Entrare nel Consiglio? Per chi perde è un’impresa

Entrare nel Consiglio? Per chi perde è un’impresa
di Michele MONTEMURRO
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Venerdì 26 Maggio 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 30 Maggio, 20:17
Sarà dura, molto dura entrare in Consiglio comunale in caso di sconfitta, così come sarà facile, molto più facile rispetto al passato, sedere tra i banchi di Palazzo di città in caso di vittoria del proprio candidato sindaco. 
Per una semplice ragione: al di là dei sondaggi, pur sempre opinabili, l’impressione è che le liste del candidato sindaco vincente, senza apparentamenti, si potranno attestare attorno al 20%. Ciò significa che i 12 seggi che spetteranno alla minoranza se li dovranno spartire l’80% delle altre liste. Quindi un consigliere comunale di opposizione per essere eletto avrà bisogno che la sua lista ottenga il 6,6% dei consensi per un seggio, vale a dire circa 7mila preferenze se i votanti saranno come nelle ultime due tornate amministrative poco più di 100mila. 
Ma come è noto il primo a scattare in Consiglio sarebbe il candidato sindaco, pertanto il secondo ce la farebbe esattamente se la lista o il gruppo di liste ottenesse il doppio dei voti: 13,2% e circa 14mila voti.
I seggi in Consiglio comunale sono 32: 20 (secondo varie sentenze del Consiglio di Stato) spetterebbero alla lista o al gruppo di liste del candidato sindaco vincente per effetto del premio di maggioranza (che garantisce il 60% dei seggi), 12 invece sono quelli che andrebbero alla minoranza. La legge non prevede il premio di maggioranza per la lista o la coalizione del sindaco qualora un’altra lista o gruppo di liste dovesse raggiungere il 50%, ma oggettivamente l’ipotesi di “anatra zoppa”, come è capitato a Barack Obama, non dovrebbe essere il caso di Taranto. 
 
A Palazzo di Città, invece, potrebbe verificarsi un altro tipo di anomalia: come quella che ha consentito negli anni Novanta ai “citiani” di approdare in Consiglio anche ottenendo preferenze con la sola doppia cifra e di scattare in aula come consigliere di minoranza con tanti, tantissimi voti rispetto alla media delle tornate elettorali.
Questo quadro è causato dalla frammentazione politica, caratterizzata da ben dieci candidati sindaco (sarebbero stati addirittura dodici senza l’intervento della commissione elettorale circondariale), trentasette liste e poco più di 1100 candidati alla carica di consigliere comunale. 
Se al ballottaggio dovessero andare, ad esempio, i candidati sindaco del Movimento 5 Stelle e di At6 Lega d’azione meridionale è quasi certo che nessuno farebbe apparentamenti, pertanto sarebbe confermata la soglia del 6,6% e di 7mila voti per ogni seggio di minoranza. Se invece al secondo turno dovessero accedere altri candidati, la partita potrebbe cambiare ma non di molto. Se si dovessero ipotizzare, infatti, apparentamenti delle liste per un totale del 30% dei consensi, la soglia per un seggio di minoranza scenderebbe di poco: al 5,83% e a circa 6mila voti.
La ripartizione dei seggi avviene tramite il metodo D’Hondt, che ha preso il nome del matematico e giurista belga che lo ha inventato. Per applicarlo, in sintesi, si sommano tutti i voti validi riportati dalla lista nelle 191 sezioni di Taranto e poi il numero viene diviso successivamente per 1, 2, 3... fino, dunque, al numero di consiglieri da eleggere, ottenendo così dei quozienti. Ad essere scelti sono i quozienti i più alti fra quelli ottenuti, facendo distinzione tra i seggi conquistati con l’eventuale premio di maggioranza e quelli senza. 
I consiglieri eletti sono quelli che hanno ottenuto più voti, ma prima di loro, come ultimo “resto”, scatta il candidato sindaco non risultato vincente.
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