I pm: «Vendetta per orgoglio, fu Di Napoli a pianificare tutto». Chiesti ergastolo e isolamento

I pm: «Vendetta per orgoglio, fu Di Napoli a pianificare tutto». Chiesti ergastolo e isolamento
di Lino CAMPICELLI
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Mercoledì 19 Aprile 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 12:37
«Carcere a vita per Giovanni Di Napoli, più tre anni di isolamento diurno, e quattro anni di reclusione ciascuno per gli imputati di reati minori (furto d’auto e favoreggiamento)».
La richiesta, secca e ancora senza repliche, è stata formulata ieri dall’accusa pubblica nel processo per la strage di Palagiano, in cui persero la vita Cosimo Orlando, Carla Fornari e il piccolo Domenico Petruzzelli di 30 mesi (figlio della donna), trucidati a colpi d’arma da fuoco mentre erano in auto. E alla morte scamparono altri due bambini, fratellini di Domenico, seduti sul sedile posteriore dell’auto.
In quasi sei ore di requisitoria, i pubblici ministeri Alessio Coccioli e Remo Epifani hanno consegnato ai giudici togati e popolari della Corte d’assise di Taranto la sintesi più rappresentativa delle indagini svolte dai carabinieri, al comando del colonnello Giovanni Tamborrino.
«Indagini», hanno spiegato i pubblici ministeri, «andate in più direzioni per raccogliere elementi concreti, ma poi virate verso la posizione del Di Napoli», che avrebbe avuto più di un motivo per ordinare quella strage; a cominciare da quello di essere stato offeso e schiaffeggiato in un bar da Orlando.
«Ordinare» e non eseguire materialmente, proprio per impermeabilizzare la propria presunta responsabilità.
E anche se la zoppìa dell’indagine riposa tutta, almeno per il momento, sull’assenza degli esecutori materiali di quell’assalto assassino, il dottor Coccioli e il dottor Epifani hanno ritenuto che la ricostruzione dei rapporti intrattenuti da Di Napoli con la coppia trucidata, e quelli che avrebbero prima legato l’uomo alle singole vittime e poi si sarebbero tradotti in un fatale deterioramento, non possa che condurre verso un risultato: la responsabilità dell’imputato.
 
Centinaia e centinaia di telefonate, intercettazioni, contatti fra le vittime e l’imputato principale, e fra l’imputato e le singole vittime, “racconterebbero” di una sorta di ménage à trois non contemporaneo che aveva sancito la definitiva rottura, soprattutto fra i due uomini.
Una rottura, che si era tradotta nella presa di posizione piena di Carla Fornari in favore delle ragioni di Orlando, e contro quelle di Di Napoli, che si era sostanziata fragorosamente in un episodio avvenuto pochi giorni prima della strage, allorchè l’auto di Di Napoli era stata danneggiata pesantemente.
E a rendersi responsabili dell’azione, secondo le conclusioni investigative, sarebbe stata proprio la coppia che di lì a poco, il 17 marzo 2014, sarebbe stata il bersaglio dell’agguato. «Ma Giovanni Di Napoli non uccise per quel danneggiamento: quell’episodio», ha evidenziato in udienza l’accusa pubblica, fece da acceleratore «ad una spedizione che Giovanni Di Napoli aveva pianificato da tempo e che volle mettere in atto», quasi a sangue caldo.
Ben altri erano i contrasti che avrebbero segnato la fine di ogni “amicizia” fra Di Napoli e Cosimo Orlando.
Sul punto, l’accusa ha consegnato ai giudici togati (presidente Michele Petrangelo, giudice a latere Fulvia Misserini) e popolari, le stesse dichiarazioni fatte dall’imputato, le cui chiavi di lettura, come sempre accade in questi casi, propongono dicotomiche conclusioni.
Per l’imputato, l’ammissione circa rapporti non più amichevoli con Orlando sono servite a spiegare che in effetti l’amicizia si era attenuata ma non era cessata del tutto e che, in ogni caso, «non per questo avrebbe avuto un motivo per ucciderlo».
Per l’accusa, quel rancore, legato al fatto che Di Napoli secondo Orlando, non lo avrebbe aiutato all’epoca in cui finì in carcere per un duplice omicidio, avrebbe fatto da detonatore a un esplosivo sempre presente nella mente della vittima: la sua pregressa relazione sentimentale con Carla Fornari.
Una relazione che, pur finita da tempo, nella mente di Cosimo Orlando era sempre viva perchè mai accettata.
«Anche per questo motivo», ha spiegato ieri l’accusa pubblica, Orlando costituiva per Di Napoli un pericolo permanente. «Un pericolo da eliminare definitivamente. Come ordinò di fare». 
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