Il carabiniere assassino: «Mi hanno isolato, non ce la facevo più»

Il carabiniere assassino: «Mi hanno isolato, non ce la facevo più»
di Mario DILIBERTO
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Mercoledì 22 Novembre 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 11:44

«Chiedo scusa, ho fatto una cazzata. Mi hanno reso la vita impossibile, mi hanno isolato. Non ce la facevo più». Sono queste le parole pronunciate in un rantolo dal carabiniere Raffaele Pesare ai colleghi, quando i militari sono entrati nella casa della strage di Sava. 
L’appuntato savese da pochi minuti aveva giustiziato con una sequenza impressionante di colpi la sorella Pasana, il padre Damiano e il cognato Salvatore Bisci. Prima di spararsi nel tentativo, fallito, di togliersi la vita e di lanciare l’allarme con il suo cellulare. In risposta alle sue diverse chiamate, quindi, nella casetta tra piazzetta Mercato e via Giulio Cesare, sono piombati carabinieri e anche qualche suo stretto familiare. 
Ed è a loro che l’appuntato agonizzante ha reso la primissima confessione, che uno dei suoi colleghi ha avuto anche la prontezza di filmare con il telefonino. Poche parole e una scena da brividi, con il militare sanguinante accasciato su una sedia di plastica. Nella brevissima sequenza, Pesare sembra escludere un litigio e dice testualmente «no.. no!!! Mi hanno sempre preso in giro». 
Poco dopo, però, quando nella stanza arriva un ufficiale aggiunge anche altro: «Chiedo, chiedo scusa, ho fatto una cazzata, mi hanno reso la vita impossibile, mi hanno isolato. Non ce la facevo più». 
Una confessione più approfondita di quella fatta già al telefono al carabiniere al quale aveva chiamato dopo la spaventosa strage e poco prima di rivolgere la pistola anche contro se stesso. Al cellulare, infatti, aveva detto in dialetto «aiuto, ho ucciso mia sorella, mio cognato e mio padre, aiutatemi, che ora mi uccido pure io, ho fatto una minchiata».
Di più, quindi, nelle sue ultime parole, ci sono quelle frasi che sembrano indicare nitidamente il movente in un risentimento covato per anni. Un rancore che è cresciuto giorno dopo giorno, alimentato da incomprensioni che avrebbero avuto come fulcro il piccolo uliveto di proprietà del padre del carabiniere e che il militare gestiva insieme al cognato. Un disagio trasformatosi poco alla volta in odio e che si è esteso anche al papà e alla sorella, ai quali in passato era stato legatissimo. 
Un rancore che è deflagrato con violenza inaudita sabato, poco dopo mezzogiorno. Quando l’appuntato Pesare ha tirato fuori la sua pistola di ordinanza in casa dei familiari e ha cominciato a sparare a ripetizione. 
In quei pochi secondi ha scaricato quasi integralmente il serbatoio della sua arma, che aveva addosso, nonostante da giorni fosse in licenza. 
Un’abitudine diffusa e legittima, visto che il regolamento prevede questa facoltà per i carabinieri. Precisato questo, però, va detto che quel carabiniere, con alle spalle 34 anni di carriera, si è macchiato di un delitto orribile. Messo a segno con modalità raggelanti. Perché in quella casa sono stati rinvenuti i cadaveri dei familiari, tutti uccisi da colpi alla testa e alla gola, esplosi da distanza molto ravvicinata. Un quadro da brividi del quale ora il carabiniere, attualmente in ospedale, dove è in lenta ma costante ripresa, sarà chiamato a rispondere. 
Proprio le sue parole, insieme agli elementi emersi dal sopralluogo degli esperti della investigazioni scientifiche, sono alla base del provvedimento restrittivo emesso dal gip Benedetto Ruberto, su richiesta del pm Maria Grazia Anastasia e del procuratore aggiunto Maurizio Carbone, dopo la convalida dell’arresto di Pesare, scattato in quasi flagranza. 
Sulla testa dell’imputato, che è assistito dall’avvocato Lorenzo Bullo, pesa la contestazione di triplice omicidio volontario, aggravato dall’aver agito ai danni di stretti congiunti. Accuse pesantissime per le quali è stata emessa la misura della custodia cautelare in carcere. Provvedimento, ovviamente sotto ghiaccio, alla luce delle condizioni gravi in cui l’imputato versa dopo il fallito tentativo di suicidio. Raffaele Pesare, infatti, è ricoverato in prognosi riservata nel policlinico di Bari. È in coma farmacologico. Al suo risveglio dovrà fare i conti con la sua coscienza, ma anche con la giustizia.

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