L'intervista/Canfora, i rivoluzionari tra verità e menzogne

Intervista allo storico e filologo classico autore del saggio dedicato al promotore della nota congiura nella Roma repubblicana: «Dai grandi debiti ai brogli elettorali, le affinità con l’età contemporanea che svelano gli intrighi di potere tra i grandi leader»

L'intervista/Canfora, i rivoluzionari tra verità e menzogne
di Vincenzo MARUCCIO
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Martedì 14 Marzo 2023, 04:25 - Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 00:11

«Il potere è sempre altrove», scriveva Leonardo Sciascia per lanciare un’avvertenza: guardate oltre quello che appare per capire chi muove le leve del comando. «Dietro un fatto storicamente accertato c’è spesso una verità nascosta che ci fa capire come siano andate le cose»: dice così Luciano Canfora che, da storico e filologo classico (oggi professore emerito dell’Università di Bari), ha dedicato l’intera vita a combattere pregiudizi e facilonerie fuorvianti. Catilina è uno dei personaggi chiave dei suoi studi: il nobile romano che, sostenuto dalla plebe, provò a cambiare le sorti della Roma repubblicana prima che Cesare vi mettesse fine disegnando i futuri orizzonti dell’Impero. Catilina è il “titolare” della congiura più celebre dell’età antica prima di essere sconfitto politicamente da Cicerone e poi ucciso sul campo di battaglia. E ora protagonista del libro “Catilina, una rivoluzione mancata” appena pubblicato da Laterza.
Professor Canfora, con questo suo ultimo libro cos’ha scoperto di Catilina che già non sapevamo?
«Più che di scoperte parlerei di disvelamento. Mi vengono in mente due aspetti. Il primo è l’attentato fallito contro Cicerone: è stato veramente messo in atto o non è neanche cominciato? In realtà, si è trattato di un’ipotesi accantonata dagli stessi artefici prima ancora di essere pianificato. A Roma c’era uno stato di assedio e intorno a Cicerone c’era una scorta tale che sarebbe stato impossibile pianificare un attentato. Si tratta di un falso».
E il secondo aspetto?
«La terza tornata di elezioni consolari non si svolsero nel luglio del 63 a.C, ma qualche mese più tardi. Fu messo in atto uno stratagemma per rinviarle perché, probabilmente, se si fossero svolte in quel momento Catilina le avrebbe vinte. Furono rinviate e Catilina uscì sconfitto per la terza volta cambiando, forse, il corso della storia. Fu una sorta di broglio elettorale. Se lo immagina cosa accadrebbe oggi se le elezioni venissero rinviate. Tutto questo non lo sapevamo».
Allora è vero che la storia la scrivono i vincitori nascondendo sempre qualcosa?
«I vincitori ci provano, non c’è dubbio. Ieri come oggi. Nella storia più vicina ai nostri tempi, però, è più difficile nascondere le cose ed è possibile smascherare eventuali falsità raccontate dei vincitori. Nelle epoche antiche è più difficile anche per la mancanza di fonti dirette».
Ma quella di Catilina fu solo lotta del potere per il potere o era anche una partita, per usare i parametri della contemporaneità, per migliorare le condizioni della società?
«La partita per il potere è evidente e c’è una causa scatenante. La posta in gioco era l’indebitamento massiccio di una parte della nobiltà romana: in tanti avevano debiti molto estesi e il programma elettorale di Catilina ne era fortemente caratterizzato».
Sembra una vicenda dei nostri giorni. Di debito si parlava già due millenni fa?
«Di più. Oggi discutiamo di debito pubblico in tutti i dibattiti, ma le origini sono lontanissime. Se ne parlava già in epoca greca di cancellare i debiti e a promuovere la questione fu addirittura Filippo di Macedonia». 
Più una questione di soldi che liberazione sociale ci pare di capire...
«Catilina non si prefiggeva una rivoluzione sociale per come la intendiamo oggi. Alla base non c’era un’ideologia politica».
E, infatti, Cicerone diceva che “le cause degli oppressi le può difendere solo un oppresso”...
«La frase è vera, ma va ricordato anche che tutta la plebe di Roma era con Catilina in contrapposizione al potere classico del Senato. Ce lo ricorda Sallustio che, certo, non stava dalla sua parte. E all’azione di Catilina guardavano con favore anche gli schiavi. Se i debiti erano un aspetto dell’oppressione, lui aveva tutti i titoli per capeggiare gli oppressi. Detto questo, era un’alleanza di reciproci interessi e non fondata su un programma sociale. Come, del resto, accade spesso oggi».
La storia ci insegna a capire il presente?
«La storia prova a ricostruire il passato. L’insegnamento che se ne può trarre è altra cosa e non è un compito che spetta agli storici».
Golpe, colpo di stato e rivoluzione sono parole che segnano il nostro tempo come ai tempi di Catilina: quali sono le differenze?
«Il golpe è legato alla cultura ispanoamericana e prevede un intervento militare: dal generale Franco in Spagna a quello dei generali cileni di Pinochet nel 1973. Il colpo di stato è il sovvertimento di un ordine costituito che va oltre la legislazione e la norma in vigore, ma non implica necessariamente l’uso della forza. La rivoluzione, invece, presuppone la rivolta di una grande massa popolare che vince o viene sconfitta. Quando in Russia nel febbraio 1917 Kerensky, seguito da molti russi, depone lo Zar compie una rivoluzione ma fa anche un colpo di stato abbattendo il potere esistente. E allo stesso modo agì De Gaulle nel 1958 in occasione della ribellione anticolonialista in Algeria. Catilina fu un po’ tutto questo, ma fu sconfitto».
Il confine con la dittatura può essere sottile e un suo libro, in modo suggestivo, s’intitola “Cesare, dittatore democratico”. Guardiamo a oggi: Xi e Putin sono dittatori?
«Non mi sembra la parola più appropriata per indicarli. Hanno preso il potere in modo differente e i rispettivi regimi di governo si fondano su elementi molto complessi per ridurli ad una sola parola. Mi viene in mente un episodio».
Quale, Canfora?
«In occasione di un vertice internazionale il leader turco Erdogan non lasciò la poltrona alla presidente Ue Von Der Leyen, il presidente del Consiglio, Draghi, parlò di dittatore. Anche Garibaldi, dopo lo sbarco dei Mille, fu dittatore in Sicilia per conto del Re e, in realtà, il termine si richiamava alla figura del magistrato straordinario previsto dalla Costituzione della Repubblica Romana. Per questo, parlare di dittatori con riferimento ad alcuni leader di Stato è ridicolo. Le parole vanno scelte e usate con precisione. E, come per Catilina, non sempre è ciò che sembra».
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