A Roma c'è Xi Jinping: via della Seta al centro. E spunta il porto di Taranto

Il presidente cinese con la moglie a Roma
Il presidente cinese con la moglie a Roma
di Francesco G. GIOFFREDI
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Venerdì 22 Marzo 2019, 08:15 - Ultimo aggiornamento: 19:52

La grande chance, i paletti strategici e un memorandum ancora ai colpi di cesello. Soprattutto nel capitolo infrastrutture e porti: è qui che peraltro, tra una correzione e l'altra, potrebbe schiudersi un inatteso e prezioso spiraglio per il porto di Taranto. Il presidente cinese Xi Jinping è atterrato a Roma per la blindata tre giorni italiana, che sfocerà nella sottoscrizione dell'accordo tra governo italiano e Pechino lungo la nuova Via della Seta. Tecnicamente, al di là della fascinosa patina: One Belt One Road, la rete logistica di infrastrutture strategiche promossa dalla Cina per collegare via mare e via terra Aisa ed Europa. Tradotto in cifre: 65 Paesi coinvolti, espressione del 40% del Pil mondiale (e del 65% della popolazione planetaria), 140 miliardi di capitale d'ingresso già sul piatto, un potenziale bazooka di investimenti pari ad almeno 900 miliardi, il primo ariete è Cosco, cioè il gruppo di import-export dello Stato cinese. Dovrebbero essere i porti di Trieste e Genova le porte d'accesso e attracco della Via della Seta. Ma dal governo filtra: il modello di accordo potrebbe essere replicato per altri porti italiani, magari quelli delle Zone economiche speciali come Taranto. «Non sono previsti altri accordi, ma non è escluso che possano essere fatti in futuro», dice il sottosegretario alle Infrastrutture Edoardo Rixi.
Insomma: scenari, opportunità, esplorando nuove vie commerciali e modernizzando le infrastrutture portuali. «Grazie a un nuovo ciclo di rapporti con la Cina, l'Italia punta a recuperare almeno 7 miliardi di euro di esportazioni», aggiunge il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci. Leghista Rixi, ma vicino ai salviniani anche Geraci: tutte le asperità sulla Via della Seta d'incanto appianate nel governo gialloverde? Non proprio: le perplessità della Lega resistono ancora un po' e cozzano contro gli entusiasmi pentastellati. Anche per questo Sergio Mattarella ieri ha voluto lanciare nuovi e ulteriori messaggi, individuando tuttavia tra i primi destinatari i principali attori internazionali (Cina, Ue, Usa): l'Italia garantirà «la sicurezza e la trasparenza» dei rapporti con la Cina, creando «un contesto libero ed equilibrato», consapevole però del fatto che «gli investimenti nelle infrastrutture sono necessari». Sicurezza delle reti (rovente l'affaire 5G) e i timori di una neo-colonizzazione sono le due mine alle fondamenta del memorandum in cottura: dubbi, a vario titolo e con diverse declinazioni, posti dalla Lega, da Bruxelles e da Washington. Ma il lavoro di Mattarella sulla partnership con il Dragone, del resto, viene da lontano ed è iniziato da tempo, con la visita in Cina due anni fa, quando per la prima volta il capo dello Stato aprì alla Via della Seta, ed è proseguito a Roma, non solo nei rapporti diplomatici con Pechin, ma anche per trovare una sintesi tra gli alleati del governo gialloverde. E non è un caso che gli unici momenti in cui il presidente cinese rilascerà dichiarazioni saranno al Quirinale, dove Xi Jinping andrà tre volte nel corso della sua visita a Roma per poi partire, altro omaggio a Mattarella, per Palermo. I timori di marca italiana si focalizzano proprio sugli interventi nei porti di Genova e Trieste: rischiano lo stesso destino del Pireo in Grecia, di fatto di proprietà di Pechino. A gettare acqua sulle fiammeggianti perplessità degli Usa è ancora Geraci: «Il memorandum of understanding che l'Italia e la Cina firmeranno non ha nulla a che fare con il 5G e non nomina specifiche aziende», come Huawei (titolare della tecnologia 5G). E Rixi ribadisce: «L'accordo serve solo a creare una cornice istituzionale e non prevede impegni finanziari. Sarà poi la trattativa tra le parti a definire l'entità dell'investimento». Conferma Mario Turco, senatore tarantino del M5s: c'è «l'ipotesi che il modello di accordo che coinvolge Genova e Trieste potrà essere replicato per altri porti italiani, soprattutto quelli riconosciuti come Zone economiche speciali, tra cui Taranto, cui la Cina guarda con molto interesse». Per Turco, «il territorio ionico e la regione Basilicata devono ora fare quadrato per capitalizzare tale apertura manifestata dal Governo. Il porto di Taranto, grazie al rilancio infrastrutturale di cui è stato fatto oggetto, rappresenta un tassello fondamentale nell'ottica della riconversione economica che auspichiamo».
Lo stesso Global Times, una delle voci ufficiali del governo di Pechino, ha spiegato in un articolo che secondo Conte «l'accordo non vincolante da firmare» potrebbe favorire «l'investimento cinese nei porti di Genova e Taranto».

Nessuna menzione di Trieste, il che induce a trattare con le pinze la ricostruzione della testata cinese. Ma Taranto s'è guadagnata comunque un pezzo d'agenda nel bilaterale Italia-Cina: non è poco.

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