Diciamoci la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità: di cosa avete parlato l’intera mattinata di mercoledì, in ufficio, con i colleghi? Della prima serata di Sanremo conclusasi da poco, of course (con buona pace di Fiorello). E di cosa avete cianciato in particolare? Non negate: tolto l’attacco di “calcismo” di Blanco (sempre per rimanere a Fiorello), tolta la mise da Strega Bacheca di Anna Oxa (capace di essere affascinante pure in quelle condizioni, maledetta), l’altro grande tema di discussione è stato uno solo: Chiara Ferragni. Letteralmente vivisezionata in quel che ha fatto e in quel che ha detto, in come stava (grandi commenti ieri sui social per le sue inquadrature laterali, non esattamente corrispondenti a certe foto sexy in circolazione), ma soprattutto in quanto sintesi vivente dei pensieri sul mondo femminile espressi da Maria Grazia Chiuri e dalla maison Dior sugli abiti realizzati per la prima co-conduttrice di Sanremo 2023. Un’alluvione di like? Sicuro. Una slavina di visualizzazioni? Potete scommetterci. Un reale trasferimento di concetti “pesanti” e capaci di modificare certi stereotipi sulla libertà delle donne? Qui le certezze di alcuni esperti cominciano a vacillare. Vediamo perché.
L'architetto, la giornalista, la sociologa e lo stilista
È categorico Andrea Novembre, architetto d’interni e designer col pallino di Sanremo: «Oggi tre visite da altrettanti clienti e non abbiamo parlato che del Festival: non mi vergogno di dirlo, lo adoro da quando ero bambino: Chiara Ferragni è stata coraggiosissima.
Il rischio di banalizzare
Il rischio è però la banalizzazione di certi messaggi. Irene Strazzeri, sociologa e docente dell’Università del Salento, è definitiva al riguardo: «Aveva ragione Rossana Rossanda quando avvertiva che la libertà è una conquista su cui continuare sempre a vigilare. Intanto io direi che bisognerebbe smitizzare un po’ quest’idea che milioni di like o di visualizzazioni rappresentino realmente uno spostamento nella sensibilità generale, e non sostituirei a questa facile sovra-rappresentazione quantitativa il concetto di consapevolezza e senso critico. La mia idea, al contrario, è che si debba tornare ad affrontare certe problematiche sui libri e con la storia. Perché è vero che siamo immersi in questa sorta di virtualità reale, ma è pur sempre una virtualità - continua la sociologa -. Il mondo vero è un’altra cosa. Né ho apprezzato la lettera a se stessa della Ferragni, fatto che alimenta pericolosamente una sindrome da prestazione individuale: la voce singolare di un modello vincente senza parlare però delle donne, senza dire che le donne sono autorevoli se si fanno forza vicendevolmente. Insomma - per concludere - l’Occidente non riesce più ad esprimere un’idea credibile di libertà… tutto troppo atrofizzato da esigenze di spettacolarizzazione che non hanno nulla a che fare con la lotta delle donne, oggi, nelle zone del mondo in cui questo diritto è in crisi».
Un’idea interessante: lo stilista Michele Gaudiomonte plaude invece ai messaggi “inscritti” nei vestiti di Chiara Ferragni così come congegnati da Maria Grazia Chiuri. «Il mio unico timore è che certe idee non arrivino più di tanto a destinazione perché la moda è ancora vista come un fatto di lustrini e paillettes, e però la provocazione attiene a un tema importante: l’aspetto etico della stessa. Pensiamo all’abito “nudo” indossato dalla Ferragni: una vera opera d’arte a spiegare come il corpo non possa e non debba creare scandalo, perché la malizia è solo nell’occhio di chi guarda. Da qui il diritto di essere nudi, così come siamo stati creati, senza vergogna e senza paura di offendere nessuno: alla base solo un’idea di semplicità».
Anche Mariella Milani, una delle prime giornaliste di moda della Rai, non tentenna: «Che la moda sia sempre più strumento di comunicazione politica è un dato di fatto. E Maria Grazia Chiuri, alla guida del womenswear Dior, ha fatto di questo il suo cavallo di battaglia, fin dalle t-shirt “We should all be feminists”. E poiché ripeto spesso che odio gli indifferenti e che mi piace chi ha il coraggio di prendere posizione su istanze che ritengo fondamentali, non c’è dubbio che quegli abiti-manifesto abbiano fatto centro su milioni di persone e soprattutto su chi è estraneo a certe dinamiche».
Si potrebbe obiettare, continua Milani, «che il femminismo vada dimostrato, e che non bastino degli slogan per cambiare le cose, ma - si sa - non tutto è bianco o nero. Pensate quanto possa essere stata vincente e convincente l’idea della Ferragni di lanciare il nuovo profilo Instagram di @Amadeusonoio in diretta tv, dimostrando al mondo e a un conduttore che si è dichiarato piuttosto indifferente ai social come costruire un successo mediatico in pochi minuti. Siamo onesti, chi di noi non ha invidiato questa capacità? Quanti hanno una tale forza?».© RIPRODUZIONE RISERVATA