Bocciata la riforma, rinascono le province
Ma le casse sono vuote

La sala della Provincia di Brindisi
La sala della Provincia di Brindisi
di Nicola QUARANTA
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Giovedì 8 Dicembre 2016, 08:33 - Ultimo aggiornamento: 17:18
Sul punto di morte, la resurrezione. Altro che abolite. Debilitate con la riduzione del personale e soprattutto con i tagli ai bilanci. Ma le Province sono ancora lì: più “vegete” che “vive”, ma pur sempre in vita. E dopo la valanga di no alla riforma costituzionale che prevedeva di cancellarle per sempre, rischiano la piena riabilitazione. L’esito del referendum, infatti, è stato chiaro: la Carta non si tocca. Province comprese, evidentemente.

E adesso l'ente “degradato” si trova in una situazione ancora più ambigua: deve continuare a garantire i servizi di sempre, in primis la manutenzione delle scuole superiori, della rete stradale, senza però contare su casse solide. Con il paradosso che le Province restano tra gli organi dello Stato riconosciuti dalla costituzione, a differenza delle “novelle” città metropolitane, la cui abilitazione definitiva era connessa proprio alla riforma bocciata con il referendum. E così è il caos. «Le Province, che in seguito al risultato del referendum sono state confermate tra le istituzioni costitutive della Repubblica, a causa degli tagli insopportabili a cui sono state sottoposte sono nell'impossibilità di predisporre i bilanci per il 2017», scrive il presidente dell'Upi Achille Variati al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

«Il governo uscente, dopo un lungo confronto avuto nei mesi scorsi, aveva riconosciuto la gravità di questa situazione, tanto che aveva previsto di inserire interventi correttivi in grado di assicurare il finanziamento delle funzioni fondamentali dell’ente, nel passaggio in Senato della legge di Bilancio 2017. Con l'apposizione della fiducia - prosegue la missiva - tale possibilità è però venuta a mancare e sono rimasti irrisolti tutti i nodi riguardanti gli Enti locali, Province e città metropolitane in particolare».
 
Non usa mezze parole il presidente dell'Upi, per spiegare al capo dello Stato, come le Province - che con la vittoria del «no» al referendum rimangono «incardinate nella struttura costituzionale della Repubblica» - sono allo stremo dopo i tagli che dal 2015, anno che è seguito alla riforma Delrio del 2014, hanno tolto loro rispettivamente 650 mln, 1 miliardo e 300 (quest'anno) e 1 miliardo e 950 milioni nel 2017.

Quindi l'allarme: «Se non si individuerà un provvedimento straordinario attraverso cui risolvere tali questioni, nessuna Provincia sarà in grado di assicurare i servizi essenziali ai cittadini».
Il tema, dunque, torna di estrema attualità. E il dibattito s'infiamma, anche sotto il profilo giuridico-costituzionale: «Le Province restano perché gli articoli 114 e 118 della Costituzione, e in generale tutto il titolo V, sono rimasti immutati rispetto alla riforma del 2001 dopo il no al referendum», afferma il professor Antonio D'Atena - docente emerito di diritto costituzionale all'Università Tor Vergata di Roma e fino all'anno scorso presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti. «Posso dire, come ho fatto nelle commissioni parlamentari, che la legge Delrio - aggiunge - avesse in quel momento degli aspetti di provvisorietà, visto che ha trasformato le Province in enti di secondo grado, ma la Consulta ha validato quell'impostazione, regolando così la presenza di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato». È vero, conclude, che «la legge 56 si reggeva sulla prospettiva dei cambiamenti da apportare alla Costituzione con il referendum, per questo le Province vengono definite nel testo enti di area vasta, ma, ripeto, è stata ammessa dalla Consulta, anche se personalmente ho ritenuto che certi cambiamenti non si potessero fare. E a questo punto ritengo che ricorsi su quella legge possano riguardare soltanto questioni incidentali di legittimità costituzionale».

Sul destino delle Province, dunque, un grande punto interrogativo. Tornare indietro rispetto alla riforma che le ha trasformate in enti di secondo livello appare improbabile, nonostante tutto. Serve un nuovo orizzonte. Ma nell'attesa servono risorse. A cominciare, sollecita l'Upi, dalla cancellazione dei tagli che dirottano a Roma i soldi provenienti dalle tasse. Lo Stato le costringe gli enti a versare a titolo di contributo alla finanza pubblica circa il 60% delle loro entrate, risorse che l'Upi invece vorrebbe fossero destinate alla manutenzione delle scuole.
Oltre agli istituti scolastici e alle strade, le Province si occupano direttamente anche di ambiente, trasporti, pianificazione territoriale, pari opportunità e fungono da stazione appaltante. Più le materie delegate dalla Regione: come sociale, lavoro, turismo, caccia, pesca, protezione civile e così via. Per il prossimo anno, dunque, si vede nero.
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