Scandalo in Marina, chi non pagava era fuori. La drammatica deposizione di un imprenditore: «Così è fallita la mia ditta»

Scandalo in Marina, chi non pagava era fuori. La drammatica deposizione di un imprenditore: «Così è fallita la mia ditta»
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Giovedì 29 Ottobre 2015, 12:16 - Ultimo aggiornamento: 12:24

TARANTO - Il sistema delle tangenti ha fatto fuori, o almeno ha contribuito a far fallire un’azienda di impiantistica. Questo, perlomeno, è quanto sostenuto da uno dei titolari di azienda che hanno testimoniato contro i due ufficiali arrestati all’alba di ieri. L’uomo nella sua drammatica deposizione ha rivelato che gli fu chiesto di pagare per lavorare. Lui si ribellò, ma tutto fu inutile. «Il comandante Alessandro Dore - si legge nel verbale del suo interrogatorio - nel settembre 2011, ovvero al momento dell’ insediamento quale nuovo vice direttore del capitano Di Donna mi disse chiaramente, all’interno del suo ufficio, che per continuare a lavorare avrei dovuto versare una tangente pari al 10% dei lavori che stavo effettuando e per i lavori che mi sarebbero stati assegnati in futuro.

Come ho già precedente dichiarato - rivela il testimone - ritenni quella richiesta inaccettabile e lo riferii subito al comandante Dore andando via dal suo ufficio sbattendo la porta, circostanza che fu certamente notata dalle numerose persone presenti nei corridoi. Confermo - continua l’imprenditore nel suo racconto al pubblico ministero Maurizio Carbone - che il Dore mi disse che tale imposizione del 10% era una disposizione che veniva dai suoi superiori. Proprio per questo motivo, deciso a fare chiarezza, chiesi di incontrare il vice direttore Di Donna e il direttore per chiarire questa spiacevole situazione». Il chiarimento venne fissato a distanza di poco tempo. Ma per la vittima che si era ribellata, almeno alla luce della sua ricostruzione dei fatti, il summit ebbe un epilogo poco rassicurante. Anzi per lui sarebbe stato l’inizio della fine.

«Dopo circa una settimana, tra settembre e ottobre 2011, riuscii ad avere un appuntamento con il vice direttore Di Donna - racconta il testimone - ma quando entrai nel suo ufficio ebbi la sgradevole sorpresa di trovare presente accanto al Di Donna anche il comandante Dore.

A quel punto - aggiunge - compresi che ogni mio tentativo di denunciare i fatti sarebbe stato vano e la presenza di entrambi mi diede conferma della loro complicità cosi come mi era stata riferita precedentemente dal Dore. Decisi comunque di lamentare di non essere stato più invitato alle gare per la manutenzione impiantistica, ma Di Donna mi riferì che era necessario estendere gli inviti anche ad altre ditte di fuori, invitandomi piuttosto a terminare nei tempi stabiliti i lavori a me assegnati». Insomma la richiesta di chiarimenti sarebbe sfociata in una strigliata per il malcapitato.

E non è tutto. Perché nel suo verbale, lo stesso imprenditore conclude sostenendo che «compresi che il mio destino era segnato anche perché non ebbi alcuna risposta alle mie richieste. I miei timori furono successivamente confermati ed infatti dopo aver terminato i lavori, non sono stato più invitato ad alcuna gara. Tale ostracismo da parte della Marina Militare ha nel tempo contribuito al fallimento della mia azienda che è stata dichiarata fallita». Uno schema che in realtà ripropone quello che altri appaltatori della Marina aveva rivelato riguardo alla posizione degli ufficiali arrestati nelle due prime ondate di manette scaturite dalla clamorosa indagine.

Un sistema, insomma, che è stato nuovamente censurato dal gip Pompeo Carriere in maniera accesa anche nel provvedimento restrittivo che è stato eseguito ieri mattina dai carabinieri. «Si tratta - scrive il giudice Carriere - di fatti di concussione continuata di notevolissima gravità, in quanto posti in essere nel corso degli anni in modo sistematico e diffuso, con ferrea determinazione a delinquere, nei confronti di tutti gli imprenditori assegnatari di appalti di servizi e forniture da parte del V e IV reparto di Maricommi, con gravi ripercussioni sui destini delle singole aziende... un vero e proprio pizzo - continua il magistrato - imposto in modo rigido e con brutale e talora sfacciata protervia, e che ha causato nel complesso danni notevoli sia alle singole imprese che all’intera economia locale, sostanzialmente alla stregua dell’agire della malavita organizzata, ma con in peggio, in più, l’aggravante dell’essere tali deplorevoli condotte poste in essere da militari dello Stato che hanno giurato fedeltà alla repubblica e all’osservanza delle regole, innanzitutto deontologiche, dell’ordinamento di appartenenza». Considerazioni, già rimbalzante nei provvedimenti precedenti, che è persino superfluo commentare.

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