Arcelormittal disegna la “sua” Ilva
«Un modello, anche col carbone»

Arcelormittal, lo stabilimento siderurgico di Gand, in Belgio
Arcelormittal, lo stabilimento siderurgico di Gand, in Belgio
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Mercoledì 15 Febbraio 2017, 14:28 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 21:13

(Dall'inviata Tiziana Fabbiano)

GAND - Sei milioni di produzione subito. Fino a otto milioni con due milioni di tonnellate che arriverebbero da altri stabilimenti del gruppo. Arcelormittal lancia la sua sfida per l’acquisto dell’Ilva e illustra, per la prima volta, l’idea di turnaround per il colosso siderurgico di Taranto. Lo ha fatto ieri Geert Van Poelvoord, Ceo europeo dei prodotti piani, in una conferenza dallo stabilimento che è il fiore all’occhiello per ricerca e produzione di qualità, la fabbrica di Gand. Cuore della compagnia prima produttrice d’acciaio nel mondo, in Belgio, nel cuore dell’Europa.
Diciotto chilometri dalla città delle Fiandre, poche centinaia di metri dalla frazione più vicina, a Gand dove gli operai arrivano in bicicletta passando attraverso una foresta di duecento ettari. Qui il ciclo integrale viene assicurato da due altoforni per una produzione che l’anno scorso ha superato i cinque milioni di tonnellate. Ottocento ettari in tutto, dove il parco delle materie prime costeggia il canale Gent-Terneuzen e i laminatoi degli anni Sessanta sono affiancati dalle pale eoliche. «Perché per noi l’importanza dell’ambiente è fondamentale ed è per questo che piantiamo alberi», dicono dalla direzione dello stabilimento. Conservare la tradizione puntando all’innovazione. A fianco alla colata continua da 1.500 gradi ci sono laboratori di ricerca che arrivano a riciclare l’acqua per 25 volte fino a ottenere premi dal governo belga. E ogni bramma, ogni coils, le singole bobine, viene fotografata più volte per ottenere il massimo standard di qualità e la tracciabilità completa di fronte ai clienti. Una proiezione. Gand come Taranto ma con un programma di lunga durata, con una visione del lungo periodo.
Tre gli altoforni che Arcelormittal intenderebbe infatti utilizzare nel capoluogo jonico per assicurare da subito il limite massimo di sei milioni imposto dai vincoli di legge fino al completamento delle prescrizioni ambientali. Gli altri due milioni, per i primi anni, potrebbero essere comunque raggiunti con le bramme già pronte, probabilmente quelle realizzate dallo stabilimento francese più vicino. L’impegno economico che deriverebbe dal risanamento dell’altoforno numero 5, il maggiore di quelli jonici è uno dei più grandi d’Europa, appare al momento troppo oneroso (la stima è di circa 250-300 milioni di euro) per essere considerato. D’altra parte la volontà di Arcelormittal è acquisire il gruppo Ilva – in tutti i suoi asset, compresi gli stabilimenti di Genova e Novi Ligure - per avviare la produzione da subito, valutando successivamente quali impianti far tornare a regime per rendere nuovamente competitiva l’Ilva. «Siamo pronti a partire dal primo giorno. La nostra prima sfida su Taranto è ambientale, la seconda di trasformazione industriale che è complessa come la prima, la terza è commerciale perché l’Ilva ha una reputazione negativa sul mercato. Occorre produzione di massima qualità per ritornare a convincere i clienti», ha detto il manager.
 

 

Il fattore tempo è quindi decisivo. «Più si aspetta è più ci saranno difficoltà, più si rischia di perdere opportunità e di garantire la performance. Occorrono molti sforzi per ammodernare, ma più lo stabilimento è privo di gestione e peggio è. Abbiamo già perso l’altoforno 5».
Arcelormittal, in cordata con l’italiana Marcegaglia, sta preparando i dettagli dell’offerta. Le clausole di riservatezza impediscono a Van Poelvoorde di rispondere alle domande incalzanti dei giornalisti sul piano ambientale e sull’offerta economica. Sulle prescrizioni previste dall’Aia, delle quali è parte integrante la copertura dei parchi minerali di Taranto, non si pronuncia se non per dire che sarà realizzato quanto stabilito dal Governo. Così anche per la proposta occupazionale: «Sarà parametrata alla produzione che realizzeremo», risponde brevemente.
L’offerta economica in preparazione è top secret ma di certo si può fare un parallelo con quanto Arcelormittal investe, da sola, per i suoi stabilimenti. Una base da cui partire sono «venti euro a tonnellata per uno stabilimento normale, ma per Ilva ne occorrono molti di più perché l’Ilva è un po’ disastrata».
La certezza è che la proposta di Am Invest co Italy (la cordata di Arcelormittal e Marcegaglia) esclude la decarbonizzazione. «I forni elettrici non sono compatibili con i prodotti piani. È molto più costoso e non si può essere competitivi con questo tipo di prodotti. Si può sognare di avere prezzi interessanti con il gas e il preridotto ma questa è la realtà della produzione competitiva in Europa che si realizza solo con gli altiforni. Noi non creiamo impianti che non siano redditizi».

Per il contenimento delle polveri sottili la strada è quella della ricerca e dell’ambientalizzazione, con l’adeguamento degli impianti alle migliori tecnologie disponibili. Senza contrapposizione con la comunità locale come a Gand dove operano 4.700 dipendenti e periodicamente associazioni, cittadini e scolaresche entrano a visionare gli impianti. «Noi sappiamo che è un rischio il progetto di Ilva e al tempo stesso tante persone pensano di avere soluzioni per uno stabilimento tra i più complessi. Di certo – ha aggiunto – occorre un accordo con la popolazione, con il governo locale, con i sindacati».
Larga parte della conferenza è stata dedicata alle capacità produttiva e alla penetrazione commerciale di Arcelormittal in Europa e nel mondo. Ma anche alle specifiche attività pensate per Taranto e ai punti di forza di questa cordata rispetto al competitore Jindal, il big player indiano che si è integrato nella cordata opposta di Arvedi, cassa depositi e prestiti e la finanziaria della famiglia Del Vecchio. Dal Ceo Europa c’è una sostanziale apertura ad altri partner che potrebbero entrare nella cordata: «Non abbiamo preclusioni verso nessuno». L’impressione è che la sfida sia tutta tra i grandi colossi dell’acciaio: Arcelormittal infatti sfodera i suoi numeri. Conta 84mila dipendenti, ha stabilimenti produttivi in 17 Paesi del vecchio continente, 92 milioni e mezzo di tonnellate di acciaio grezzo prodotte nel 2015, un’esperienza specifica nelle acquisizioni e nel turnaround. «Nulla contro Jindal che è un’impresa ben gestita, noi non vogliamo criticarla, ma siamo noi i migliori partner possibili per l’Ilva. Nel 2015 Jindal steel ha prodotto 12,6 milioni di tonnellate di acciaio grezzo tutte in India, ha un’esperienza estremamente limitata in acquisizioni. Arcelormittal ha una vasta rete di vendita e distribuzione consolidate mentre Jindal non ha alcuna presenza in Europa», ha aggiunto il manager.

Per rimettere Taranto in carreggiata Arcelormittal punta a produzioni di alto valore aggiunto. Un acciaio di qualità che veda il mercato dell’auto come principale clientela. «Non bisogna produrre e basta, occorre un prodotto giusto fatto con ricerca e sviluppo, come possiamo fare noi inviando a Taranto gli ingegneri che hanno messo a punto prodotti d’avanguardia che realizziamo qui a Gand. Possiamo farlo riducendo i costi fissi con migliori performance e con materie prime che possiamo acquistare a prezzi più bassi. Noi siamo in grado di fare questo da subito e nessuno può farlo quanto noi». L’interesse di Arcelormittal per Ilva è quanto mai chiaro ed evidente. E la conferenza dal Belgio aveva come obiettivo quello di fugare i dubbi e le perplessità verso la cordata Arcelormittal-Marcegaglia evidenziandone i punti di forza sul mercato europeo e italiano. C’è una prospettiva di crescita del mercato dei prodotti piani, l’1% all’anno, che Arcelormittal vuole conquistare aumentando la quota di mercato di Ilva, senza incorrere in una sovrapproduzione ma inserendo Taranto nel suo scacchiere europeo. Rivoluzionando, probabilmente, una produzione che metterà l’automotive in primo piano, mettendo in cantina i tubi e altri prodotti che non sono in grado di fare margine e di specializzare l’acciaio di qualità.

A Montataire il cuore tecnologico
«Modello da esportare a Taranto»


L’acciaio non si produce, si studia. A volte s’inventa. Se lo stabilimento di Gand in Belgio è la forza delle braccia, il cervellone di ArcelorMittal - il gruppo siderurgico interessato ad acquistare l’Ilva di Taranto - è spostato duecento cinquanta chilometri più a ovest, in Francia, nel Centro di ricerca e sviluppo di Montataire.
Una piccola fabbrica, uffici e alcuni padiglioni con i nomi dei punti cardinali, immersa nella riservata e rilassante campagna francese. In un borgo di poche caratteristiche case, dove l’attrazione principale è il vicino castello di Chantilly, gli ingegneri assoldati da ArcelorMittal buttano giù brevetti, elaborano e sperimentano. Gli operai provano sul campo in piccole macchine i prototipi realizzati negli uffici. Provano nuovi acciai super resistenti, extra sottili o vernici a base di resine biologiche.
Montataire ospita soltanto uno dei dodici centri di ricerca in tre continenti del pianeta, se si considerano anche gli ingegneri che lavorano per i clienti di ArcelorMittal in Asia. L’ultimo centro è stato aperto tre anni fa in Brasile. In Europa sono cinque gli impianti dedicati esclusivamente alla ricerca che i francesi hanno sul loro territorio nazionale, gli altri in Spagna, Lussemburgo, Repubblica Ceca. Al di là dell’Oceano Atlantico se ne trovano invece due a Chicago e a Hamilton, la città canadese nota proprio per la sua capacità di riconversione e bonifica industriale. E infatti tra i castelli del Nord della Francia così come tra i boschi canadesi si studia l’efficienza e la tecnologia d’avanguardia non solo per i prodotti ma anche per ridurre le emissioni inquinanti, gli effetti ambientali dell’industria siderurgica degli stessi stabilimenti ArcelorMittal. Gli stessi progetti che potrebbero essere portati a Taranto, sempre che ArcelorMittal la spunti sull’altra cordata concorrente composta dagli indiani di Jindal con gli italiani di Arvedi e i partner finanziari cassa depositi e prestiti con la Delfin della famiglia Del Vecchio. Per ora è stato il colosso franco-indiano a calare i suoi assi sul tavolo, l’altro ieri con il Ceo Europa Geerte Van Poelvoorde e ieri con i vertici dei Centri di ricerche.
«La sicurezza è la nostra priorità insieme alla salute», esordisce Jean-Luc Thirion, general manager di Arcelormittal Global R&D (ricerca e sviluppo) nella conferenza che ha preceduto e introdotto un giro riservato ai giornalisti italiani tra i laboratori di Montataire. Sicurezza che 1300 ricercatori a tempo pieno cercano nelle prestazioni dell’acciaio da utilizzare per la scocca delle automobili o per i grattacieli di New York, per le trebbiatrici agricole come per le gru di ultima generazione o per le navi da crociera. Senza trascurare il gruppo di lavoro che si dedica esclusivamente a migliorare le performance degli stabilimenti siderurgici in tutto il mondo. Soprattutto, naturalmente, nelle fabbriche di ArcelorMittal.
Dai centri di ricerca si generano le idee che poi vengono testate e quindi sperimentate in stabilimento. Se funzionano finiscono in tutti gli altri siti. «Lavoriamo per una fabbrica a basso impatto ambientale», commenta il manager e una delle slide viene dedicata proprio a questo importante processo. La più significativa novità per l’abbattimento delle polveri sottili si chiama filtro ibrido, frutto dell’integrazione completa di due tecnologie esistenti, i filtri a maniche e i precipitatori elettrostatici. Creato nei centri di ricerca e sperimentato nell’acciaieria spagnola del gruppo, adesso si sta esportando nelle altre aree a caldo europee di ArcelorMittal. «Hanno una performance del 99 per cento come i filtri in tessuto ma sono molto meno costosi di questi ultimi. Nell’ordine di svariati milioni di euro. Oltre a captare le polveri sottili sono in grado di dimezzare il costo energetico», precisa poi il direttore generale aggiungendo che negli impianti tarantini, perché no, nell’ipotesi di un’eventuale acquisizione, potrebbero fare presto il loro ingresso. «La tecnologia è utilizzabile, non c’è alcuna difficoltà», aggiunge. Altre realizzazioni della squadra per la fabbrica Lis, low impact steelmaking, siderurgia a basso impatto, riguardano poi la trasformazione dei sottoprodotti dell’acciaio, il riutilizzo delle acque e dei gas d’altoforno nell’altoforno stesso e l’utilizzo dei gas d’altoforno come materie prime chimiche.
Particolarmente all’avanguardia il progetto di utilizzo di un sistema naturale, un’ameba, per la depurazione delle acque di raffreddamento che rappresentano il 75 per cento dell’intera acqua utilizzata negli stabilimenti siderurgici. Si è applicato un biocida naturale già in Spagna, dove il sistema è stato brevettato. A Gand, in Belgio, dopo averla utilizzata, riescono anche a riutilizzare l’acqua fino a 25 volte.
Le cronache internazionali infine hanno parlato di un batterio, presente anche nello stomaco dei conigli, che ArcelorMittal starebbe sperimentando nei suoi laboratori, appunto, per trasformare il Co2: il general manager non risponde su questo specifico punto, forse anche per rimanere ancorato ai risultati concreti con effetti riconosciuti, sebbene la prospettiva avveniristica possa essere allettante.
Di certo un terzo della spesa per investimenti (227 milioni di dollari nel 2015) nei centri di ricerca di Arcelormittal vanno all’automotive, il settore sul quale vorrebbe puntare il gruppo nella ristrutturazione dell’Ilva di Taranto. «Quattordici milioni di tonnellate della nostra produzione sono dedicate al settore auto quindi guardiamo con particolare attenzione a questo aspetto. Per l’ambiente e la sostenibilità: c’è l’obiettivo di ridurre le emissioni gassose con nuove soluzioni per l’auto ma anche di ridurre il costo delle singole automobili e il peso delle vetture perché si consuma meno e ci so meno problemi per l’ambiente». Una lunga tradizione di innovazione nel mercato automobilistico. Nel 1986 ArcelorMittal ha fornito un brevetto di acciaio zincato esposto, nel 1994 è stata la prima acciaieria al mondo a delocalizzare gli ingegneri nello staff dei clienti automobilistici, per fornire un supporto ad hoc. Nel 2003 in Francia ha iniziato a produrre acciai rivestiti ultraresistenti, l’usibor 1500, per l’hot stamping, lo stampaggio a caldo. Acciaio che ha ridotto il peso della scocca del 25 per cento e rivoluzionato il mercato dell’automobile. Tanto che entro il 2018 si prevedono 550 linee di stampaggio a caldo nel mondo. Con il 6 per cento in meno di emissioni. Innovazione che è proseguita ed è così che l’acciaio e’ rimasto il materiale prescelto dalle case automobilistiche. «Oggi forniamo prodotti di grande resistenza, ottima stampabilità, minor peso. Lavoriamo poi alla resistenza delle ammaccature, ma stiamo progettando anche soluzioni per l’evoluzione della scocca fino al brevetto S-in motion che ha consentito la riduzione di peso di cento chili e ci apprestiamo ad arrivare ai duecento chili», ha continuato.
L’edilizia. «Il nostro acciaio viene utilizzato per ogni tipo di costruzione dai grattacieli alle strade, ai porti, con prodotti altamente specifici di ArcelorMittal, come i jumbo, sezioni extra pesanti che sono stati utilizzati per lo Shanghai world trade center o per lo One world trade center di New York», ha spiegato inoltre Thirion.
Così si passa velocemente in rassegna una produzione nuova che spazia dagli acciai smaltati ai graniti. Fino alla lavorazione dei metalli. Stiamo affrontando il tema dei materiali ecologici come resine e nuovi tipi di bio-vernici che hanno ottenuto svariate certificazioni. «Uno dei prodotti che stiamo portando avanti per esempio, è il coil pronto da stampare che elimina il cromo e quindi è più rispettoso dell’ambiente. Abbiamo trovato nuove soluzioni anche per il packaging, scatolette e latte (la banda stagnata che Ilva produce a Genova, ndr) che siano totalmente prive di bisfenoli e cromo».
«In tutti i nostri centri di ricerca il lavoro è svolto per l’aumento della produttività e la ricerca siderurgica che si occupa di impatto ambientale della nostra attività. La nostra mission è ridurre l’impatto ambientale per qualità dell’aria e delle acque» chiude il manager. Non escludendo che anche a Taranto possa esserci un centro di ricerche, il tredicesimo, occorrerà capire se la ricerca di ArcelorMittal possa risolvere le problematiche di Taranto, ben diverse e più gravi di quelle che si vedono ai piedi del castello di Chantilly.

 

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