Estorsione a seguito di usura: c’è la prescrizione, annullata la sentenza

Estorsione a seguito di usura: c’è la prescrizione, annullata la sentenza
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Lunedì 20 Marzo 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 17:22
La seconda sezione penale della Cassazione ha annullato senza rinvio una sentenza di condanna a cinque anni e due mesi di reclusione inflitta dalla corte di appello di Taranto a carico di Gianfranco Di Carlo, tarantino di 41 anni.
L’uomo era stato condannato dal tribunale a sei anni e 8 mesi, poi ridotti in appello, perchè accusato da un imprenditore di Taranto, costituitosi parte civile, di avergli estorto soldi ed un’autovettura quale pagamento di un prestito di natura usuraria.
Il procuratore generale aveva concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Tra le censure sollevate dal difensore di Di Carlo, assistito dall’avvocato Fausto Soggia, non è improbabile che la Corte abbia ritenuto fondate alcune eccezioni di natura procedurale. Peraltro, entrata nel merito della sentenza, la Corte potrebbe aver ritenuto inutile rinviare il processo ad altra Corte di appello essendo oramai decorsi i termini di prescrizione.
 
Se ne saprà di più con il deposito delle motivazioni.
A suo tempo con quattro condanne e un’assoluzione si era conclusa la vicenda giudiziaria legata alle vessazioni finanziarie che sarebbero state subite dal titolare della società «Man Projet» in un periodo compreso fra il 2002 e il 2003. 
A suo tempo, l’esito di una consulenza prodotta dal pm inquirente dottoressa Ida Perrone aveva supportato la tesi, prospettata al cospetto del collegio del tribunale, della sussistenza di condotte che avessero integrato il reato di usura.
E proprio per il reato di usura ed estorsione, a vario titolo contestati a carico di cinque imputati, l’accusa pubblica aveva richiesto condanne per trent’anni complessivi.
Al centro della vicenda le difficoltà economiche di una società di servizi, la «Man Projet» appunto, che si era costituita parte civile attraverso l’avvocato Giovanni Vinci. Secondo la tesi accusatoria, una volta che la società era stata costretta a ricorrere ad un finanziamento, il suo titolare era finito nel vortice dell’usura, poichè costretto a firmare assegni a ripetizione per poter «onorare» la somma di interessi che si accumulava, man mano che si ritrovava nella impossibilità di estinguere il debito.
Questa, almeno, era stata la tesi sostenuta dalla dottoressa Perrone, nel processo celebrato davanti alla prima sezione penale. Alla luce delle conclusioni investigative, confortate dal tenore di una consulenza che a suo tempo era stata affidata ad un commercialista, il pm aveva ottenuto la condanna di Gianfranco Di Carlo, poi ridotta appunto in appello, e di altri quattro imputati: alla fine, uno solo era stato assolto.
Il tribunale aveva “rivisitato” gli episodi incriminati, anche alla luce delle indicazioni del collegio di difesa, e aveva attutito il peso delle condanne.
A distanza di cinque anni da quella sentenza, giunta in ogni caso a distanza di 9 anni dalla vicenda, la Cassazione ha messo la parola “fine”.
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