Celeste ed Edoardo: una vita in comune (e in grazia di Dio)

Celeste Casciaro in una scena del film "La vita in comune"
Celeste Casciaro in una scena del film "La vita in comune"
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 3 Settembre 2017, 19:56 - Ultimo aggiornamento: 19:57

Puntuale è puntuale. «Ci sentiamo domani alle 10?». Ok. E fu sera e fu mattina. Alle 9,30 chiama. «Troppo presto?», chiede lei. No no, va bene così. «Sai com’è, qui esci e tra tante cose e mille persone rischi di non trovare più il momento giusto...». Non so com’è, ma va bene così, davvero. Venezia deve essere un incanto. E una baraonda. Il Festival del Cinema porta in dote lustrini, red carpet, flash. Bellezza in quantità quasi insostenibile. Quest’anno poi, che i “leoni” sono Jane Fonda e Robert Redford… «Il primo giorno arrivi ed è un’ondata di entusiasmo travolgente. Al secondo - spiega Celeste - recuperi la calma». Prima che sia tempesta. Neanche il tempo di tirare il fiato e si parte: uscita nelle sale e proiezione al concorso, sezione “Orizzonti”. Tutto assieme, contemporaneamente. Comincia un’altra avventura. Nuovo film: “La vita in comune”.

Regia di Edoardo Winspeare, che ha scritto la sceneggiatura insieme con Alessandro Valenti. Squadra che vince non si cambia e così è: dopo il successo di “In grazia di Dio” al Festival di Berlino 2014, il bis. Nel cast Celeste Casciaro, moglie di Edoardo. Cinema e realtà qui si mescolano: compagni nella vita e sul lavoro, l’amore che esplode sul set de “Il Miracolo”, nel 2003, eccetera eccetera. Storia già nota. Lui ascendenze nobili, incroci anglo-napoletani, natali austriaci, castello a Depressa (Tricase), modi affabili e molto altro ancora (già l’anagrafe basta: Edoardo Carlo Winspeare Guicciardi). Lei origini contadine, perciò eleganza naturale e tanto di cappello. Bellezza mediterranea. Esplosioni salentine, giacché ormai, cu tuttu ‘stu Salentu, prima o poi finiremo per essere una cosa a parte con certificato doc, dop e igt.

Si torna a Venezia, allora. La prima volta fu proprio con “Il Miracolo”. Ci si prende gusto, pare. «Beh, a chi non piacerebbe venire qui tutti gli anni, fosse anche solo per vacanza? Nel 2003 accadde al primo colpo. Un ambaradan, non capivo quello che stava accadendo. Sono cose che cambiano il destino di un film». E di un’attrice. Lei rifiuta l’accostamento, rifugge la qualifica. Dice che ben altre sono le professioniste, le dive, le star. Non ci convincerà mai. Però ci prova: «Per me è una sfida. Mi hanno insegnato a provarci sempre, a non rinunciare mai. Le energie, ecco, quelle bisogna darsele. E se uno non ce le ha, allora se le inventa. Diciamo che è come un gioco... Mamma, che ho detto... Se mi sente, Edoardo mi ammazza». Ride. E meno male. «La verità è che su questo argomento lui è categorico: d’accordo, è una finzione - ripete - ma non è un gioco».

La sinossi ufficiale della pellicola, prodotta da Saietta Film con Rai Cinema, parla di Disperata, piccolo paese del sud Italia dimenticato da Dio; del malinconico sindaco Filippo Pisanelli (Gustavo Caputo, socio con Winspeare e Alessandro Contessa nella casa di produzione); della sua passione per la poesia e delle sue lezioni ai detenuti, delle manie di grandezza di due banditi da strapazzo e della loro folgorazione sulla via della letteratura, redenti dall’idea balorda di diventare i boss del Capo di Leuca. La ricomparsa della foca monaca sarà presagio di cambiamento. La vita del sindaco verrà stravolta, finalmente potrà inseguire le sue idee folli ma di straordinaria bellezza. E Disperata tornerà a vivere. «Questo film ha preso Edoardo più dell’altro, In grazia di Dio. Vedo quello che fa. Ci è dentro come regista e come produttore, tutto impegnato con i compagni d’avventura a organizzare la proiezione a Venezia e l’uscita in simultanea nelle sale. Un lavoraccio. E chi l’ha visto quest’estate in casa?».

Si sono conosciuti a Tricase. Lei all’epoca era commessa in un negozio di calzature. Lui girava un film: entrò a provare lo stesso paio di scarpe un numero spropositato di volte. Tipo troppo sospetto, diciamo. Ora sono marito e moglie, hanno una figlia, Arcangela, sette anni. Vivono a Corsano, nella casa che fu del bisnonno di Celeste. Con loro anche Laura e Andrea, nati dal primo matrimonio di lei. Un’altra storia. Un’altra vita. Ora si sorride. «Non ho esperienza di altri set - racconta Celeste - ma da noi c’è sempre una ventata di leggerezza. Non ci prendiamo mai sul serio, anche perché nessuno di noi attori è un professionista». Rieccoci. «È un lavoro così divertente, il nostro… Edoardo trasmette sempre questo messaggio: siamo fortunati, creiamo storie, facciamo sognare. Siamo una bella squadra. Alessandro Valenti, poi, è geniale. Pazzesco. Vedo tra noi e intorno a noi tanto candore...».

L’ultima volta fu osannata da Giuliano Sangiorgi e Roberto Saviano. Una donna vera, autentica; un’interpretazione intensa. E adesso? «Alla fine di ogni film dico basta, questo è l’ultimo. Non mi sento mai all’altezza, mai adeguata. Ho sempre paura di deluderlo: Edoardo ripone tanta fiducia in me. Ma il fatto è che, appena finito un lavoro, già si pensa all’altro, al successivo. E riparte la sfida». Cosa si aspetta da questo film? «Io niente. Solo che arrivi il giusto riconoscimento al lavoro di Edoardo». Le spiace non essere la protagonista, stavolta? «Niente affatto. Le sue decisioni sono dettate dalla passione per il lavoro e dalla storia da mettere in scena. Non ci sono raccomandazioni o favoritismi. La scelta dei volti e dei protagonisti è casuale. Ci sono persone che incontri in piazza o frequentano casa e che finiscono nel film perché a Edoardo va bene quel viso, quell’espressione. Davide Riso, mio figlio nel film, neppure si conosceva con Edoardo. Si sono incontrati per caso in banca. Si parte così. Come l’idea per questo lavoro, nata dall’incrocio con due editori, Cosimo Lupo e Piero Manni, quest’ultimo poi reclutato per le riprese: interpreta il saggio del paese, lui che davvero ha insegnato in carcere ai detenuti».

Celeste nel film è Eufemia, proprietaria di un minimarket, consigliere comunale di maggioranza (di cui il sindaco è segretamente innamorato) ed ex moglie di Patì Rrunza, l’aspirante boss poi novello poeta. Ecco, la poesia. «In questo film ce n’è molta, forse più che nell’altro. Lì erano le donne le protagoniste. Qui gli uomini: non è facile con loro, perciò ti commuove la tenerezza che riescono a esprimere. Naturalmente, e con molta bravura». Messaggi? «Sì. Ogni opera ne ha uno. Le cose possono sempre cambiare, in qualsiasi ambito, in ogni momento. Possono e devono cambiare dal basso, senza aspettare che qualcosa scenda provvidenzialmente dall’alto. Solo questo. Ma non è poco, mi pare».

Il film è nelle sale da ieri.

Aspettiamo che arrivi il responso, su a Venezia. Ci sarà un giudice non solo a Berlino. Qui, intanto, ci godiamo questa nuova impresa, salutare perché è a chilometro zero, rispetta l’ambiente e fa bene al cuore. Perché ricarica di energia senza inquinare. Perché è la favola bella che mai ci illude. Com’è vivere e lavorare assieme? Insomma, com’è la vita in comune? «Con Edoardo, splendida: ha sempre il sorriso pronto, una parola buona per ognuno. E così si va avanti. Tutti assieme. Appassionatamente». Non è un film, almeno non questo. C’est la vie.

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