La mia danza tra i rifiuti per risvegliare le coscienze

La mia danza tra i rifiuti per risvegliare le coscienze
di Azzurra CONVERTINO
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Domenica 15 Aprile 2018, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 18:38
«Sono sceso scalzo in mezzo ai rifiuti e ho iniziato la mia danza, ho sentito i piedi soffrire come soffre la nostra sabbia, le mani tagliarsi, il cuore piangere come il mare infestato d’inverno da un uomo che non rispetta e non ricorda più cosa significa esserlo. Si dice che si apprezzano sempre le cose quando non le si ha più, io non voglio aspettare di perdere ancora e tu?».
È questo il grido, la provocazione e lo sfogo di un artista che vede il suo mare ferito. Valerio Moro ha voluto lanciare così un messaggio di sensibilizzazione attraverso la sua danza, immortalato in uno scatto che lo raffigura mentre balla su una spiaggia di rifiuti.
Trent’anni, da venti lontano dal suo paese d’origine, Fragagnano, ha girato il mondo rincorrendo il suo sogno: ballare, coreografare, inseguire il sacro fuoco di Tersicore. Ma alla fine torna sempre al Sud per «ricaricare le pile - come ama dire, per sentire la mia gente, la mia famiglia, il sole caldo, che io sono convinto sia così solo qui, la salsedine e la delicatezza del mare sulla mia pelle, il leggero vento che dà sollievo. È una sensazione unica».
Direttore artistico, giudice e coreografo internazionale, diplomato alla Scuola di Ballo del teatro alla Scala di Milano, ha lavorato – tra le altre - con le compagnie dell’Oniro, dell’Opera di Roma e del Teatro alla Scala vestendo i panni di ballerino, anche solista, in importanti produzioni come l’Aida diretta da Zeffirelli. Coreografo per Rai, Mediaset e per videoclip musicali, ha partecipato ad Amici 2013.
A passi veloci, rincorrendo la sua passione, ha raggiunto il Canada nella compagnia del Vancouver City Dance Theatre con la quale collabora tuttora, ma ha lavorato anche alle Canarie, in Russia e in Polonia. «È la vita del ballerino» dice con tranquillità, ripensando ai suoi viaggi in giro per l’Italia e per il mondo, lontano dalla sua terra.
 
Eppure non c’è mare che l’abbia rapito più di quello di casa sua, a marina di Lizzano, che l’ha cresciuto fino a quando a 10 anni, zaino in spalla, è partito, ancora bambino, per Milano.
«La maggior parte delle volte torno in macchina - racconta -; il viaggio è lungo, la voglia di arrivare prima possibile tanta, ma già quando vedo il cartello che indica Puglia mi sento a casa finalmente e non nascondo che in più di qualche occasione una lacrima bagna il mio viso, ma solo una, ho sempre voluto essere e ho dovuto essere il ragazzo forte che non dimostra».
È tornato ad abbracciare la sua terra da poco, ma ha trovato un’amara sorpresa. «L’inverno è un dramma perché vivo ogni volta lo scempio. Ho trovato di tutto sulla spiaggia, oggetti dai più comuni ai più bizzarri: carte, sigarette, bottiglie di birra, lavatrici, assorbenti, buste, siringhe, mobili sino alle gomme di auto. Questo è lo stesso mare dove l’estate giocano bambini piccoli e grandi, dove gioiamo della bellezza e godiamo di essa, il mare, le nostre spiagge, ricordi di un bambino che è in ognuno di noi con secchiello e paletta pronti a costruire castelli e formare dighe. Perché rovinare tutto questo? Siamo davvero così mostruosamente ingenui?».
Ora Valerio Moro insegna a Roma, ma ogni occasione è un’opportunità per tornare a casa: oltre che come guest in numerosi stage, parteciperà in qualità di giurato in importanti contest il 20 maggio al Palafiom a Taranto e a luglio a Fragagnano.
«Qui abbiamo un paesaggio pazzesco, ma non lo rispettiamo. Le torrette di vedetta sono pezzetti di storia che vengono maltrattati, dentro ci buttano la spazzatura. Basterebbe raccogliere tutti i rifiuti quando andiamo via, come si fa in ogni spiaggia del mondo».
Nello scatto, senza filtri, senza ritocchi, s’intravede l’essenza della contraddizione. A piedi scalzi tra i rifiuti, in equilibrio su uno pneumatico abbandonato sulla sabbia, nella sua terra, terra di nessuno, di nessuno che appartiene a tutti, il ballerino si tiene in equilibrio tra gli scarti, in equilibrio precario tra ciò che questa terra potrebbe essere e quello che non è, tra quello che merita e quello che le riserviamo.
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