Antonella vi porta a cena
nei palazzi storici della città

Antonella vi porta a cena nei palazzi storici della città
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Domenica 23 Aprile 2017, 06:40 - Ultimo aggiornamento: 14:39
Si terrà domenica prossima, 30 aprile, al Castello Aragonese, il sesto appuntamento di Sapor di Storia, ciclo di cene a tema in luoghi preziosi e insoliti, accompagnate da performance artistico-culturali ispirate alla location. La cena, in programma alle 21, sarà preceduta, per chi vorrà, da una visita guidata al Castello (ore 19,30) ma a tutti, durante il cocktail di benvenuto, verranno forniti cenni storici sull’edificio. La cena, il cui menù sarà ispirato al periodo di fondazione del Castello, verrà preparata da Salvatore Carlucci, chef del ristorante La Barca, e sarà accompagnata dal violino di Francesco Greco (per informazioni e prenotazioni: 349 2219407, antonellamasella@yahoo.it).
Antonella Masella, giovane organizzatrice di eventi dal curriculum variegato (vanta fra l’altro una laurea in Economia Aziendale e un’abilitazione come Consulente del Lavoro) ha ideato e realizzato questo originale progetto.
Da cosa nasce Sapor di Storia?
«Dal proposito di riscoprire, anzi spesso scoprire per la prima volta, dei luoghi che, se ci appartengono geograficamente, spesso non appartengono al nostro bagaglio di conoscenze. Ho pensato che delle semplici visite guidate non fossero abbastanza attraenti, così ai contenuti culturali ho unito le cene, che poi sono anch’esse parte della cultura locale».
Cosa si aspetta dall’appuntamento di domenica prossima?
«Ho grandi aspettative, per la bellezza della location e per la bravura dello chef Salvatore Carlucci, nativo di Grottaglie ma formatosi in giro per il mondo. La sua cucina è un mix perfetto di tradizione pugliese e internazionalità. È stato molto stimolante costruire insieme a lui un menù ispirato ai banchetti di tanti secoli fa, di cui ora posso dire solo che contemplerà sia piatti di terra che di mare».
Quali dei precedenti appuntamenti considera più riusciti?
«Quello con la maggiore affluenza è stato la serata al Palazzo del Governo. Il più suggestivo quello al Museo Diocesano, per la bellezza del luogo. Il più affascinante quello al Salone degli Specchi del Palazzo di Città, reso unico dall’allestimento dei tavoli, dall’illuminazione e dalla musica di un pianista e di un soprano. Ma confido in nuovi successi per gli ultimi quattro appuntamenti in programma nei prossimi mesi».
Cosa piace di più a chi partecipa a queste serate?
«La possibilità di abbinare a un momento conviviale la sorprendente scoperta di un luogo poco conosciuto della propria città. Poi, l’occasione di cenare dove nessun altro ha mai cenato prima. Infatti, oltre a non essere di norma visitabili, i luoghi che ho scelto non sono deputati a ospitare cene. Infine, tornando all’aspetto conviviale, piace molto la formula con tavoli grandi, che permette di socializzare con persone che non fanno parte del proprio gruppo».
Quali difficoltà incontra nell’organizzare questi eventi, oggettivamente molto complessi?
«Innanzitutto preciso che non si tratta di catering: cuciniamo tutto in loco, portando l’attrezzatura necessaria. Allestire dei veri ristoranti temporanei in strutture storiche destinate ad altre funzioni è in effetti molto difficile, però è anche una delle parti più divertenti, così come quella del servizio, che affronto con il preziosissimo aiuto dei ragazzi e dei docenti dell’Istituto Alberghiero di Castellaneta (e in un caso di quello di Leporano). Passando agli aspetti burocratici, devo dire che gli alti vertici del Comune mi hanno appoggiato con forza. La cosa si è complicata un po’ man mano che si scendeva su un livello operativo, fino ad arrivare a degli ostacoli logistici come l’orario di chiusura o il pagamento di straordinari. In generale mi sembra che ci sia un po’ di resistenza al cambiamento: finché si tratta di organizzare un concertino, sono tutti d’accordo. Quando si ha a che fare con un’idea più complessa, che richiede un coinvolgimento più attivo, le cose si complicano».
 
Importante anche il ruolo degli sponsor…
«Io preferisco chiamarli “squadra”, perché sono in forte sintonia con loro e ci siamo scelti sulla base di una stima reciproca prima ancora che su calcoli di natura economica. Sono aziende giovani, che promuovono il territorio e salvaguardano l’ambiente. Chi ha capito il senso del mio progetto mi ha sostenuto con grande entusiasmo».
Dal punto di vista di chi fa impresa culturale, di cosa ha bisogno Taranto per crescere?
«Di perseveranza da parte delle nuove generazioni, e di un cambio di approccio. Siamo nati operai, con una mentalità da lavoro dipendente. Ora ci troviamo in un momento di svolta, e ci viene richiesto di cambiare mentalità e di superare l’approccio passivo che spesso abbiamo anche nella vita di tutti i giorni».
 
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