Ricomincio da tre. Palese: dopo 28 anni medico a tempo pieno, ma per poco

Ricomincio da tre. Palese: dopo 28 anni medico a tempo pieno, ma per poco
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 15 Aprile 2018, 20:03
Dicono sia tornato lì dove tutto ebbe inizio. Solo perché ha rimesso il camice, ripreso servizio in Asl (che allora neppure c’era), riaperto lo studio, ricominciato con le visite e ripartito con diagnosi e prontuari. E cioè (cioè?) che sia tornato a fare il medico, a Gagliano, al termine di ventotto-anni-ventotto di servizio permanente effettivo nelle istituzioni, dal Salento al Parlamento e ritorno con lunga sosta in Regione, lui che politico di professione lo è diventato molto dopo la laurea in Medicina, a Bologna, e doppia specializzazione in Chirurgia generale e Chirurgia d’urgenza, entrambe a Bari. E dopo il primo incarico proprio a Gagliano, aiuto nel reparto di Luigi De Blasi e cioè (cioè?) nella stessa équipe che nel settembre 1991 operò don Tonino Bello, il vescovo per il quale venerdì arriverà ad Alessano papa Francesco a 25 anni esatti dalla morte. Dicono questo di Rocco Palese, ma è una mezza verità.

Intanto perché tutto è partito un po’ più su. Acquarica del Capo, pochi chilometri da Leuca e Gagliano, l’ultimo giorno dell’anno 1953. Due stanze in affitto, ognuna di quattro metri quadri o poco più. Papà al lavoro nei campi e nelle cave, mamma casalinga e perciò sempre impegnata. Condizioni umili. «Per anni non ho visto mio padre. Usciva da casa prima dell’alba e rientrava che era buio e io già a nanna». E poi, la mezza verità, perché non è detto che il ritorno sia approdo e non piuttosto transito. A luglio andrà in pensione, Palese. Il tempo di guardarsi intorno e via per nuove avventure. Si accettano scommesse. Intanto, dopo 28 anni di impegno ininterrotto, è fuori dalle istituzioni elettive. Fatale il 4 marzo 2018 e la contestuale débâcle di Pd e Forza Italia, il combinato disposto della disfatta. Il 35 per cento di consensi non gli è bastato per essere rieletto alla Camera nel collegio uninominale, in zona De Finibus Terrae: «Lo smottamento di voti dal centrosinistra ai Cinque Stelle ha trasformato la competizione da tripolare a bipolare». Niente paracadute nel proporzionale («non l’ho voluto»). Così si torna a casa. «Il 4 marzo ci consegna tre messaggi. Primo: il Sud esiste ed è determinante. Secondo: i cittadini vogliono il cambiamento. Terzo: l’elettorato di sinistra non si sente legato né a Renzi né a D’Alema. Detto questo, i nostri territori sono rimasti privi di una vera rappresentanza. E in giro non vedo Mandrake».

Parla a manetta, Palese. Ci fosse l’autovelox dell’eloquio, lui stazionerebbe davanti allo sportello “Contenzioso”. E sarà pur vero, come dice la responsabile dell’Ufficio legislativo di Forza Italia, Maria Cantarini, che il Parlamento perde un deputato dal «valore inestimabile», ma i fornitori di taccuini e penne continuano ad avere un alleato insostituibile. Comunque: 99,45 per cento di presenze a Montecitorio, terzo su 630 per produttività. E primo per consensi bipartisan (valutazione empirica, fonti plurime), vuoi la competenza, vuoi la disponibilità. Ai bilanci ci arriviamo. Ora ripartiamo dall’inizio. Acquarica.

«Fine anni ‘80, Comune in condizioni comatose: 84 dipendenti per casa di riposo e asilo nido e dieci miliardi di lire in debiti fuori bilancio. Con un monocolore Dc, candidato sindaco Antonio Valiani, io vice al primo mandato, il 30 maggio 1990 vinciamo le elezioni. Fummo il primo Comune a dichiarare dissesto. A seguire altri 1.200, da Genzano di Roma al caso più eclatante, Napoli. All’epoca ero aiuto di Chirurgia generale a Gagliano. Avendo fatto il liceo scientifico a Tricase, nessun problema tra conti e rendiconti». Gli tornerà utile per il resto della carriera. Nel 1995 l’approdo in Regione: vicepresidente con Salvatore Distaso e assessore al Bilancio, appunto. Cinque anni più tardi, quando sarà Raffaele Fitto il presidente, un diluvio di consensi: il più suffragato in Puglia e in Italia, confermato al Bilancio. Dal 2005 all’opposizione: contro la candidatura di Nichi Vendola sbattono prima lo stesso Fitto e poi proprio Palese, candidato presidente nel 2010 per una coalizione guidata dal Popolo della libertà. Una sconfitta su cui pesa la spaccatura a destra. Altra storia. Nel 2013, infine, l’approdo in Parlamento. Ventotto anni, tre Repubbliche attraversate. Ci fosse qui accanto il Cavaliere, con lo spirito degli ultimi giorni, non avrebbe remore nel sottolineare i passaggi: e uno, e due, e tre. Tiriamo un po’ di somme?

Il periodo è denso di rimandi. Don Tonino, certo. Ma anche altri: il 18 aprile i 70 anni dalle prime elezioni repubblicane; il 30 aprile i 25 dal lancio delle monetine su Bettino Craxi in piena Tangentopoli; il 9 maggio i 40 dall’uccisione di Aldo Moro. «Il mio riferimento resta lui, lo statista di Maglie. Lo seguivo dal Movimento giovanile della Dc. Sarebbe utile leggere un suo libro postumo, uno per tutti: “L’intelligenza e gli avvenimenti”. In un intervento pubblicato il 10 aprile 1977, domenica di Pasqua, il senso dell’impegno dei cattolici in politica: “Uniti nelle diversità”. Le fasi del sequestro e dell’uccisione li ho vissuti da universitario. La mia padrona di casa a Bologna era parente del cardinale Giacomo Lercaro. Divideva il mondo in cattolici e comunisti. Con la morte di Moro sparisce il senso della Polis. Da allora ad oggi un abisso: al suo pensiero complesso è subentrata l’immediatezza del tweet con cui il presidente Usa annuncia il lancio di missili. Gli algoritmi sono la nuova dinamite. Ha ragione papa Francesco: la terza guerra mondiale, quanto a sistemi informatici, è già in atto».

La fine della prima Repubblica spalanca le porte all’approdo in politica di Silvio Berlusconi. «Forza Italia era il cambiamento, ma il suo leader non ha potuto realizzare il progetto di rivoluzione liberale. Quel programma, tuttavia, è ancora valido. E il suo autore rimane il più irregolare tra tutti». Lui, Berlusconi, con cui Fitto faticò non poco quando si trattò di candidare Palese alla guida della Regione, uomo affidabile e preparato come pochi ma - visto da Arcore - senza physique du rôle e doti fondamentali, su tutte bucare lo schermo. Fitto: un legame consolidato e indissolubile eppure finito nel volgere di pochi mesi, gli ultimi, prima l’appartenenza partitica e poi il connubio di amicizia e fedeltà. «Non voglio parlarne. Quando le questioni politiche impattano con quelle personali non c’è più nulla da dire». Capitolo chiuso. Si direbbe irrimediabilmente, per ora.

I ricordi incalzano, l’eloquio accelera. Il racconto si fa fitto (con la minuscola). Alla rinfusa, perché è già tempo di vigilia ed è bene parlare del Papa e di don Tonino. «Vendola meglio di Emiliano, che è un solista senza coro. Stare all’opposizione, con il primo, mi ha insegnato molto, a cominciare dal rispetto per i sentimenti delle persone. Tuttavia il Vendolismo ha fatto sognare una Puglia migliore di cui, dopo 13 anni, tra sanità e rifiuti, non c’è traccia. Ricordo con piacere la Medaglia d’oro per l’accoglienza agli albanesi, nel 1999; il primo rendiconto con avanzo di 25 milioni di lire dopo anni di sofferenze; l’istituzione del 118. E abbiamo evitato di essere travolti da Rimborsopoli, noi unica Regione in Italia. Mi resta il rammarico di non aver inciso sul sistema della formazione professionale, autentico stipendificio, così come mi sarebbe piaciuta la privatizzazione di Aqp, aeroporti e Terme di Santa Cesarea. Quanto all’attività parlamentare, mi vanto su tutto di aver permesso a Unisalento di non perdere 49 milioni per l’edilizia». Dopo 28 anni, e ormai fuori dai giochi, un mega-auto-spottone ci può stare. «Non mi interessano altre candidature, di nessun tipo», giura. Segnato sul taccuino.

Si torna ad Acquarica. Si torna dalla famiglia, dalla moglie Maddalena Distante, dalle figlie Maria Giulia e Benedetta. «Presenti e vicine sempre, in tutto e per tutto». E si torna al lavoro, ancora a Gagliano. Per poco. «Questi sono giorni intensi. La visita del Papa, i 25 anni di don Tonino... Arrivai a Bologna nel ‘72 per l’Università. Il viceparroco di Acquarica, don Gigi Ciardo, ora parroco ad Alessano, mi indicò dei nomi di persone che conosceva. Lì al Sant’Orsola lavorava come medico uno dei fratelli di don Tonino, Marcello Bello. E don Tonino stesso, appena ordinato sacerdote, era già stato a Bologna dall’arcivescovo Lercaro. Fui accolto con simpatia. Don Tonino aveva lasciato un segno indelebile. Lo rincontrai negli anni della specializzazione a Bari. Alla guida di una 500 alquanto scassata, andava a trovare una comunità di recupero a Ruvo. E noi da lui. Parlava con i ragazzi, suonava la fisarmonica. Predicava e praticava il Vangelo, giorno per giorno, ora per ora. Infine a Gagliano, uno degli ultimi incontri. Lo operammo nel settembre del 1991. Purtroppo c’erano tutti i segni del tumore che di lì a poco lo avrebbe portato via, il 20 aprile 1993, dopo la marcia della pace sotto le bombe di Sarajevo. Uomo e vescovo straordinario. Per la gente è già santo».

Dicono che Rocco Palese sia tornato lì dove tutto è cominciato. Non certo dove tutto finisce, oltre alla suggestione dei luoghi, al fascino della roccia che rapida digrada in mare. Resterà in Asl fino a luglio, il tempo di impiantare a Gagliano - forse - un polo di Chirurgia oculistica con la supervisione, è il caso di dirlo, di Antonio Mocellin. Poi si vedrà (appunto): tre offerte lo tentano, fra enti pubblici, società private e associazioni di volontariato. Si tratta, in pratica, di mettere a frutto la sua abilità tecnica e amministrativa. Che è tanta. Cioè molta.


 
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