Dylan e il nucleare, Zagor e i Senza Volto: in edicola due colonne portanti del mondo Bonelli

Da un lato l’indagatore dell’incubo alle prese con una città contaminata abitata da ciechi, dall’altro lo “spirito con la scure” che deve combattere stregoni e magia nera

Dylan e il nucleare, Zagor e i Senza Volto: in edicola due colonne portanti del mondo Bonelli
di Luca BANDIRALI e Stefano CRISTANTE
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Sabato 18 Marzo 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 17:26


Due uscite normali eppure straordinarie, due colonne portanti del fumetto Bonelli, due personaggi amati da lettori di lungo corso: ecco le nuovissime avventure di Zagor e Dylan Dog, che testimoniano una grande vivacità e capacità di rilancio di un progetto editoriale di tradizione.

Russo (testi), Esposito Bros (disegni), La maschera del diavolo, Zagor + n.8.

L’America selvaggia di Zagor è uno dei frutti migliori dell’immaginazione del compianto Sergio Bonelli. Pur non essendo mai giunto agli straordinari risultati editoriali di Tex, creatura del padre Gianluigi, Zagor è riuscito nell’impressionante impresa di uscire stabilmente in edicola ogni mese da più di 60 anni, con ottimi risultati. Intorno agli anni ’80-’90, in coincidenza con le uscite rivoluzionarie dei nuovi eroi della Factory di Bonelli (Martin Mystère, Dylan Dog, Nathan Never), tutti lontanissimi dalle atmosfere western del brand fumettistico, Zagor sembrò vacillare. Tuttavia trovò una sua strada, sostenuto da uno staff che è riuscito a rendere abituale una geografia narrativa della prima parte del XIX secolo in cui la bizzarria del protagonista, un carismatico giustiziere che presidia, venerato dai nativi americani, una gigantesca palude immaginaria collocata nel nord-est degli Stati Uniti in compagnia della spalla messicana Cico, si accoppia sempre più di frequente alla magia e al diabolico.

La formula sta funzionando, tanto è vero che da un paio d’anni si è aggiunta alla tradizionale collana mensile anche una serie trimestrale, “Zagor +”. Si tratta di storie molto articolate, che raggiungono foliazioni di oltre 190 pagine, alternate ad albi dello stesso formato contenenti un grappolo di storie brevi. L’avventura in edicola è immersa nelle atmosfere su cui Moreno Burattini, curatore di Zagor ed erede professionale di Sergio Bonelli, ha voluto insistere strategicamente: in questo caso c’è di mezzo una setta demoniaca – la Congrega dei Senza Volto – già comparsa sulla strada dello Spirito con la scure nel passato. Sono stregoni che maneggiano magie nere dagli effetti terribili: chi si sottopone al rito di passaggio richiesto diviene un Senza Volto coperto da una maschera che consente di rigenerare i tessuti, mentre il suo sangue produce una spaventosa reazione chimica a contatto con la pelle delle vittime, che si sentono bruciare interiormente e la cui faccia si trasforma in una poltiglia senza lineamenti. Persino Zagor deve temere questa minaccia, tanto è vero che sarà costretto a servirsi dell’ausilio di vaccini miracolosamente approntati da medici militari all’avanguardia.

La storia è disegnata plasticamente da Nando e Denisio Esposito, pugliesi, veterani della Bonelli, particolarmente efficaci nell’articolare la dinamica dei movimenti acrobatici di Zagor. Da segnalare anche un omaggio che non pare casuale al talento fumettistico americano Charles Burns, autore del pazzesco El Borbah, detective in costume da wrestling e con maschera che ne occulta completamente il volto, come accade al micidiale super-cattivo della Maschera del diavolo, cui gli autori hanno aggiunto un sorriso sfigurato da film horror. 

Gabriella Contu (storia), Giorgio Santucci (disegni), “La città senza nome”, Dylan Dog n.438.

Per far fronte, evidentemente, alla disaffezione e al calo dei lettori, lo staff di “Dylan Dog” è corso ai ripari con un’operazione di ripensamento che è stata annunciata come un ritorno al passato, al canone del creatore Tiziano Sclavi. Questo accade dopo soli tre anni dal rutilante “reboot” del numero 400, considerato dal curatore Roberto Recchioni l’inizio di una nuova era del personaggio: all’epoca volarono parole grosse tipo “rivoluzione”, “il personaggio crescerà ed evolverà”, “proveremo strutture narrative nuove”.

Il punto debole dell’innovazione è che invecchia più rapidamente della tradizione, senza possederne il fascino: ed ecco che siamo al dietrofront, peraltro sempre con Recchioni alla guida, e infatti l’albo che abbiamo tra le mani è stato preceduto da una storia (piuttosto noiosa) in tre numeri con la funzione di preparare questa inversione a U.

Un notevole incoraggiamento a proseguire nella nuova direzione giunge dalla bella storia scritta da Gabriella Contu, molto archetipica, con Dylan che si perde e trova riparo in una città dimenticata, dominata da una centrale nucleare dismessa e popolata di ciechi che non hanno voluto lasciare il pericoloso sito e si dedicano da decenni a un dissennato culto della contaminazione. Con un Giorgio Santucci in gran forma, tutto in linea scura, Contu ci regala un bel viaggio onirico in cui ci sono “Walking Dead” e Saramago, “Il villaggio dei dannati” e Roger Waters. Non sappiamo dire ancora se questa sarà davvero una fase di restaurazione (ammesso che la precedente fosse quella della rivoluzione): però “La città senza nome” è una buona storia di Dylan Dog, forse soltanto questo conta.
 

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