Uguali, anzi diverse. Lo "strano caso" delle gemelle Fragassi

Alessia e Valentina Fragassi
Alessia e Valentina Fragassi
di Renato MORO
7 Minuti di Lettura
Domenica 5 Novembre 2017, 18:07
Bene, bene, bene... chi interroghiamo oggi? Vediamo se in questi giorni avete aperto il libro. Il “Deledda” negli anni Novanta era una delle scuole più frequentate a Lecce. Piazza Palio, tanto verde, i ragazzi del “Banzi” di fronte, le sigarette fumate nel grande fossato ora occupato dai brutti tendoni della Fiera, il bar per la colazione e la cartolibreria per le penne e i quaderni. E i prof, quelli non mancano mai, che interrogavano. Alessia e Valentina sedevano tra i banchi, ma rispetto ai compagni di classe avevano un’arma in più. Erano gemelle. Monozigote, praticamente identiche. Perfettamente sovrapponibili.
Le amiche lo ricordano come fosse ieri: se una non aveva studiato, l’altra s’alzava e rispondeva al suo posto e il sette sul registro era assicurato. Non succede spesso, ma può accadere che con due gemelli in classe chi siede sulla cattedra venga ingannato. A dir la verità accade anche di peggio. Negli anni Settanta al liceo Palmieri c’era un prof di latino e greco bravissimo ma sfortunato. “Don Ciccio” era alla fine della sua onorata carriera e perennemente alla ricerca della Lambretta 150 che qualcuno, un bel po’ di anni prima, gli aveva rubato nel cortile della scuola. Miope, ormai ci vedeva poco, pochissimo. E quando chiamava per l’interrogazione a volte il “nominato” restava seduto e s’alzava chi invece aveva studiato. Ma questa è un’altra storia.
Alessia e Valentina sono “le Fragassi”. Quarantadue anni, leccesi, orgogliosamente della 167, innamorate dei gatti e delle polpette che papà Bruno pare prepari da dio. Una (Alessia) è l’ombra della viceministra Teresa Bellanova, nel senso che lavora con lei e la segue giorno per giorno, trasferta per trasferta e tavolo per tavolo. Più di una segretaria, racconta chi la conosce bene. E c’è da crederci, vista la sua iperattività sui social e i colpi di fioretto con cui quotidianamente mette in riga i cuginastri di Mdp. Per conto della “principale”, ma anche per conto suo.
L’altra (Valentina), dal luglio dello scorso anno è la segretaria provinciale della Cgil salentina. Molto vicina e molto stimata dalla capa dei capi, la Camusso, che per premiarla ha scelto Lecce come sede di importanti eventi organizzati dal sindacato. «Il mio pensiero va al primo operaio metalmeccanico che ho incontrato nella mia vita - disse alla platea cigiellina appena eletta -. A mio padre». Il fatto è, però, che proprio papà Bruno pare non la volesse sindacalista. «È un lavoro da uomini, ti fa soffrire troppo. Non ti conviene», le diceva nella casa alla 167 da dove la mamma se ne uscì per sempre quando le gemelle avevano appena vent’anni. Da quel maledetto giorno, da quel funerale, l’operaio Bruno divenne padre e madre dei suoi sei figli.
Che ci fanno due gemelle nel paginone dei duelli? Ci fanno. Perché se condividono tutto, dalla passione per le polpette di casa all’amore per i gatti, sul piano della politica si trovano spesso lontane. E quel “lontane”, ovviamente, è da intendere come un eufemismo. Alessia è renziana, come renziana è la viceministra che segue come un’ombra e come renziano è il neosegretario del Pd salentino Ippazio Morciano, per il quale lei ha tifato nella lunga maratona congressuale. Come renziano, infine, è il treno di Destinazione Italia a bordo del quale il segretario nazionale del Pd ha raggiunto Lecce il 20 ottobre scorso. Lei, Alessia, c’era. E sotto la foto che la ritrae mentre scende, postata su Facebook, ha scritto: “Pure io sono scesa dal treno, eh. Che ve credevate...”. L’ironia, va detto, è il suo piatto forte.
Su quel treno non salirebbe certo Valentina, che renziana non è. Sindacalista tosta, durante la campagna per il referendum sulla riforma elettorale, perduto dai renziani, ha duellato con la sorella quotidianamente. “Il caso delle sorelle Fragassi”, titolò un giornale alla fine di novembre, quando ormai mancavano pochi giorni all’apertura delle urne. Gli amici raccontano di lunghe discussioni, quasi-litigate durante le pause della campagna referendaria. Unico campo neutro, all’epoca, la cucina di papà.
E meno male che Valentina è la numero 1 della Cgil leccese. Immaginate cosa sarebbe potuto accadere se si fosse trovata a guidare il sindacato di Taranto dove Teresa Bellanova e la sua ombra Alessia sono ormai di casa. Lì c’è la trattativa per la cessione di Ilva alla cordata di ArcelorMittal e Marcegaglia, ci sono quattromila posti di lavoro a rischio, un’intera città che non ne può più dell’inquinamento, bambini che non possono uscire da casa nei giorni in cui il vento disperde le polveri del siderurgico, politici che litigano e ambientalisti sul piede di guerra. Una lite continua tra governo e sindacati. Una vera fortuna, per casa Fragassi, che Valentina stia a Lecce.
Lei è la prima donna alla guida della Cgil salentina, fino all’estate del 2016 sempre nelle mani dei maschi. Il sindacato rosso da queste parti nacque quando la guerra ancora dilaniava il Paese, quando sui cieli di Lecce ogni santo giorno si sentiva il rumore dei bombardieri alleati e la gente si rintanava nel rifugio che ancora oggi è visibile nella villa comunale. Due dicembre 1944, primo segretario il compagno Pietro Refolo. Giorni drammatici in un’Italia spaccata in due. Quella sera stessa, mille chilometri a Nord, i soldati delle SS entrarono nel carcere di Genova e portarono via, per rappresaglia, ventuno giovanissimi partigiani. Sulla spiaggia di Portofino furono fucilati e poi, i corpi legati a grosse pietre, gettati in mare e lasciati lì. I pescatori del posto per diversi giorni videro i resti galleggiare, ma nessuno poté recuperarli. Sarebbe stato fucilato all’istante.
Vent’anni dopo, in pieno boom economico, la spiaggia di Portofino era già una delle mete preferite dai turisti, tedeschi compresi. Il Salento del compagno Refolo ha invece dovuto aspettare qualche decennio in più, ma alla fine ce l’ha fatta: i vacanzieri sono arrivati anche qui e nel sindacato rosso, ad attenderli, hanno trovato Valentina, giovanissima segretaria della Filcams, la categoria della Cgil nata per occuparsi di turismo, commercio e servizi. E lei, dei turisti, s’è ricordata quando l’assemblea l’ha scelta come segretaria generale. «Sono un’importante risorsa - disse nel suo primo discorso - ma di che parliamo se non ci sono le infrastrutture necessarie per portarli fin qui e accoglierli?». La renziana Valentina, sul punto, si trovò pienamente d’accordo.
Se chiedi agli amici come fare per distinguere una dall’altra, le risposte sono due: dal look e dai post su Facebook. La prima risposta: Alessia è solitamente quella più trendy e più facile al selfie. Pare che ci sia il suo zampino anche dietro il cambiamento di immagine che la stessa Bellanova ha mostrato negli ultimi anni, da quando ha abbandonato i colori pastello tanto chiacchierati. Più sobrio e apparentemente meno ricercato - da sindacalista che non può perdere molto tempo a fare shopping perché le vertenze da curare sono tante e ai tavoli delle trattative quello che importa è la sostanza delle cose - il look di Valentina. La seconda risposta: il ruolo di numero 1 del sindacato impone delle regole precise, anche nel gestire la presenza sui social; essere l’ombra di una viceministra, invece, concede più libertà d’azione e in più obbliga a essere presenti sul web. Ne sanno qualcosa il consigliere regionale di Mdp Ernesto Abaterusso e il coordinatore provinciale Salvatore Piconese: con loro, fuoriusciti dal Pd in aperto contrasto con i renziani, su Facebook è una sitcom degna di Netflix.
La prossima campagna elettorale, quella per le politiche, sarà un nuovo banco di prova, forse più impegnativo della campagna referendaria. «Alessia non la tieni a bada - mettono in guardia gli amici -. Valentina, grazie al suo ruolo, dovrà controllarsi. Ma lei, l’ombra della Bellanova, sarà in prima fila». Ancora una volta su strade diverse, alla faccia del monozigotismo, ma nello stesso tempo mai lontane. Anni fa, racconta una loro amica, Alessia dovette sottoporsi a un piccolo intervento chirurgico e quando tutto era ormai pronto bloccò il medico e lo costrinse a chiamare Valentina. Aveva paura di non svegliarsi, voleva parlarle prima dell’anestesia. Qualche giorno dopo entrambe festeggiarono a tavola con papà Bruno.
Fortunate. Ci sono gemelli che non potrebbero dire altrettanto. Pensate alle povere Kessler, costrette per anni a cantare “Da-da-un-pa” in calzamaglia nera. O a Ivano e Silvano Michetti, costretti per anni a cantare “anima mia torna a casa tua...» con una voce da cantante castrato del XVII secolo. Il grande Totò aveva capito quanto può essere difficile e faticoso il ruolo: “Lei è la sorella? E da quanto tempo?».
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