Ilva, è incostituzionale il decreto salva produzione: sbloccò i sigilli ad Afo 2

Ilva, è incostituzionale il decreto salva produzione: sbloccò i sigilli ad Afo 2
di Alessio PIGNATELLI
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Sabato 24 Marzo 2018, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 12:33
La Corte Costituzionale ha stabilito, con sentenza numero 58, l’incostituzionalità di un decreto del 2015 che consentiva la produzione e, specificatamente, l’utilizzo dell’altoforno numero 2 di Ilva. 
Il provvedimento governativo sbloccò il sequestro disposto dal gip Martino Rosati in seguito alla morte dell’operaio Alessandro Morricella, “esposto, senza adeguate protezioni, ad attività pericolose nell’area di un altoforno”. 
La decisione della Consulta, secondo l’azienda, non ha però conseguenze sulla continuità produttiva poiché l’operatività di Afo2 fu sbloccata in seguito a un’istanza della società accolta dalla Procura stessa. È di ieri la pubblicazione della sentenza della Consulta che, di fatto, ha bocciato uno dei tanti decreti sul siderurgico approvati in questi anni. Torniamo indietro con la clessidra per capire cosa è successo. Alessandro Morricella, un operaio di 35 anni dell’Ilva di Taranto, l’8 giugno del 2015 è travolto da fiamme e ghisa liquida. Muore dopo un’atroce agonia di quattro giorni. 
Il gip Rosati dispone quindi il sequestro di Afo2 senza facoltà d’uso. In quel momento storico, sono fermi anche Afo1 e Afo5 per adeguamenti alle prescrizioni e attivo resta solo Afo4. Un rischio concreto per la produzione superato, appunto, dal decreto legge del 4 luglio, neanche un mese dopo l’incidente. Si consente la prosecuzione delle attività, a condizione che entro trenta giorni Ilva appronti un piano di intervento. Ecco quindi la bacchettata dei giudici che hanno rilevato come siano state considerate “unicamente le esigenze dell’iniziativa economica” e sia stata “sacrificata completamente la tutela addirittura della vita oltre che dell’incolumità e della salute dei lavoratori”. Secondo la Consulta, il legislatore può intervenire per salvaguardare la continuità produttiva in settori strategici per l’economia nazionale prevedendo che sequestri preventivi disposti dall’autorità giudiziaria non impediscano la prosecuzione dell’attività d’impresa; ciò, però, “può farsi solo attraverso un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco”.
 
Come per esempio richiamato da una precedente sentenza, la numero 85 del 2013, in cui il bilanciamento rispose “a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro”. 
Nel caso in questione, invece, tutto ciò non avvenne in quanto “il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (art. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.). Il sacrificio di tali fondamentali valori tutelati dalla Costituzione porta a ritenere che la normativa impugnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa”. Secondo Ilva, la decisione della Corte non comporta alcun impatto sulla continuità dell’attività produttiva in quanto “la restituzione dell’Altoforno 2 è stata ottenuta nel settembre 2015 non in base al decreto dichiarato illegittimo ma in forza di un provvedimento della Procura che, in accoglimento di un’istanza presentata dalla società, ha restituito l’impianto condizionatamente all’adempimento di determinate prescrizioni in materia di sicurezza, poi attuate”. «La sentenza della Corte Costituzionale non incide minimamente sulla operatività dell’impianto - ha dichiarato il commissario straordinario di Ilva, Enrico Laghi - Pur in presenza del decreto legge, giudicato incostituzionale, per il dissequestro dell’altoforno avevamo scelto di intesa con la Procura di Taranto la via ordinaria prevista dal codice di procedura penale. Le norme del decreto dunque avrebbero rappresentato solo una soluzione alternativa che non è stata però perseguita. Per questo motivo non c’è nulla da temere per Ilva».
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