Omicidio Varani, i dialoghi-choc dei due assassini: «Siamo peggio dell’Isis»

Omicidio Varani, i dialoghi-choc dei due assassini: «Siamo peggio dell’Isis»
di Cristiana Mangani e Adelaide Pierucci
3 Minuti di Lettura
Sabato 26 Novembre 2016, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 19:31

Sono passati otto mesi dall’omicidio di Luca Varani. Manuel Foffo e Marco Prato sono rinchiusi nel carcere di Rebibbia e di Regina Coeli. Non si vedono da mesi, ma si “controllano” a vista. Ricevono le visite dei parenti, fratelli, padri, ma nessuna madre. E i loro dialoghi sono “ascoltati” dalla procura, che ora ha depositato le intercettazioni effettuate dietro le sbarre. Luca Varani è dietro ogni commento, ogni dialogo, ma il pensiero principale è come difendersi. E mentre Foffo cerca di ripescare nella memoria i particolari di quell’atroce giornata, Prato continua il suo braccio di ferro affettivo con la famiglia.

 

IL SUICIDIO
A pochi giorni dal delitto è Manuel a parlare con il fratello: «Ho fatto una cosa peggio dell’Isis - si sfoga - un crimine vigliacco, infame, crudele. Non mi piace essere me stesso». Il parente tenta di confortarlo e quando lui sbotta dicendo: «Faccio un gesto da eroe, mi suicidio», gli risponde: «Un gesto da cogl...Solo al tumore non c’è rimedio. Stavi svalvolato altrimenti non l’avresti mai fatto».

Le intercettazioni sono confluite nel fascicolo che presto potrebbe portare a processo lo studente universitario del Collatino con il pierre delle serate vip, tutti e due accusati di omicidio premeditato aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi (difesi rispettivamente dagli avvocati Michele Andreano e Pasquale Bartolo). L’omicidio di Luca Varani, vittima scelta a caso, avviene la mattina del 3 marzo. Il 31 dello stesso mese, Foffo dice: «A quel ragazzo ce penso tutti i giorni. Se gli sparavo finiva subito la cosa». Non ti devi sentire responsabile replica incredibilmente il fratello: «Non eri te, non eri te». E lui: «Lo so, ma vallo a spiegà alla gente...Quel ragazzo ha sofferto».

IL RICATTO AFFETTIVO
Anche Prato ha colloqui con il padre. La madre si rifiuta di andarlo a trovare. «E’ legato a ciò che è successo - gli spiega il genitore - È troppo il malessere». «Meno male che non mi avete intestato nulla», è la preoccupazione di Marco. Poi “il ricatto” affettivo: «Mamma non viene? Io ho il libero arbitrio. Da bambino mi si è formato “un vuoto”, ho cercato di colmarlo per tutta la vita con droga e sesso, e poi è successo quello che è successo». La preoccupazione principale è di incontrare la psichiatra, «senza la terapia crollo, non ce la faccio ad affrontare il processo».

Di quella notte e dei tanti particolari scabrosi è soprattutto Foffo a farne riferimento. Davanti al fratello che gli dice che «quell’altro gli sta mettendo tutta la m... addosso, perché dice che sei stato te», sbotta: Gli ha dato la coltellata al cuore. Dice che gliel’ho data io? A beh... gli stava a tajà er p.... Lo voleva evirare. Gli ho fatto: "fermate ahooo”. Al magistrato l’ho detto ho colpito più io, ho colpito più io. Lui pure ha colpito. Io e lui avevamo intenzione di ammazzare una persona, e lui ha scelto il suo amico come vittima designata. Io a quel ragazzo manco lo conoscevo».

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