra zoppa è in genere un’eccezione, Salvemini è stato eletto sindaco ma non ha una maggioranza consiliare.

Cerca in Consiglio una sua maggioranza. Non so dire se faccia bene o male, perché non ho una conoscenza approfondita delle vicende leccesi. Ma si confronta con uno stato di necessità. In Regione viceversa gli accordi trasversali che puzzano di trasformismo e che rendono opaca e repellente la politica non sono uno stato di necessità: sembrano piuttosto un vizio assurdo, una insana vocazione, un omaggio gratuito al cinismo del potere».

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