«Noi, trattati come bestie, ci siamo ribellati al caporale». E parte un'inchiesta

«Noi, trattati come bestie, ci siamo ribellati al caporale». E parte un'inchiesta
di Alessandra MACCHITELLA
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Martedì 21 Febbraio 2017, 06:31 - Ultimo aggiornamento: 15:29
Costretti a turni di lavoro massacranti e privati di ogni libertà. Schiavi. È la storia di cinque braccianti romeni, reclusi nelle campagne di Ginosa. Il loro caso è stato portato alla ribalta dalla Flai Cgil, intervenute sull’odioso problema del caporalato ancora presente nel territorio per chiedere un tavolo permanente in Prefettura e in regione Puglia per contrastare il fenomeno. I lavoratori hanno denunciato l’accaduto e adesso sono al lavoro inquirenti e magistratura.
Tre uomini e due donne cacciati e abbandonati dal loro caporale davanti al terminal bus di Porta Napoli a Taranto, “colpevoli” di aver chiesto i soldi per il loro lavoro. Erano arrivati qualche mese fa in cerca di una vita migliore ma hanno trovato la schiavitù travestita da lavoro. «Sono venuti alla Cgil cercando su Internet termini come “sfruttamento nei campi” e “caporalato” per cercare un aiuto per uscire da una situazione difficile – ha spiegato Assunta Urselli, segretario della Flai di Taranto – e così insieme alla Flai Cgil hanno denunciato l’accaduto ai carabinieri e all’ispettorato del lavoro. Ci hanno detto di lavorare fino a 16 ore al giorno, di riposare nelle vicinanze di un porcile in un casolare in aperta campagna con la “compagnia” di topi, con i servizi igienici esterni e attaccati al pozzo da cui prendevano l’acqua per cucinare. Non solo fetore per i braccianti che avevano un salario di 28 euro al giorno ma anche restrizioni: non potevano uscire per comprare medicine, alimenti o sigarette, se ne occupava direttamente il caporale che evitava di creare contatti con altra gente, trattenendo anche i loro documenti di identità».
 
Il 7 febbraio cinque di loro si sono ribellati e rivolti alla Cgil. Inzialmente è stato il sindaco Ippazio Stefàno ad aiutarli a trovare una sistemazione ai braccianti, ha raccontato il segretario generale della Cgil di Taranto Paolo Peluso: «Sono stati accolti in una struttura di assistenza che si occupa di povertà ed emarginazione. Adesso se ne sta occupando direttamente la Cgil che li segue in un luogo protetto. Dobbiamo costruire una rete di solidarietà e di azioni concrete intorno a queste denunce, le nostre strutture periferiche lavorano per protocolli d’intesa territoriali, come è già accaduto a Massafra e come sta accadendo anche a Ginosa». 
Il segretario generale della Flai Cgil Puglia Antonio Gagliardi ha letto una parte del foglio della denuncia di una delle braccianti: «Accompagnata in banca a cambiare un assegno a lei intestato di 1670 euro e costretta poi a restituirlo integralmente al caporale. La stessa donna a gennaio era svenuta in aperta campagna e per quattro ore è rimasta per terra senza ottenere soccorso». Fatti terribili che stridono con i dati riportati sull’economia pugliese del settore che, come ha riportato il segretario Gagliardi, in tema di esportazioni agro-alimentari cresce del 6% con un valore medio di 632milioni di euro. Ma a che prezzo? 
«La possibilità di estirpare il fenomeno esiste – ha specificato Antonio Gagliardi – ad esempio con la legge 199 del 2016 contro lo sfruttamento lavorativo del caporalato». Serve un tavolo tecnico secondo il segretario generale della Cgil Puglia Pino Gesmundo: «Abbiamo bisogno di un tavolo permanente che monitori l’applicazione della Legge 199 ma non solo, che crei vincoli e maggiore controllo attorno ad un fenomeno che oggi denunciamo a Taranto ma che riguarda tutta la Puglia devastando il mercato del lavoro. Vogliamo lanciare un messaggio forte alle associazioni imprenditoriali e datoriali del settore, basta con il sottacere il fenomeno criminoso che lede la dignità dei lavoratori e inquina un sistema di relazioni. Dobbiamo lavorare tutti insieme, istituzioni, enti di controllo, rappresentanze del mondo del lavoro e associazioni datoriali. Prendiamo atto che il caporalato esiste e che insieme possiamo debellarlo per il buon nome dell’agricoltura pugliese che fa economia sana. Si parla di negazione dei diritti umani, è qualcosa che dovrebbe interessare tutti». Proseguono le indagini e la lotta contro il caporalato, intanto, secondo le testimonianze dei braccianti, in quel capannone ci sarebbero ancora dei loro connazionali in stato di schiavitù.
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