Mokadelic, l'elettronica è libertà

I Mokadelic
I Mokadelic
di Valeria BLANCO
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Domenica 22 Ottobre 2017, 15:14
Di giorno sono un antropologo, un designer, un microfonista, due psicologi. Ma la notte, soprattutto nei week-end di luna piena, si trasformano nei Mokadelic, animali da palco con un sound originale, almeno nel panorama italiano. E che, negli ultimi anni, hanno raggiunto il grande pubblico come autori della colonna sonora originale di “Gomorra, la serie”. Questa sera (21 ottobre) saranno dal vivo a el Barrio Verde, in occasione della riapertura del locale di Alezio. Il percorso musicale fatto fino a qui dai Mokadelic lo racconta il bassista, Cristian Marras.
Vi definiscono post-rock: come interpretate questo genere musicale?
«Per noi il post-rock è più un approccio alla composizione: possiamo creare senza avere vincoli linguistici di ritornelli, strofe o metrica. C’è libertà espressiva ed è un genere che si adatta bene all’emotività che vogliamo esprimere».
I vostri brani sono solo strumentali: scelta radicale.
«È il modo naturale con cui abbiamo iniziato a suonare insieme dagli inizi. Abbiamo avuto collaborazioni, ci affascinano le voci femminili, ma non abbiamo mai trovato una voce che potesse integrarsi stabilmente nella band».
Cinema e musica, il vostro stile sposa bene questo binomio.
«Già dalle prime esibizioni ci piaceva proiettare delle immagini, poi abbiamo reso l’elemento visivo stabile nelle nostre performance. Le chiamate dal mondo del cinema, a partire da Salvatores con “Come Dio Comanda” ci hanno dato visibilità».
Con “Gomorra-La serie”, la consacrazione.
«Alcuni registi hanno avuto il coraggio di non scegliere i soliti cliché della musica per film e quando questo è accaduto le sperimentazioni sono state anche per noi un momento molto piacevole. Ogni regista ci ha stimolato a fare cose nuove e ci ha restituito tanta ricchezza. L’apice è stato con Sollima, prima con “Acab” e poi con “Gomorra-La serie”».
Come nasce una vostra colonna sonora?
«In alcuni film abbiamo avuto modo di respirare il girato solo leggendo la sceneggiatura, e da qui siamo partiti per immaginare il paesaggio sonoro. Per “Gomorra” abbiamo anche visto un montaggio non definitivo della prima puntata e sulla scia di quell’impatto emotivo abbiamo iniziato a comporre. La fortuna è che ogni esperienza è diversa e questo ci costringe a rinnovarci sempre».
La vostra musica è sempre abbinata a trame oscure. Una casualità?
«Abbiamo fatto un corto sul tema dell’amore in cui c’era un po’ più di sentimento e psichedelia positiva, ma il tempo sta dimostrando che altri temi ci sono più congeniali». 
Qual è il vostro rapporto con il progressive anni ‘70?
«I nostri primi ascolti sono stati i Pink Floyd; tra gli italiani abbiamo amato la Pfm, ma l’influenza non è diretta: il progressive ha canoni in cui non rientriamo. Ci accomuna, invece, un approccio così poco pop».
Qual è, attualmente, lo stato di salute della musica italiana?
«Oggi chiunque voglia suonare può farlo ed essere presente su Youtube o Spotify. Non c’è selezione, ma per me questo è un aspetto estremamente positivo. Le opportunità di potersi esprimere ci sono, tutti possono fare tutto, va bene così».
Che importanza hanno per voi i live?
«Fondamentale, perché è su un palco che si può liberare energia e creatività. Il rapporto umano che si instaura in un live tra noi e il pubblico non può essere sostituito dal lavoro di studio: una dimensione speciale e per questo irrinunciabile».
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