Alessandra, il duetto delle meraviglie
della donna che fa per tre

Alessandra Caiulo
Alessandra Caiulo
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 17 Settembre 2017, 19:42 - Ultimo aggiornamento: 20:04
Arriva da madre e da madre se ne va. In mezzo, non bastasse, un universo di emozioni. Primo giorno di libertà “condizionata” dopo un’estate intensa. Un’altra. Iris, la figlia di sei anni, è a scuola, all’esordio in prima elementare: si comincia. Tappa importante, per la madre vale l’assenza giustificata dal lavoro. “Mamma, puoi anche andare”, l’ha liquidata dopo il suono della campanella. Come fiore, Iris infonde serenità e fiducia; ma come primogenita impartisce comandi. Via. Sciò. Alla larga. La piccola di casa, invece, di anni ne ha quattro. Si chiama Mia, forse per mettere subito le cose in chiaro. È al secondo anno della Materna, quasi una veterana del settore. Chissà cosa avrà detto, il batuffolo, dopo aver varcato la porta d’ingresso al suono della campanella. Comunque, via anche da lì: così Alessandra è qui. Mamma, giornalista, addetta stampa e cantante, detto in ordine sparso. Ma quante cose fai? «Troppe!». Cominciamo bene.

Ha trentatré anni, Alessandra Caiulo. Laurea in Traduzione e interpretariato, con master in Regia multimediale. Poi tutte le lingue devono essersi fuse in una voce strepitosa e il resto è presenza scenica. Il completo nero lascia scoperte le braccia. È una forza della natura, e si sapeva. Ma il suo sembra un caso raro di simbiosi completa con l’ambiente: oltre il polso, e verso le spalle, si allungano rami fioriti. Rampicanti, più che tatuaggi. Nell’ordine cosmico delle cose in cui è calata dalla testa ai piedi colpisce (il presente storico ha il suo perché: il ritmo non sfuma, e se il piede batte ancora il tempo vuol dire che sempre lì siamo, a Melpignano, sulla spianata degli Agostiniani) colpisce, dicevamo, la sua ultima esibizione per la Notte della Taranta formato Raphael Gualazzi, accelerata quanto basta, indiavolata quel che serve, quest’anno ammorbidita dalle sonorità afro-jazz e illuminata dai balli dell’étoile della Scala Nicoletta Manni, altro gioiello di questo Salento (ah, lu Salentu…) che con la musica e derivati ha un rapporto speciale. Bravi tutti, strepitosi, applausi sinceri. E chi non ci crede, o non è d’accordo, Taranta lo morda.

Dopo quattro ore di concertone ecco un duetto di Alessandra con Gualazzi – l’unico della serata in cui s’è cimentato il maestro –, bello e intenso, un crescendo travolgente che il modo ancor sorprende. “Cala la capu”, new entry in scaletta, brano della tradizione salentina pescato chissà dove, uno scioglilingua più che una pizzica. Le prove hanno designato lei come partner per la girandola di parole e musica, pianoforte e tromba assieme all’orchestra. Lui in giacca e cravatta, lei in completo bianco e il trucco sapiente dell’amico Daniele De Vitis per dare ancor più risalto agli occhi, pezzo forte della casa assieme alle corde vocali, che però non si vedono (per quanto si sentano, eccome). Tutt’intorno le luminarie di un palco divenuto cassa armonica formato extralarge per questa festa di piazza con 150mila presenti. E chiricu sì e chiricu no. Chiricu chiricu chiricu chiricu che resta un enigma come possa aver fatto mister Raphael, calato da Urbino, a roteare la lingua senza annodarla all’ugola. Talché, essendo sopravvissuto all’esperienza (per scettici e dubbiosi, vedere al secondo minuto della quarta ora su Rai replay), anche lui purtroppo ora soffre di salentitudine. Tra qualche anno troveremo il ballo giusto per guarire pure da quest’altra malattia (noi per primi che ne scriviamo).

«Raffaele ha convinto tutti. È stata un’edizione speciale, giusta per celebrare i 20 anni del concertone. La comunità della Taranta ne è uscita ancor più compatta, coesa, unita. Una grande famiglia che si è ritrovata a pranzo e a cena, lavorando fianco a fianco mattina e sera. Gualazzi è stato splendido, tenendosi sempre un passo indietro per dare ancor più visibilità all’orchestra, prima durante le prove e poi sul palco di Melpignano. Ha lavorato tanto, un grande professionista, e i risultati si son visti. Non solo come espressione musicale ma anche per l’affiatamento. Scrive ancora ogni giorno sul nostro gruppo Whatsapp, per dire». Lei, Alessandra, ci è dentro dal 2004 in questo gran calderone che è la Notte della Taranta, alchimia di tradizione e innovazione che ogni anno sforna magia e raccoglie entusiasmo, moltiplicando e accelerando la produzione artistica del territorio e ponendosi, nei gruppi in scena tutto l’anno, come una vera e propria scuola che ormai da tempo ha varcato i confini nazionali. C’è un cuore che batte nel cuore del Mediterraneo.

Dal 2004, allora. «Feci le prove con Ambrogio Sparagna. Lui aveva scritto una canzone, “Sogna fiore mio”, cantata da una delle mie interpreti preferite, Lucilla Galeazzi. Portai quella alle selezioni. Fui presa. Le cose, se devono andare, vanno». Leitmotiv declinato in chiave artistica. Quasi una filosofia di vita. Due anni dopo, nel 2006, tra gli ospiti Lucio Dalla con un “Disperato erotico stomp” pizzicato a dovere, altra storia (vedere, prego: è su internet). Comunque, il produttore di Dalla nota Alessandra, le chiede un demo. Funziona. La convocano su, poi l’incontro in Sony con Rudy Zerbi, discografico e talent scout prima dell’approdo alla corte di Maria De Filippi. «Noi avremmo immaginato così il tuo brano, mi dicono. Ascolto... Era una versione dance. Mi parlano del look, spiegano che mi vedrebbero bene con i capelli ricci. Ipotizzano persino un passaggio al Festivalbar. Ringrazio, ma quella non sono io, dico. A 20 anni pensi di poter spaccare il mondo. Loro non si sono fatti più sentire. Né li ho cercati io». Le cose, se devono andare, vanno...

Piedi per terra: vena artistica coniugata a esigenze pratiche. Il lavoro risponde a questa seconda implicazione della vita quotidiana. Da sei anni cura le comunicazioni e i rapporti con la stampa per l’assessore regionale alla Cultura e al Turismo Loredana Capone. In tasca il tesserino di giornalista pubblicista. «Non sarò brava come voi professionisti - dice Alessandra - ma dopo tutti questi anni credo di saper svolgere bene il mio compito e di veicolare al meglio il pensiero dell’assessore». Se è per questo, deve essere virtù frutto della laurea in Traduzione e interpretariato (battutona). E comunque, viste le doti naturali, portavoce sarebbe ruolo più adatto (bis). Studiare ha studiato anche con la musica, dopo i promettenti esordi: a sei anni sfiorò l’ingresso nel coro di Mariele Ventre per lo Zecchino d’oro. Ma alle selezioni tenute ai Salesiani, a Lecce, arrivò seconda: passava solo il primo. Risultato comunque incoraggiante. Lei, spinta dal padre, ha poi affinato l’indole naturale lavorando su pianoforte, musica d’insieme e impostazione lirica. Bene: ora shakerate e servite, il risultato è garantito. Da un anno, insieme con Salvatore Casaluce, compagno d’avventura (ma nella vita il compagno è Davide Faggiano, ramo artistico anche lui), Alessandra ha avviato un interessante progetto musicale, “Nerodalia”. «Il nostro è pop rock d’autore. Si sperimenta. È così: suoni e parole ti devono prendere. Ho seguito sempre questa impostazione: fatalista, ma determinata. La musica è un’operazione verità: devi sentirla dentro. Devi vivere appieno il momento. Sarà un mio limite, ma se non sento nel fondo del fondo quello che faccio non riesco a esprimermi al meglio. La voce non può avere il fiato corto, sovraccarica di pensieri e stress. Deve fluire potente, libera». Nel 2011, dopo uno spettacolo a Lecce, declinò l’invito del “Cirque du Soleil” a seguire la compagnia a Montreal, in Canada, e da lì in giro per il mondo. «Iris non c’era ancora. Lo so: non ho attenuanti. Che ci posso fare?».

Hanno cominciato a riconoscerla. La fermano, le scrivono. Montarsi la testa neanche per sogno: sommerge l’idea con una risata fragorosa. Nel futuro prossimo un progetto per rivisitare la musica tradizionale, interpretandola in chiave personale. «Mi immagino a calcare i palcoscenici dei teatri, a portare in giro la mia idea. Non proprio San Siro, anche se poi, per carità, dovesse arrivare...». Insomma: le cose, se devono andare, vanno... Quanto al futuro immediato, invece, solo risvolti pratici: Alessandra si avvia verso il portone della scuola, Iris sta per uscire. Oggi si mangia dai nonni. «Non mi incensare, ti prego. Sono come le altre. Sono una mamma». E ti pare poco?

 
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