Mariano: un'idea (geniale) e si accesero tutte le lampadine

Le installazioni luminose da Harrods, a Londra, curate da Marianolight per Dolce&Gabbana
Le installazioni luminose da Harrods, a Londra, curate da Marianolight per Dolce&Gabbana
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 17 Dicembre 2017, 20:27
Uno dice: è il periodo. Sarà. E del resto, ci si mette in marcia anche per questo. È periodo? Vabbè, allora si va. Non come i re Magi, ché sarebbe atto di lesa maestà chiunque essi fossero, sovrani, sacerdoti, astrologi o anche solo saggi, giacché nessuna delle predette qualifiche e doti alberga da questa parte della tastiera (e ammettiamolo, anche per mancanza di materia prima: l’oro, meglio sorvolare; l’incenso, e va bene; ma la mirra, eh, la mirra, per quanto miracolosa e per carità, ma chi l’ha mai vista ‘sta mirra?). Sine, si va. E poi non dico una stella cometa, che forse non era stella e probabilmente neppure cometa, ma un lampione come riferimento, una lucetta, un lume, una fiammella a olio (olio lampante, ok?; dal gas tenersi alla larga), un punto visibile, insomma, vogliamo mettercelo? Invece niente. Lo giuro. Niente.

Non che sia al buio, ma quasi. Marianolight, l’impresa che a Natale illumina il mondo (se l’iperbole è giustificata dalle installazioni in simultanea da Londra a Madrid, da Roma a Milano, da Torino a Siracusa, senza tralasciare Lecce), vive di luce ordinaria. Come fosse un triste novembre, un freddo febbraio, che già di fronte – qui nella zona industriale di Corigliano d’Otranto – “Vergallo attrezzature” e “Sponziello alluminio” rischiarano le tenebre con maggior vigore e convinzione. E poi neanche un’insegna. Ma scusi, come faccio a trovarvi? «Vedrà un cancello aprirsi sulla sua sinistra». Siamo agli effetti speciali. Da qualche parte si dovrà pur cominciare. Il signor Marianolight tende la mano e si presenta. Piacere, Lucio. La domanda corre più rapida del pensiero e scavalca la buona creanza: ma una luminaria, un festone, no? È pur sempre Natale. «Sì, ha ragione. Sono io che non voglio. Sarà per via del lavoro. Le installiamo dappertutto che preferisco non circondarmene. A casa mia, ad esempio, a Maglie, solo quest’anno mia moglie ha messo delle luci fuori. Piccole, per carità. Giusto per dire che è festa».

Ha 56 anni. Occhi azzurri, sguardo vispo, modi affabili. Terza generazione dopo nonno Salvatore e papà Eliseo, tutti di Scorrano, la patria delle luminarie e dei suoi artisti, come i De Cagna, come l’altro Mariano, Massimo, cugino, e Santa Domenica a proteggerli tutti, dall’alto, questi funamboli dell’aria quando si tratta di montare le impalcature, tirare su i pali, tendere i fili, provare le luci, accendere le meraviglie, illuminare i sogni. Acrobati con contratto da metalmeccanici, follie della burocrazia. Rapporti tra concorrenti? «Come tra Juve, Inter e Milan». Ottimo. Solo che qui siamo campioni del mondo. L’azienda di Lucio è certificata tra le imprese storiche. Origini fine ‘800, 1898 per essere precisi. L’avo era paratore all’interno delle chiese, così è scritto sul certificato di matrimonio. L’atto fa fede per l’origine doc dell’attività. Poi nonno Salvatore si è spinto all’esterno delle chiese. Piccoli archi di legno con lumi per abbellire le strade, uno spettacolo da vedere: «Si accendeva la prima fiammella con la scala e quando si arrivava all’ultima bisognava tornare indietro a spegnerle tutte perché era già tardi e la festa era finita. Preistoria». Ora è già futuro.

Il capannone contiene meraviglie accatastate una sull’altra. Ogni pezzo catalogato, schedato e messo al suo posto. Ikea venga a prendere lezioni. Basta scegliere la scenografia e il computer dirà dove mettere mano e come assemblare. È fatto tutto qui. Dall’idea alla realizzazione. «Lo schizzo su carta è il primo passo», spiega Mariano. Dove? «Ecco», e indica i fogli davanti a sé, le matite, il computer. La mente è lui. Alle spalle pannelli come quadri: la stilizzazione delle creazioni che - sembrerà un ossimoro ma così è - hanno abbellito le città d’arte. Legno e materiale elettrico vengono assemblati giù nei capannoni. Ora sono al lavoro per le cornici luminose destinate alle sfilate di Pitti Immagine, a Firenze. L’impresa conta 27 dipendenti fissi, più gli occasionali. Quando serve qualcosa di extra ci sono le ditte della zona, i professionisti del posto, a partire dalle aziende dirimpettaie, quelle che omaggiano il Natale, per finire agli ingegneri. Le luminarie sono ormai opere d’arte miste a calcoli di precisione e sapienza statica. Artigianato fino a un certo punto. In realtà architetture sempre più complesse e sofisticate. Le feste patronali di papà Eliseo, a lungo core business dell’impresa - operai al lavoro da marzo a ottobre, un tempo, poi tutti nei frantoi e nelle cantine - sono ormai solo il dieci per cento del fatturato nonostante la colorata e luminosa invasione delle piazze. Il resto è altrove, in giro per il mondo. Come Lucio, qui di passaggio. Ha appuntamento a Madrid: da New York arrivano dei clienti per valutare una possibile installazione a Times Square, Manhattan. Una galleria alta oltre otto metri, larga più di sette e lunga 60. «Ma sarà difficile: per legge, lì vogliono manodopera locale. Non hanno capito di cosa stiamo parlando». Incrociamo le dita in attesa di intrecciare i cavi.

Intanto prepara la squadra che dovrà volare a Londra. Tra poco, il 28 dicembre, si smonta da Harrods, dentro e fuori. Via l’albero e le luminarie installate e accese il 2 novembre da Dolce&Gabbana per i magazzini dell’extralusso. Effetti speciali sul serio, e peripezie non da poco nella City: «I loro tecnici non volevano buchi nelle pareti, all’interno. Per una cupola in sospensione solo sei ganci a disposizione, preesistenti, ognuno calibrato per una tensione massima di 70 chili. Un miracolo stare nei 420 totali di peso. E a ogni gancio una bilancia elettronica per controllare la trazione in fase di montaggio. Fiscali e precisi». La sicurezza come variabile indipendente. Lì. «Perché giù da noi il discorso cambia – spiega Mariano –. Io ho fatto investimenti importanti e, dico la verità, ancora non basta. Ma in giro vedo situazioni da far accapponare la pelle. I controlli, mi chiedo, dove sono i controlli?».

Voleva fare altro da giovane, lui, l’imprenditore multicolor. Studiava ingegneria, animava le notti del Quartiere Latino, a Gallipoli, in consolle come dj. È rimasta la passione per la musica, che ormai inonda le piazze all’accensione delle luminarie. E un lavoro che, almeno nella variante natalizia, si è inventato dal nulla. «Ero all’università, studiavo a Pisa. Durante le feste la strada dove andavo a comprare il pane veniva agghindata con stelle in ferro arrugginito, qualche lucina attorcigliata intorno. Orribili. Chiedo. Costavano 150mila lire l’una. Erano venti, tre milioni in totale. Pazzesco. Mio padre doveva lavorare duro per portare a casa quelle cifre. Era la metà degli anni ’80. Mi ingegno: con quello che faceva la ditta, altro che stelle. Così da casa mi invento un marchio, delle M concentriche a mo’ di galleria e dei raggi intorno a richiamare la E. Eliseo Mariano. Mando per fax la proposta di addobbo natalizio a una cinquantina di comuni. Mi rispondono subito da Rovigo. Contratto da 52 milioni di lire. Era il 1986. Mio padre in un anno intero ne incassava poco più del doppio».

In azienda con lui lavora la moglie, Cristina Forlini, ma non ancora i figli. La quarta generazione nicchia: Simone è ingegnere; Alice lavora per Google a San Francisco; la speranza pare sia Giulio, architetto, esperienza nello studio che ha progettato l’avveniristico e immaginifico Albero della vita per ExpoMilano, 37 metri di altezza, legno acciaio e luci. Ci siamo. È del ramo. Il futuro è segnato. Il presente, invece, è una traccia luminosa sparsa per il mondo: per dire, a Roma in via Condotti e Trinità dei Monti e a Milano in piazza della Scala, sempre con Bulgari; a Torino, secondo anno di fila; a Madrid lungo la Puerta Magica, punto d’oro in Spagna, paese dove da anni Mariano miete successi al festival internazionale di Valencia. Solo esempi. E ancora non si sono spenti i bagliori del palco che ha infiammato la Notte della Taranta, l’estate scorsa, con Raphael Gualazzi. Luci, luci, luci. Un tripudio. Poi chiedi un caffè, anche se ormai è sera, tanto per gradire, giusto per il commiato, ed è quasi il panico. Macchina spenta. Giù è stato staccato l’interruttore generale. Bravi. Così si fa. Ci mancherebbe. Se qui dimentichi le luci accese, non sia mai, è una catastrofe di bolletta.


 
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