«Che tu non sai, non lo puoi sapere, ma la Notte della Taranta è nata qui da me. Me li ricordo tutti io, uno a uno. Ho visto nascere l’idea». Sul tavolo i piatti con le polpette e i peperoni verdi fritti, i bicchieri con la malvasia che scendeva che era una meraviglia, alla faccia del caldo di luglio, e in piedi lui. Vito Maniglio era il re del Mocambo e Sternatia era il suo regno. La signora Carmela in cucina e lui a servire, a girare tra i tavoli e soprattutto a parlare. Di tutto. Poesia, musica e politica perché lì da lui erano stati ed erano ancora di casa poeti, musicisti e politici. Comunisti soprattutto, o ex, ma ci andavano anche uomini e donne della destra.
Quella sera, passati abbondantemente i Duemila, non voleva smettere di raccontare e del resto nessuno avrebbe mai pensato di interromperlo perché ascoltarlo era come rinchiudersi nell’archivio di Teche Rai, accendere il monitor e gettare la chiave. Forse non andò proprio come raccontava, nel senso che la gestazione della Notte della Taranta fu certamente più complessa di un progetto partorito a tavola, ma è vero che i suoi boccali di malvasia nera videro muoversi l’embrione della più grande intuizione che il Salento possa vantare negli ultimi decenni.
“Vito Mocambo” non c’è più dal 2015 e con lui non ci sono più tanti altri personaggi che hanno contribuito a trasformare la sua osteria in qualcosa di irripetibile. Fece in tempo ad assistere al giro di boa che nel 2013 consegnò la presidenza della Fondazione Notte della Taranta a Massimo Manera, successore di Massimo Bray nel frattempo diventato ministro. Non fece in tempo, per un pugno di giornate, a leggere il commiato di Sergio Blasi. «Io mi fermo qui - scrisse l’ex sindaco di Melpignano -. Purtroppo non tutti i sogni diventano realtà». Fu il divorzio tra Blasi e la Fondazione e la certificazione pubblica della rivalità che ancora oggi anima i protagonisti del duello odierno.
Diciamo che si sopportano ben poco, che hanno visioni differenti sul ruolo della Fondazione, sull’organizzazione della stessa Notte, sulla scelta dei concertatori e degli artisti ospiti. Come dire: tu di la e io di qua. Mai un litigio in pubblico, però, né attacchi frontali.
Aveva appena 24 anni e viveva nella vicina Sternatia, il futuro avvocato Massimo Manera, quando a Melpignano il dirigente Blasi s’inventò il ponte musicale con Mosca. La rivincita personale sarebbe arrivata quindici anni dopo e avrebbe avuto come simbolo la stessa voglia che Gorbaciov ha sulla fronte e che assomiglia un po’ alla Kamcatka che i giocatori di Risiko devono conquistare tra mille difficoltà. Da presidente della Grecìa Salentina, nell’estate del 2003 Manera ospitò Mikhail e la sua famiglia per una breve vacanza: bagni nel mare agitato di Castro, sole sugli scogli appuntiti, fritture miste, rosato a fiumi, visite ufficiali a destra e a manca e feste private nelle ville della costa adriatica. Anche questa volta foto e articoli sui giornali, ma con Manera in prima fila.
Uno a uno. Un pareggio, per il presidente della Grecìa, che un paio di settimane dopo avrebbe fatto i conti con quella che secondo molti è stata la migliore edizione della Notte della Taranta targata Blasi. A dirigere il concertone la Fondazione aveva chiamato Stewart Copeland, l’ex batterista dei Police, un musicista che sul palco della grande piazza antistante il convento degli agostiniani regalò a 150mila persone emozioni a non finire. “Identità” e “contaminazione” elevate all’ennesima potenza, con un Copeland che da quei giorni non è più riuscito a spezzare definitivamente il legame con il Salento.
Sono stati quegli gli anni più proficui della gestione Blasi. Nel 2004, quando la Fondazione affidò il concertone ad Ambrogio Sparagna, Massimo Manera era di stanza a Palazzo dei Celestini per fare il portavoce del presidente della Provincia Giovanni Pellegrino. In quei giorni il centrosinistra mise all’incasso il lavoro svolto da Lorenzo Ria, alla guida di un Salento che già stata scalando le classifiche nazionali e internazionali in tema di turismo: dal boom di Lecce, amministrata però dall’ex missina Adriana Poli Bortone, al boom di Gallipoli, delle sagre di tutto ciò che è commestibile e fino al successo della pizzica e dei festival con in primo piano il concertone di Melpignano.
La Fondazione, presieduta da Massimo Bray, viaggiava a vele spiegate sull’onda dei successi della Taranta, ma qualcosa cominciò a incrinarsi. Nel 2013, quando la direzione venne affidata a Giovanni Sollima, la rivalità tra Manera e Blasi esplose definitivamente. Bray, chiamato da Enrico Letta a fare il ministro dei beni culturali, lasciò vuota la poltrona della presidenza della Fondazione che venne assegnata a Massimo Manera, in procinto di essere rieletto alla guida dell’amministrazione comunale di Sternatia. Questo a luglio. A settembre l’uscita di scena di Blasi. «Non c’è più condivisione - spiegò l’ex sindaco di Melpignano -. Non è la Taranta che sognavo». Tanti saluti a tutti.
Strade separate e forti polemiche sulla decisione di concedere la diretta alla Rai e sulle scelte della Fondazione. Per Blasi la ripresa televisiva avrebbe ucciso l’essenza del concertone, riducendolo ad una spettacolo privo di profondità; per Manera la tv è indispensabile per portare fuori provincia il messaggio e per dare alla Notte la giusta vetrina. L’anima “culturale” contro l’anima “pop”.
Anche la politica ha finito per separare le strade: Blasi è rimasto nel Pd, anche se in rotta con Michele Emiliano ed escluso dalla giunta regionale nella quale si aspettava di entrare forte del pieno di voti fatto alle Regionali; Manera ha scelto invece la strada degli anti-renziani che hanno lasciato il partito per costituire Articolo 1-Mdp.
La Taranta ora va avanti senza Blasi.