Niente mafia, solo estorsioni
e tanta droga: 36 condanne

Niente mafia, solo estorsioni e tanta droga: 36 condanne
di Lino CAMPICELLI
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Mercoledì 17 Gennaio 2018, 05:50 - Ultimo aggiornamento: 11:56
Trentacinque condanne, in molti casi con pene superiori a quelle richieste della distrettuale antimafia, e venticinque assoluzioni rappresentano la sostanza, dall’osservatorio del gup Stefano Sernia, delle iniziative illecite che la procura antimafia stroncò a suo tempo attraverso la maxi-operazione “Feudo”.
Iniziative che tuttavia, secondo la prospettazione dei pm Alessio Coccioli e Giovanna Cannarile, si sarebbero distinte per essere al servizio, in taluni casi, di una presunta associazione mafiosa.
Sul punto, le conclusioni del giudice dell’udienza preliminare, però, sono state di tipo differente, dal momento che lo stesso giudice ha ritenuto di assolvere gli imputati che rispondevano dell’associazione di tipo qualificato perchè «il fatto non sussiste».
Proprio questa dicotomica “visione” del tenore delle attività illecite, in gran parte individuate dal giudice nell’associazione finalizzata al traffico di droga, aveva dato vita ad una querelle fra la procura e l’ufficio del gup, sfociata nella ricusazione.
Come si ricorderà, era stato il dottor Coccioli a presentare l’istanza, ritenendo che in alcuni provvedimenti di scarcerazione adottati dal dottor Sernia quest’ultimo avesse operato una sorta di anticipazione del giudizio arrivato ieri. L’istanza, in ogni caso, era stata respinta dalla Corte d’appello salentina.
Ieri, poi, il gup ha emesso la sua sentenza che, nei numeri, ha praticamente ridimensionato la portata delle richieste della distrettuale antimafia.
Ridimensionamento, in ogni caso, che è stato esteso anche sulla qualificazione delle struttura associativa individuata dall’accusa, attraverso le indagini della guardia di finanza.
Questa, in ogni caso, la sentenza emessa ieri dal giudice, con alcuni imputati condannati che hanno anche incassato assoluzioni parziali, in riferimento a singoli reati o episodi contestati.
Giampiero Albano è stato condannato a sei anni e 8 mesi di reclusione; Alessio Bello è stato condannato a 9 anni e 8 mesi; Gianni Bello è stato condannato a 13 anni di reclusione; Luciano Bello è stato condannato a 14 anni; Domenico Cesario è stato condannato a un anno e sei mesi; Pasquale Cesario è stato condannato a 8 anni e 4 mesi.
Per Antonio Chiochia condanna a un anno di reclusione; per Vincenzo Collocolo condanna a nove anni; per Ignazio D’Alba condanna a due anni; per Egidio De Biaso condanna a 11 anni, un mese e 10 giorni; per Daniela De Gennaro condanna a 2 anni; per Angela De Santis condanna a 8 anni e 4 mesi.
Nicola De Vitis è stato condannato a 16 anni di reclusione; Luigi Di Bella è stato condannato a 10 anni e 10 mesi; Angelo Di Pierro è stato condannato a 7 anni; Orlando D’Oronzo a 16 anni di reclusione; Massimo Fanelli a un anno e 8 mesi; Cosimo Alessio Ferrigni è stato condannato a 10 anni; Giovanni Giuliani è stato condannato a 9 anni; Nicola Guarella a nove anni di reclusione; Graziano Liuzzi è stato condannato a tre anni e 4 mesi; Antonio Mancanello a 24 mesi; Alberto Marangione a nove anni di reclusione; Cosimo Marinò è stato condannato a due anni di reclusione.
Condanna a quattordici anni di reclusione per Salvatore Musciacchio; a due anni di reclusione per Cosimo Pignatelli; a sette anni e 8 mesi per Lucia Portacci; a dieci anni di reclusione per Michele Puce; a un anno e sei mesi per Anna Rabindo; a un anno e 4 mesi per Carmelo Sambito; a nove anni e 4 mesi per Domenico Scarci; a sette anni e 8 mesi per Cataldo Sebastio; a nove anni e 4 mesi per Filippo Sebastio.
Aldo Solfrizzi è stato condannato a 10 anni e 4 mesi di reclusione; Ignazio Taurino a 10 anni di reclusione; infine Stefano Zonile è stato condannato a due anni di reclusione.
Il procedimento era stato denominato “Feudo” per indicare una parte del territorio jonico in cui la criminalità avrebbe imposto il suo predominio. Sotto scacco erano finite presunte organizzazioni che avrebbero fatto capo allo storico clan malavitoso dei “Cesario”, che sarebbe stata guidata sino alla sua morte da Giuseppe Cesario, noto nell’ambiente della mala con il soprannome di “Pelè”.
In ogni caso, per il gup le operazioni incriminate non avrebbero avuto il sigillo della “mafiosità”.
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