Low cost, quel gioco al ribasso che illude la classe media

Low cost, quel gioco al ribasso che illude la classe media
di Carlo FORMENTI
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Domenica 7 Ottobre 2018, 09:45 - Ultimo aggiornamento: 8 Ottobre, 22:55
Curioso libro quest’ultimo dell’amico Stefano Cristante. Del perché lo ritenga curioso dirò più avanti. Invece motivo subito l’attestazione di amicizia: nel dialogo intellettuale fra professori si ricorre spesso allo stile “impersonale” (presunta garanzia di obiettività), ma, dati i miei rapporti con Stefano, rischierei di apparire come quei giornalisti che, intervistando un leader politico gli danno del Lei, benché tutti sappiano che i due sono culo e camicia.
Conosco Cristante dagli anni Ottanta quando, giovanissimo, irruppe nella redazione del mensile culturale “Alfabeta” – di cui ero allora caporedattore – per proporre un inserto sulla Biennale dei giovani artisti che stava organizzando per conto dell’Arci Kids. Con l’aiuto di Gianni Sassi - il più “indisciplinato” dei dodici “mostri sacri” dell’intellighenzia italiana di sinistra che componevano il Comitato di Direzione - riuscimmo a far approvare la proposta. Dopo quel primo incontro, non ci siamo più persi di vista.
Di più: Stefano ha la colpa (o il merito, secondo il punto di vista) di avermi convinto a sospendere la carriera giornalistica e a trasferirmi da Milano, e dalla polverosa redazione del “Corriere della Sera”, alle altrettanto polverose ma vivaci aule dell’Università del Salento. Se uno ti induce a compiere una scelta del genere i casi sono due: o lo strozzi e torni a Milano, o lo ringrazi e resti a Lecce. Sono rimasto. Ora spiego perché considero curioso il libro.
Il motivo sta soprattutto nel titolo: “Società low cost” (ed. Mimesis), che induce il lettore ad aspettarsi un’analisi socioeconomica della Gig Economy (Uber, B&B, Fedora, Ryanair, ecc.). Invece qui il low cost è metafora del grande gioco al ribasso (di salari, diritti, idee, leadership politiche, prodotti culturali, ecc.) che caratterizza “gli anni del grande scombussolamento” evocati nel sottotitolo, cioè quel settennato 2011–2017 che coincide con il periodo in cui l’autore ha pubblicato ogni settimana, sul “Nuovo Quotidiano di Puglia”, un articolo dedicato ai temi dell’attualità politica, sociale e culturale (parte dei quali raccolti in questo volume).
Procedendo nella lettura, ho potuto verificare che la metafora funziona in due sensi: 1) affrontando alcuni temi di fondo con lo strumento della scrittura giornalistica, Cristante pratica appunto una “sociologia low cost”, analizza cioè “in tempo reale” i fenomeni, senza ricorrere alla rete di protezione accademica di citazioni, note, linguaggi specialistici; 2) l’economia low cost è il dispositivo che il turbocapitalismo sfrutta per convincere una classe media impoverita da austerità, globalizzazione e disuguaglianze crescenti che, in fondo, può ancora permettersi consumi di “lusso” (viaggi aerei, taxi, pasti a domicilio, ecc.): poco importa se la qualità è bassa e i prezzi scendono grazie al super sfruttamento dei dipendenti, l’importante è illudere la gente di fare parte di una élite privilegiata.
È questa illusione che diversi articoli raccolti nel libro smontano. Un esempio? In alcuni interventi sul turismo – tema cruciale per il territorio salentino – Cristante evidenzia il rischio che corre un Paese come l’Italia, per il quale il turismo – a causa della deindustrializzazione – è divenuto una delle fonti maggiori di risorse. Un turismo di massa e “senza qualità” può regalare profitti a breve, ma nel lungo periodo tende inesorabilmente a generare il cinismo speculare fra le mandrie che si rovesciano su spiagge, borghi e città, consumando – e degradando - luoghi di cui non sanno (né vogliono sapere) alcunché, e autoctoni ridotti al ruolo di figuranti che inscenano i resti di una cultura in via di esaurimento.
Da tutto ciò Cristante non deduce che meglio sarebbe investire sulle eccellenze, abbandonando il resto al suo destino. Al contrario: negli interventi dedicati alla formazione e alla ricerca insiste ripetutamente sulla necessità di respingere quell’ideologia meritocratica che, con la scusa di premiare le eccellenze, tende a chiudere il cerchio del privilegio sociale, economico e culturale, laddove il vero obiettivo consiste nell’innalzare il livello della “normalità”, l’unica via per promuovere condizioni di vita e di lavoro migliori per tutti.
Mi resta da spendere qualche parola sulla “filosofia politica” che emerge da questa galleria di testi. Ho apprezzato particolarmente le polemiche sul tema del populismo: sia laddove viene spiegato che non siamo di fronte a una “degenerazione” della democrazia, bensì alla forma che la democrazia assume nella nostra epoca di mediatizzazione/personalizzazione della politica, irruzione dei nuovi media, depotenziamento delle tradizionali identità sociali e delle relative appartenenze ideologiche; sia laddove si distingue fra populismo “dall’alto” e populismo “dal basso”, cioè fra tecniche manipolatorie ed emergere di uno spirito “giacobino” da parte dei cittadini decisi a riprendere il controllo sul proprio destino.
Avverto minore sintonia su certi aspetti che evidenziano le nostre differenze di gusto laddove si tratta di scegliere le armi da usare nell’agone politico: Stefano ama il fioretto, io la sciabola e la mazza. Mi spiego con un paio di esempi: Stefano parla di “barbarie” in riferimento al terrore islamico o alla rozzezza di un Donald Trump; ora, non è che non li ritenga barbari, ma mi viene da dire (con le stesse parole che Mario Tronti ha usato in un’intervista che gli ho fatto un anno fa) che non riconosco, né all’Occidente minacciato dal terrorismo, né all’establishment messo in crisi da Trump, il ruolo di controparte “civile” di tale barbarie. Ancora: è lo “scombussolamento” a generare barbarie, e non sarà la bontà a curarla. Commemorando la figura di Antonio Montinaro (un uomo buono che non ho avuto l’occasione e la fortuna di frequentare) Cristante scrive: “Se ci fossero più persone come lui, viene ora da pensare, il mondo non avrebbe bisogno di nessuna rivoluzione per essere un luogo dove vivere bene”. Lo so che è un’iperbole ma, conoscendo Stefano, so anche che, in fondo, la pensa proprio così. Io no: penso che se anche il mondo fosse abitato da milioni di uomini buoni (e non dubito che ce ne siano) nulla cambierebbe, perché il male sta nelle relazioni sociali e non nei singoli. Ecco perché trovo disastroso lo slogan “per cambiare il mondo bisogna partire da sé”, lanciato dalle sinistre post ideologiche.
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LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO

“Società Low Cost” (Mimesis Edizioni, pp. 284, 24 euro) è il nuovo libro di Stefano Cristante, docente di Sociologia della comunicazione e Sociologia della scrittura giornalistica all’Università del Salento. Sarà presentato venerdì 12 ottobre alle 18 alla Città del Gusto-Gambero Rosso (piazzetta Panzera) a Lecce. Il volume (il cui sottotitolo recita “2011-2017: gli anni del grande scombussolamento”) raccoglie e, in alcuni casi, rielabora gli interventi di Cristante nella sua rubrica settimanale “Tempi moderni” sul Nuovo Quotidiano di Puglia. Alla presentazione di venerdì dialogheranno con l’autore Carlo Formenti, giornalista e saggista, e Claudio Scamardella, direttore del Nuovo Quotidiano di Puglia. Lunedì 8 ottobre alle 16, invece, Cristante sarà ospite di Fahrenheit (trasmissione di Rai Radio 3) per parlare del libro.
 
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