Siti: «Non soffochiamo la bellezza delle parole»

Siti: «Non soffochiamo la bellezza delle parole»
di Alessandra LUPO
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Sabato 17 Marzo 2018, 14:23 - Ultimo aggiornamento: 15:40
Una lezione aperta con una delle voci più amate della letteratura italiana contemporanea, quella di Walter Siti, ospite delle Lezioni Italiane a cura di un altro grande, Goffredo Fofi, promosse da Koreja.
«Con Goffredo Fofi ci conosciamo dai tempi di linea d’ombra, lui ospitò i miei versi in un numero della rivista una trentina di anni fa - racconta Walter Siti - era l’epoca in cui cercavo di scrivere versi, non bellissimi, poi ho smesso: ho capito che non ero capace»
Lei è abituato a sedere in cattedra, è stato a lungo docente...
«Sì, ora sono in pensione ma mi capita di tenere lezioni nei cosiddetti corsi di scrittura creativa».
Li ritiene utili?
«Non credo che si possa insegnare a scrivere ma chi già intende farlo può imparare a fare meno errori possibile».
C’è un rinnovato interesse per i libri. Fiction, spettacoli, tv. Aiuteranno la letteratura a non scomparire?
«Ho l’impressione che sempre di più la letteratura abbia bisogno di diventare altro: musica, film, graphic novel. La letteratura e basta, quella fatta con le parole, ho l’impressione che sia poco di moda ed è un peccato perché le parole hanno molti spessori e senza la loro nudità rischiano di perderli».
È appena uscito un suo pamphlet, “Pagare o non pagare”, in cui le è stato chiesto di spogliarsi dei panni del romanziere per “trovare le parole” (è il nome della collana) e affrontare un tema non facile come il denaro nella nostra società.
«Sì, è un librettino che mi hanno chiesto e che non ha a che fare con l’invenzione ma visto che non potevo fare a meno di utilizzare un modello narrativo, sarei stato un pazzo a pretendere di scrivere un saggio di economia, ho tenuto un registro autobiografico mettendo a confronto il mio rapporto con il denaro da giovane e quello dei giovani di oggi tipo mio nipote».
Come si è evoluto?
«Per i ragazzi che arrivavano da famiglie non ricche, come la mia, l’idea che esistesse un ascensore sociale e che quindi attraverso lo studio avvenisse una promozione anche economica, dava al denaro un valore concreto. Con lo stipendio della mia prima cattedra ricordo il piacere di pagare delle cose con i miei soldi. Che fosse un’auto o un appartamento. Nel ceto medio impoverito, invece, l’acquisto non è più un traguardo: i giovani spesso non vengono pagati per ciò che fanno, penso agli stage o ai contratti iper precari, ma soprattutto sono impegnati in una grande mole di lavoro che fanno senza accorgersene, trascorrendo il tempo sulla rete e utilizzando servizi gratuiti a cui forniscono dati personali su cui si basa il marketing. Il patto sociale che intercorre è “io non ti pago per ciò che fai ma ti metto a disposizione un sacco di roba che non costa nulla”. In questo modo il denaro è tagliato fuori dall’orizzonte, allora mi chiedo, se pagare voleva dire entrare nell’età adulta, oggi quali sono i riti di passaggio?».
Lei viene da una lunga polemica sul suo ultimo libro, “Bruciare tutto”...
«In realtà la bufera è durata solo due mesi, alla fine è bastato che De Bortoli scrivesse tre righe sulla Boschi e di Don Milani non importava più nulla a nessuno».
Ha avuto anche lei l’impressione che il tema della pedofilia, vista dalla prospettiva del pedofilo, abbia fagocitato il rapporto controverso che il protagonista – don Leo - ha con la fede?
«Sì, in effetti la pedofilia è stata più che altro un pretesto: mi interessava mettere il protagonista in una situazione in cui si trovasse schiacciato tra due cose che non voleva ma di cui non poteva fare a meno: Dio che lo cerca e lo perseguita, da una parte. Dall’altra l’attrazione verso i bambini che lui non si può impedire, nonostante i cilici e la repressione. Sono due forme di ossessione che sentivo il bisogno di mettere a confronto tra loro. Ma questo in effetti ai giornali non è interessato un granché».
In “Resistere non serve a niente”, che nel 2013 le ha consegnato lo Strega, ha dichiaratamente rinunciato all’erotismo omosessuale, tematica costante nei suoi romanzi precedenti, era una sorta di autocensura?
«No, quando mi chiesero con la vittoria allo Strega perché parlassi di finanza, risposi che non sono omosessuale 24 ore su 24, mi interessa anche altro. Se Tommaso fosse stato omosessuale i suoi comportamenti sarebbero stati riportati alla sua sessualità, invece che al tema del denaro, centrale nel libro. La sua ossessione, la sua voracità, inoltre riguardava altro: il suo rapporto con il cibo».
Le ossessioni restano centrali nei suoi libri.
«Non riescono a fare a meno di personaggi ossessi e comunque nella descrizione di Gabriella mi è stato detto da lettori etero che sono riuscito a rendere l’erotismo per il femminile in modo piuttosto efficace».
Nell’aggiunta a “Il Contagio” del 2017 è tornato al Corviale a parlare con i suoi vecchi personaggi, anche di politica. Che cosa è cambiato?
«Nel post scriptum uno dei borgatari mi dice: “Per restare fascisti tocca facce salviniani”. Mi sembra che ci avesse visto giusto».
Cosa l’ha colpita di più di queste Politiche?
«Anzitutto la divisione netta dell’Italia, sapevo che il Movimento 5 Stelle sarebbe stato il primo partito ma non credevo prendesse così tanti voti al Sud. Mi pare che al di là della loro volontà, che certamente è ottima, il discorso sul reddito di cittadinanza sia stato percepito come assistenzialismo. Poi mi ha stupito anche l’affermazione della Lega al Sud, che ricalca appunto l’analisi del borgataro. L’unico dato certo è la sparizione del Pd ma è parallela a quello che è successo un po’ in tutta Europa. La cosa che temo di più al momento è che ricominci quella che più volte ho definito la “frenesia immobilista italiana”, fatta di spostamenti clamorosi senza che succeda assolutamente nulla».
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