Monsignor Angiuli e don Tonino Bello: «Il suo amore per i sud del mondo»

Don Tonino Bello
Don Tonino Bello
di Antonio ERRICO
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Giovedì 23 Agosto 2018, 15:51 - Ultimo aggiornamento: 16:36
Se una volta nella vita accade di incontrare un uomo che, senza nemmeno immaginarlo, cammina per i sentieri misteriosi della santità, poi non si può fare a meno di lasciarsi attrarre da tutto quello che in qualche modo lo riguarda. Così non ho potuto fare a meno di entrare nelle pagine dell’ultimo libro di monsignor Vito Angiuli, dal titolo “Ha scritto ‘t’amo’ sulla roccia”, uscito in questi giorni per le Edizioni San Paolo, con una presentazione di monsignor Bruno Forte.

Già altre volte Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, si era confrontato con quella creatura di terra e di cielo che è don Tonino. Già in altre occasioni ne ha rilevato la profondità del pensiero, lo spessore culturale, ideologico e ideale, analizzandole l’opera. Lo ha fatto tanto con l’ammirazione per la sua figura quanto con il rigore dello studioso che adotta criteri e metodi dell’ermeneutica cercando una indispensabile distanza dalla dimensione esclusivamente emozionale, affettiva, sentimentale. Per realizzare un compito di questo genere, dice Vito Angiuli, risulta indispensabile tener presente tre criteri.

Il primo è il criterio di continuità e di sviluppo che coinvolge gli elementi relativi al contesto storico- geografico del Basso Salento, alla sua configurazione territoriale, al tessuto e allo sviluppo sociale, agli aspetti che ne connotano la fisionomia culturale.

Senza la conoscenza delle sue radici non è possibile comprendere in modo adeguato il magistero episcopale di don Tonino.

Perché la terra dell’origine uno se la porta addosso, come la pelle, quale che sia il mestiere che faccia, quali che siano le storie e i luoghi che attraversa. Si porta dietro e dentro le parole, e poi il senso che si attribuisce alle parole, e si porta i volti e le voci, si porta i dolori e gli sbalordimenti di quella terra, i silenzi con i quali si invoca il Padreterno perché venga la pioggia o perché porti conforto ai destini.

E’ evidente la rilevanza che Vito Angiuli attribuisce alla relazione di don Tonino con il Basso Salento e alla relazione tra questo Sud del Sud, questa finibusterrae, e l’esperienza vocazionale. Forse o probabilmente o certamente l’esperienza di vita nel sacerdozio, ha avuto come lievito l’idea di una terra “splendida nel biancore dei suoi paesi. Malinconica nel contorcimento degli ulivi secolari. Struggente nella purezza del mare, e nel fulgore del suo biblico sole”.

Così diceva. Forse o probabilmente o certamente in nessun luogo e in nessun tempo che ha vissuto, gli è sfuggito di pensare alla gente adusa al sacrificio e alla durezza della vita, a quella gente analfabeta ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello spirito, a quella gente che si affida alla Provvidenza dicendo “fazza Diu” oppure “se vole Diu”. Così diceva.

Il secondo criterio ermeneutico coinvolge l’aderenza alla storia. Don Tonino aveva una progettualità dinamica e in divenire, sostiene Vito Angiuli. Leggeva la storia e integrava in un ampio orizzonte di pensiero le singole esperienze e gli avvenimenti che si generavano nel corso dei cambiamenti sociali e culturali. L’aderenza alla storia si può anche chiamare passione: per l’altro. “Il dialogo e l’attenzione all’altro diventavano fucina di un pensiero che rifuggiva ogni astrattezza e, senza perdere profondità, si presentava sempre nella sua affascinante concretezza”, dice Vito Angiuli.

Al pathos, alla passione, è annodato il terzo criterio, che si riferisce alla circolarità e all’interdipendenza dei gesti e delle parole di don Tonino Bello, alla connotazione linguistica costantemente tesa alla scoperta e alla ricerca di significati autentici, sostanziali, essenziali.

Sono queste, dunque, le coordinate che consentono a Vito Angiuli di muoversi nei territori esistenziali e culturali di don Tonino, che si costituiscono come condizioni idonee ad evitare qualsiasi fraintendimento determinato dalla suggestione. Un lavoro scientifico, in definitiva, condotto su un personaggio e una materia indubbiamente complessi, per molti aspetti misteriosi: perché misteriose sono inevitabilmente certe esperienze che richiamano ed amalgamano terreno ed ultraterreno, la storia e la fede, la ragione e l’emozione.

Nelle ultime pagine del libro, Vito Angiuli rivela un altro, fondamentale, elemento metodologico che ha improntato il lavoro, e lo fa ricordando che spesso don Tonino diceva: “Se vuoi essere universale, parlami del tuo villaggio”. Lo stesso principio narrativo – dice Angiuli - deve essere applicato anche quando si parla di lui. “Se si intende rimanere fedeli allo spirito che ha animato la sua vita bisogna evitare di proporne il messaggio in una forma discorsiva e lasciare intatta la freschezza della narrazione biografica. Altrimenti si corre il rischio di presentarlo ai posteri in una cornice di serietà e di austerità che non gli si addice”.

Vito Angiuli lo ha fatto: gli è rimasto fedele. Indagando la sua esperienza con gli strumenti dello studioso e con lo stupore dell’uomo di fede.

 
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