Il rischio ingorghi e le bugie sul ponte: «Non dite che serve»

Il rischio ingorghi e le bugie sul ponte: «Non dite che serve»
di Lorenzo De Cicco
3 Minuti di Lettura
Giovedì 14 Giugno 2018, 07:37
«Questo tienilo per te», diceva il braccio destro di Parnasi, Luca Caporilli, intercettato, a chi gli faceva notare che «levando il ponte sul Tevere si crea il caos sulla via del Mare». E lo stesso sarebbe accaduto «sulla Roma Fiumicino, ingresso Roma ovviamente... perché prima parte di questo si caricava sulla via Ostiense-via del Mare, adesso non c'è più la connessione sul Tevere», ragionavano gli uomini di Parnasi. «Possiamo dire... possiamo dire che con la riduzione (delle cubature per gli uffici, ndr) si dovrebbe risolvere...», suggerisce Caporilli, preoccupato che i flussi di traffico impazziti potessero portare a una bocciatura da parte dei tecnici di Comune, Regione e ministeri vari. «Eee no perché se io riduco...», prova a obiettare un collaboratore. «Va beh però questo... questo tienitelo per te», chiosa il dirigente di Eurnova. L'importante, come sempre in questa storia di affari e (poco) calcio, era chiudere l'operazione, a dispetto di tutto. Dei limiti urbanistici, del fatto che Tor di Valle sia una delle zone di Roma ad altissimo rischio di inondazioni, dell'assenza di una rete di strade e trasporti adeguata a sopportare le migliaia di auto che si sarebbero incolonnate verso lo stadio nei giorni delle partite.



Avrebbe dovuto esserci un parco attrezzato, in quest'ansa del Tevere che curva dopo l'Eur e la Magliana, a una manciata di chilometri dal traffico del Raccordo anulare. Così diceva il Piano regolatore di Roma. Eppure qualcuno ha pensato che proprio qui, in questo polmone verde dell'Urbe, avrebbe dovuto mettere radici una colossale operazione calcistico-immobiliare, germogliata attorno al progetto del nuovo stadio giallorosso. Si erano opposti i grillini, prima, quando erano all'opposizione di Ignazio Marino, e poi per tutta la campagna elettorale del 2016, quella della scalata al Campidoglio di Virginia Raggi.



Fino al clamoroso rovescio che ha portato i pentastellati, una volta maggioranza, a votare a favore del progetto in Aula Giulio Cesare, nel 2017, sforbiciando solo un po' le cubature monstre, che però rimangono ancora oggi ampiamente sopra il tetto fissato dal Piano regolatore.



I dubbi, i pericoli, le opacità dell'operazione Tor di Valle le abbiamo raccontate su queste colonne fin dal luglio del 2014, quando Parnasi si presentò a Palazzo Senatorio con un progetto in cui lo stadio rappresentava appena il 14% delle cubature. Tutto il resto era destinato a negozi, uffici, alberghi e ristoranti. Una colata di cemento da quasi un milione di metri cubi, tre volte tanto rispetto al Prg. L'«Ecomostro», lo hanno subito ribattezzato le principali organizzazioni ambientaliste del Paese, e con loro ingegneri e architetti di fama. Il vero core business di un'iniziativa che a tanti, compresi gli esperti dell'Istituto nazionale di urbanistica, appariva come una «gigantesca speculazione a favore dei privati».



Raggi, stringendo la mano ai privati nel febbraio 2017, ha dimezzato o quasi le volumetrie, che sono rimaste comunque largamente sopra i margini imposti dal piano regolatore. Soprattutto, il taglio dei grattacieli - sostituiti da un serpentone di palazzine alte fino a 7 piani - ha prodotto una sforbiciata netta alle infrastrutture che avrebbero dovuto pagare i privati. Sparito il prolungamento della metro B, ridotti gli interventi sulle strade, depennato, perché senza finanziamenti, il nuovo ponte, ribattezzato pomposamente di Traiano, che avrebbero dovuto pagare per intero i proponenti. Gli stessi tecnici che a dicembre hanno dato il via libera in conferenza dei servizi avevano messo tutti in allarme: senza ponte, il traffico in questo quadrante di Roma già oggi con l'imbottigliamento facile, sarebbe impazzito. A Parnasi e ai suoi sodali non importava.
© RIPRODUZIONE RISERVATA