Mitilicoltori, grido d’aiuto: serve l’incontro col sindaco

Mitilicoltori, grido d’aiuto: serve l’incontro col sindaco
di Francesca CIURA
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Lunedì 21 Agosto 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 13:44
La mitilicoltura tarantina lancia l’ennesimo grido d’allarme alla città, alle istituzioni ed alla politica. 
Tempo per tergiversare, per decidere, per stabilire modi e tempi necessari per salvare ed implementare un indotto che da solo, ed per giunta in condizioni chiaramente non propriamente ottimali, è in grado di determinare enormi fatturati, non ce n’è più. Servono azioni immediate di tutela e di rilancio, anche di immagine, di un prodotto, come quello dei mitili a forte caratterizzazione territoriale, che dal 2012, da quando cioè il primo seno del Mar Piccolo fu interdetto alla coltivazione per i noti problemi legati all’inquinamento dell’Ilva, subisce pesanti perdite. 
Ma come se tutto ciò non bastasse accade pure che nell’estate del 2015, quando la situazione, seppure con soluzioni “tampone”, sembrava si fosse in qualche modo stabilizzata, accade che a causa delle elevate temperature estive, le acque del secondo seno del Mar Piccolo (dove vennero trasferiti i filari) finirono per surriscaldarsi al punto tale da “bollire” sia del seme che buona parte delle cozze adulte. 
Il danno fu enorme: il 90% del seme andò distrutto. E seppure all’epoca la macchina istituzionale mosse alcuni significativi passi nel tentativo di far rientrare l’allarme, a tutt’oggi la mitilicoltura tarantina non può dirsi “salva”. Perché, oltre a non essere ancora riuscita a disporre dei fondi che la Regione decise di stanziare due anni fa, né ad avere un indirizzo dal Comune in relazione all’adozione del Piano delle Coste, che avrebbe sancito definitivamente il trasferimento delle produzioni in Mar Grande, si ritrova ad oggi a dover fare i conti con un’altra batosta: una nuova morìa del seme. 
Il surriscaldamento delle acque dovuto all’eccessiva calura delle settimane scorse, unito al sovraffollamento nel secondo seno del mar Piccolo dei filari, ha mandato in tilt nuovamente l’indotto.
 
Un settore martoriato da troppi problemi, non ultimo quello del racket delle estorsioni. Numerosi, confessano i mitilicoltori, sarebbero gli atti vandalici perpetrati nei confronti di chi si rifiutasse di soddisfare le richieste dei ricattatori: dalle barche e reti danneggiate, ai furti di beni materiali e addirittura del prodotto stesso, sottratto sovente nelle ore notturne. Una situazione insostenibile aggravata dalla mancanza di tutela delle categoria oltre che dai controlli delle forze dell’ordine. Altra piaga riguarda l’abusivismo, un fenomeno che negli ultimi anni registra una evidente recrudescenza, cagionando un ulteriore danno di immagine al comparto che altresì dovrebbe, secondo gli addetti ai lavori, godere di una tutela assoluta da parte delle istituzioni. 
Ciononostante i mitilicoltori, non si sono arresi e già nel 2015 pur agendo in perfetta solitudine nel tentativo di salvare il salvabile, sono riusciti ad assicurare una produzione discreta in termini quantitativi, ma ottima in qualità. 
Le cozze che oggi vengono consumate sono il frutto di quel salvataggio che, unito alla forza di una natura straordinaria, ad un Mar Piccolo pieno di sorprendenti e straordinarie risorse, hanno permesso che Taranto conservasse la propria identità. 
Ma questo non basta, così come non è più possibile affidarsi alla sola Provvidenza: per queste ragioni la categoria chiede alla nuova amministrazione comunale di compiere un passo significativo. Pare che la settimana prossima il sindaco Melucci abbia fissato un incontro con i rappresentanti della categoria. Fino a quando infatti il Comune non predisporrà piani di intervento adeguati per assicurare la migliore funzionalità del comparto le acque resteranno molto mosse.
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